Il ruolo dei dirigenti scolastici nella gestione della pandemia Covid-19 è stata importante, ma lo sarà ancora di più dopo, con la riapertura delle scuole: gestioni con scarse strutture e risorse, responsabilità per eventuali contagi, garanzia di efficienza e risultati. “Quindici” ha sentito il prof. Sabino Lafasciano, dirigente scolastico dell’Itet Gaetano Salvemini di Molfetta, con una lunga esperienza anche all’estero. Un uomo di scuola a tutto tondo. Prof. Lafasciano, ha paura per la riapertura delle scuole? Può essere l’occasione per ripensare la scuola? La didattica a distanza non è l’optimum e nemmeno una soluzione? «Distinguerei, rispondendo alla prima delle sue domande, problemi di uomini, mezzi e strutture, da un discorso più ampio sull’ubi consistam della scuola, e sulla necessità di un ripensamento collettivo sul suo ruolo sociale di fucina di libertà e spazio di riaffermazione dell’uguaglianza sociale, concedendo a tutti gli studenti pari opportunità. Basti pensare che è dai Decreti Delegati che manca, nel nostro Paese, un dibattito generale sulla scuola. Cioè, da più di cinquant’anni. Credo che non si debba perdere questa occasione. Le macerie sono molto più antiche di questa epidemia. Non perdiamo dunque l’occasione di ripensare, insieme, la scuola. Ci sono, quindi, responsabilità precipue del governo, che riguardano soprattutto strutture, uomini e mezzi. Ma, ridurre tutto a tali responsabilità, vuol dire abdicare al ruolo, prezioso, che nel ‘68 e nel ‘69 hanno svolto i sindacati, i Consigli di fabbrica, i partiti, le associazioni professionali. Occorre mettere in campo lo stesso slancio collettivo. Spesso, invece, in questi mesi, siamo stati colpiti dal silenzio assordante, relativo ad un progetto per la scuola del futuro, coerente con un progetto sociale più generale. La stessa intelligentsia, anche quella tradizionalmente più attenta e partecipe in tale dibattito politico e culturale, sì è piuttosto divisa sul falso problema Didattica in presenza vs Didattica a distanza, rimanendo appiattita, in generale, sulla banale considerazione che si apprende, e si insegna, con il corpo. Anche certe posizioni sindacali, lungi dal prefigurare un altro progetto di scuola, e di società, spesso sono servite piuttosto da copertura per il vuoto pneumatico che ha caratterizzato, per fortuna in minima parte, l’atteggiamento di certi insegnanti e lavoratori della scuola». Giudica sufficienti le misure del governo, oppure dovevano essere più severe? Aver demandato ai dirigenti scolastici alcune decisioni è stato giusto oppure tutte le scelte dovevano essere fatte dal governo stesso? «Per quanto riguarda le competenze del governo, strutture, uomini e mezzi, diciamo che: l’adozione di un piano straordinario di edilizia scolastica, non più procrastinabile, non risolverà comunque il problema del rientro di settembre. È evidente, dunque, quanto sia essenziale, nell’immediato, il massimo del coordinamento e delle sinergie con gli Enti Locali. Intanto per recuperare il recuperabile, per un’anagrafe delle scuole, prima di tutto, ma anche di tutti gli ambienti esterni utilizzabili. Torniamo all’antico: ad Atene c’erano i portici stoici, il giardino del Liceo e lo spazio dell’Accademia: la scommessa, ora come allora, è diversificare, riportare nella città la scuola, fare in modo che tutta la città ridiventa spazio di apprendimento». Per garantire il distanziamento ed evitare le classi pollaio, si dovrà fare lezione nelle palestre e nei cortili dove ci sono? E quando arriva l’inverno? «All’interno dei nostri spazi, recuperati e rivitalizzati, contiamo sulla sicurezza che le analisi sierologiche promesse a tutto il personale della scuola, ed a campione sugli studenti, i nuovi banchi su misure di distanziamento a metro statico, e le mascherine che il commissario Arcuri ha promesso di fornire in modo sufficiente; qui dovremo assicurare la presenza, tendenzialmente, di tutti gli studenti, prioritariamente i bambini, i ragazzi disabili e gli studenti delle classi di passaggio. Ma, oltre gli spazi, occorre ripensare il tempo-scuola, utilizzando la didattica modulare, diversificando, soprattutto per gli alunni delle scuole medie superiori, le attività da svolgere obbligatoriamente in presenza e quelle da organizzare a distanza, recuperando, nel contempo, un lavoro personalizzato, per livelli di apprendimento». Servono 100mila nuovi insegnanti, col rischio di una didattica approssimativa con supplenti che non torneranno più. «Per fare tutto ciò serve implementare gli organici, servono cioè altri docenti. Questo impegno sugli organici è sicuramente lo sforzo maggiore che si chiede al governo, al Ministero dell’istruzione, ma anche alle sue espressioni territoriali, che negli anni scorsi hanno fornito alle scuole, impegnando, come in Puglia, migliaia di docenti aggiuntivi, il supporto di progetti come Diritti a scuola. Oggi come allora queste risorse aggiuntive potrebbero supportare le scuole rispetto ai saperi fondamentali ed alle competenze di base, per assolvere a quello che rimane il ruolo primario della scuola dell’obbligo, di alfabetizzazione di base. Energie, queste ultime, che si aggiungerebbero ai recuperi orari da parte dei docenti di ruolo, data l’inevitabile rimodulazione dell’ora di lezione, portata a 40 o 45 minuti, per garantire un accesso più sicuro alle scuole da parte degli studenti». I dirigenti scolastici sono in condizione di far fronte a queste situazioni? «I dirigenti scolastici, come tutto il personale della scuola, si sono prodotti in uno sforzo eccezionale, dovendo recuperare in progress gap strutturali, tecnologici, e soprattutto di mentalità. Se la scuola italiana, pur gravemente segnata da diseguaglianze sociali, di classe, di cui non è responsabile, oltre che da differenze oggettive tra scuole più fornite tecnologicamente ed altre meno, ha sostanzialmente retto la botta, il merito è del personale scolastico tutto. Non lasciateci soli, però. Vediamo di meritarci, come italiani, una scuola migliore, per una società più giusta». © Riproduzione riservata