Quaresima di Franco Poli e Natale Addamiano
È stata inaugurata, con il consueto acume e la doctrina di raffinato studioso, dal professor Gaetano Mongelli la mostra “Quaresima”, allestita presso la Sala dei Templari a raccogliere oli e pastelli di due artisti molfettesi, il compianto Franco Poli e Natale Addamiano. Nel percorso si segnala anche la presenza del suggestivo “Angelo bianco” in cartapesta di Maria Addamiano, lo sguardo ancorato alla Terra nello spiccare il volo verso le mete celesti. Due approcci estremamente differenti alle tradizioni e alla devozione molfettese: Addamiano scruta il cielo e ne coglie en plein air i tocchi luministici, a seconda delle diverse fasce orarie della giornata; Poli medita in studio e restituisce una visione intimistica, spesso ‘morandianamente’ focalizzata sugli oggetti, del Mistero. Due artisti diversissimi, dunque, ma che hanno condiviso l’estrema fiducia nella pittura come forma di conoscenza e rappresentazione della realtà e la propensione a un laboratorio certosino, che ne fa due maestri del colore e della luce. Poli spesso si concentra sugli oggetti, soprattutto nature morte, costituite non più da canestri di frutta o brocche, ma da statuette che riproducono in miniatura i Misteri, campane di vetro destinate ad accogliere piccoli simulacri di santi, camici di confraternite in cui rivive, con diverso segno, la dedizione, quasi ossessiva, all’indugio su abiti, che (si pensi ai bellissimi vestiti di Gilda) possano conservare un barlume della vitalità prosciugata dalla Morte o dal Tempo devastatore. L’attenzione alla resa degli effetti legati alla presenza del vetro sull’atmosfera e sugli elementi oggettuali; l’abilità nel rappresentare una mosca, per la quale la campana diviene una sorta di trappola in cui dibattersi; il fine cesello di ogni fiore, anche appassito: sono tutti particolari figli di una capacità di osservazione fuor del comune, che fa della realtà vagheggiata una sorta di feticcio, cui l’Arte può conferire una scintilla d’immortalità. La rappresentazione delle processioni della Settimana Santa è varia: talora elegiaca, romantica, fedele al Vero; in altri casi si coglie una sorta di furore espressionistico, che trasfigura gli attori della Sacra Rappresentazione, facendone maschere quasi circensi, un po’ gentiliniane, con gusto alla Nuovo. In altre circostanze ancora, si individua un netto influsso di quel periodo delle “Ombre” finemente tratteggiato da Gianna Sallustio, forse messaggero di una vita ormai giunta all’occaso, amata in maniera tanto più struggente, quanto più vivo vige il senso dell’umana finitezza. Natale Addamiano accentua l’idea dei riti della Settimana Santa come Sacra Rappresentazione, che di volta in volta si rinnovella. I portali chiesastici divengono quinte da cui gli attori, confratelli e simulacri, avanzano con passo lento, mentre la notte funge da palcoscenico, in un intimo rincorrersi di luci artificiali – fiaccole e lampioni – e naturali, legate all’avvolgente carezza della sera. Gli esiti di maggior fascino, quelli in cui l’attitudine en rêve prevale e sembra di assistere a un perenne trasfigurare, sono legati alla luce meridiana e alle conseguenti danze di ombre. Ali di palazzi si colorano d’un rosato che infiora balconi come fossero alberi di pesco; i visi divengono indefiniti, quasi altro da sé, e persino i simulacri (per esempio san Giovanni Evangelista) si fanno maschere lucenti nella partitura elegantemente orchestrata dal cielo. Il colore crea prospettiva, vuoi che si abbia a che fare con la bellezza dell’olio o con la morbidezza del pastello. Scenografici e imponenti alcuni scorci, come quello che immortala il momento dell’uscita al Sabato. L’artista, con tocchi impressionistici, pennella macchie di folla, giocando sulle cromie dell’abbigliamento degli astanti, e definisce, con potenza di sintesi, la forma dei simulacri. In un continuo amebeo di luci e ombre, l’Arte assurge pertanto a elegia del Mistero, in un senso di sacralità trasognata e di struggente tensione all’Assoluto.
Autore: Gianni Antonio Palumbo