Per l’uomo pellegrino verso la Gerusalemme celeste, il Purgatorio ha qualcosa d’incantevole e di solenne. Sostanzialmente, è la cantica più legata alla nostra esistenza: il tragico senso del tempo, concesso all’uomo per la sua salvezza; la pena delle separazioni, unita alla pietà per le tombe; il tragico per gli uomini esiliati con negli occhi le fiamme di una casa bruciata; il dolore dei traditi, degli uccisi e di quanti hanno, con amore, sostenuto la fatica della vita. Ecco la parola magica: la vita. Quel tempo mortale, che prelude alla lux aeterna. Dante, il poeta cristiano del medioevo, non ha dubbi: il purgatorio terreno è preludio al gaudio celeste; la vita è porta per il cielo, memoria esistenziale di un presente che si matura in crisalide di eternità. L’uomo a cui il Sommo Poeta si volge è l’uomo comune, inteso come uomo saggio, non costruito dal bisogno della produzione, privo della libertà interiore. Dante parla, scrive, dipinge e scolpisce per il comune mortale che sa riconoscere il valore del giorno. Una giornata fatta di ore di luce e di ore di oscurità nella notte, la quale, secondo quanto avevano insegnato i latini, radicandola nell’etimo, significa nocere: fa male. La notte è cattiva, è per coloro che rifiutano la luce, facendosi e creando, nella irrazionale violenza della libertà, il dolore che non perdona. Isidoro di Siviglia è presente per raccontare la energia vitale che canta il gallo all’aurora e il morire delle membra affaticate alla sera, in attesa di una nuova resurrezione. La vita è purgatorio, una successione di momenti di vita che si alternano a quelli della morte, la quale si aprirà definitivamente alla luce che non più tramonta. La vita è dunque porta, passaggio obbligato per entrare, uscio che chiude all’Inferno e introduce al Paradiso. Nella pienezza delle forze, il Poeta dà valore agli elementi etici per una meditazione: la espiazione temporanea è necessaria per risanare quei residui di peccato che hanno lasciato nell’anima una ferita. Con vivezza d’immaginazione coglie l’affresco sulla verità dell’essere umano, che si accusa per ristabilire l’ordine. Un assetto razionale, che sorge dalla preghiera liturgica, a cui Dante partecipava convinto per “quello infinito ed ineffabil bene che lassù è, così corre ad amore, come a lucido corpo raggio viene. Tanto si dà, quanto trova d’ardore: sì che quantunque carità s’accende, cresce sopr’essa l’eterno valore” (Purg. XV, 67-72) Nella introduzione all’atto liturgico, il poeta vede il momento della purificazione, quel tanto d’amore necessario per riconoscere di avere peccato contro Dio e contro il prossimo, per confessare la responsabilità dei propri atti, il merito o il demerito, l’esistenza della legge morale, che fa capo al Sommo Bene. Il Dante liturgico si trova, dopo avere superato le oscurità della notte nell’incubo delle tenebre e delle ombre, sulla soglia che dà accesso alla speranza, carica di sensazioni esterne e interne e provvista del libero arbitrio. Nell’atto penitenziale, nella purificazione che dà l’accesso alla luce, coglie l’unità della coscienza, il senso dei rapporti tra volontà e ragione e deduce il significato della libertà umana conferita da Dio alla sua creatura: “per esso raggiungiamo qui la nostra felicità come uomini, per esso la raggiungiamo di là come dei” (Mon. I, XII, 1-6). Nel Purgatorio, esposto alla natura umana proclive ad attribuire ad altri i propri errori, il poeta afferma il valore della libertà, la quale è vera, se teocentrica. L’atto libero dell’uomo, per coniugare il positivo, è intriso di divino: “Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando e alla sua bontate più conformato, e quel ch’ei più apprezza fu della volontà la libertate” (Par. V, 19-22) La libertà, nel travaglio del parto alla vita beata, è la fonte dell’intima gioia delle anime che non si mercificano. Il ricordo dell’Inferno è ancora lì, grava sul Purgatorio, con un carico forte quanto qualsiasi realtà; il Purgatorio è l’esilio dalla morte ed è ricerca da una più vera patria; è la fuga da una minaccia paurosa e bestiale, che attanaglia il viaggio temporale della libertà in tentazione. A somiglianza di uno scultore che lavora a tutto tondo, Dante pone gli angeli del Purgatorio quale sicurezza del mondo di Dio, nel quale le anime stanno per entrare. La loro luce, come quella che brilla sul bronzo e manifesta l’impronta dello spirito nella materia, giunge alle anime, gravate dal peso dell’espiazione. La potenza della luce è la grande peculiarità dell’arte, a Dio nepote. Il poeta la vede quale improvvisa luce angelica, che reca le anime all’isola del Purgatorio e man mano che si avvicina, impone al poeta, per l’avvertimento di Virgilio, d’inginocchiarsi. Il concetto di purificazione è associato al codice della luce, quella della mente per vedere, quella del cuore per amare e quella della volontà per congiungersi nell’estasi della comunione. La terribile cecità appartiene all’inveramento delle tenebre, il cui frutto è la guerra, l’odio, la morte, l’insofferenza rapace. Con la benda sugli occhi, come trottola che gira su sé stessa vorticosamente, il peccato molla la corda mortifera. Per un cristiano e per un fiorentino, il mistero dell’Annunciazione definisce la porta della salvezza. L’episodio, con cui si apre il mondo cristiano, già evocato nel canto VIII, con il ricordo dell’Ave Maria e il rintocco a sera della campana, si dispiegherà poi nel Paradiso, nella visione dell’arcangelo Gabriele che incorona “il bel zaffiro - del quale il ciel più chiaro s’inzaffira”. Nel Purgatorio, la Vergine non solo può essere invocata, ma è termine di paragone per le sue virtù, presentata come in una sequenza artistica di bassorilievi. Nel Purgatorio non c’è solo dolore; è viva l’invocazione liberatrice, che offre sollievo e puntualizza il significato del tempo e del luogo: ossia, la storia umana. La quale si distende, arsa dal desiderio di Colui che muove il sole e le stelle. Alle porte del Purgatorio hanno guardato, spaziando nell’Immaginario interno, gli scultori della Biennale del bronzetto dantesco. Di fronte al testo del poema, si sono trovati nella condizione di esegeti; ma, la loro espressione d’arte è carica di testimonianze odierne: storie di lotte per il riscatto di liberazione; dispiegamento di visioni d’oltretomba; echi di coscienze che chiedono il volto di Dio, nel sottile dolore di una apparente libertà. Il Purgatorio della civiltà del benessere, nel quale l’animo non sta bene e la creazione, mortificata, vende sui marciapiedi della periferia. Le sculture, piccole in dimensioni, raccolgono i frammenti della speranza dantesca, intrisa di scintille di luce, in attesa di uno sguardo furtivo per svegliare la lirica delle sensazioni aperte. Il metro poetico è incorporato e fuso nell’evento della salvezza e nella coscienza, che cerca la luminosa trasparenza di un corpo purificato dal lumen. Non tutti i linguaggi d’arte potranno godere del titolo dell’apprezzamento né quello riguardevole d’opera d’arte, ma tutti hanno un grande merito: il risveglio di una coscienza, che chiede alla poetica dantesca i lumi e i parametri per la purificazione. Un sogno. Una suggestione. Un sospiro. La vera arte nasce come “colombe dal desio chiamate...”. ————— In XII Biennale Internazionale Dantesca, Concorso Internazionale del Bronzetto e della Piccola Scultura organizzato dal Centro Dantesco sul tema: La porta per la città di Dante: Purgatorio, catalogo a cura di Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, Ravenna, 1 aprile-30 settembre 1996, Edizioni del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, Ravenna 1996, pp. XXXXI.