di Marco de Santis
«Penso che la vita sia una tristissima buffonata, perché abbiamo dentro di noi il bisogno di autoingannarci costantemente creando una realtà che di quando in quando si scopre illusoria e vana». La frase è di Luigi Pirandello, uno dei massimi autori del Novecento italiano e mondiale, che ha aperto le vie nuove del teatro contemporaneo.
La sua nascita avviene in una località all'insegna del presagio, dallo scrittore assunta a simbolo del suo percorso esistenziale e della sua opera. Mentre in Sicilia infuria il colera, che ha colpito anche suo marito Stefano Pirandello, donna Caterina Ricci-Gramitto abbandona Agrigento e si rifugia nella Villa “Il Caos”, dove il 28 giugno 1867 dà alla luce Luigi. Il bambino cresce con cinque fratelli, affidato in casa a insegnanti di terz'ordine, tanto che alla sua prima scuola pubblica, la quarta ginnasiale, la pagella si riempie di voti umilianti, che costringono Luigi alla fuga, nel timore del padre severo e violento.
Conclusi gli studi classici a Palermo nel 1886, Pirandello si iscrive contemporaneamente alle Facoltà di Giurisprudenza e Lettere. Comincia a frequentare prima l'ateneo palermitano, ma poi opta per Lettere e si trasferisce nell'87 a Roma, dove segue le lezioni del filologo Ernesto Monaci. Vive presso lo zio Rocco e in buoni alberghi, mantenuto dal danaro che suo padre ricava dall'inferno delle solfare di Porto Empedocle. Ma si sente solo, a volte disperato e troppo superiore agli altri, come confida per lettera alla sorella Lina. Tra un esame e l'altro, scrive poesie e racconti, e nel 1889 pubblica il primo libro di liriche, Mal giocondo, sotto l'influenza di Carducci e Graf. Dopo un furibondo litigio col professore di latino Onorato Occioni, abbandona Roma per Bonn con una lettera di raccomandazione del Monaci e si laurea in filologia romanza il 21 marzo 1891 con una tesi sulla parlata di Girgenti, l'attuale Agrigento.
Per due anni fa il lettore di italiano all'università di Bonn, mentre continua la sua affettuosa amicizia con la compagna di studi Jenny Schulz-Lander, a cui dedica il secondo libro di poesie, Pasqua di Gea (1891). Poi si ammala di difterite e polmonite, che gli provocano una miocardite reumatica. Allora abbandona senza troppi rimorsi la sua compagna e a torna in Italia. Si stabilisce a Roma, dove il padre gli invia un assegno mensile e lo scrittore Luigi Capuana lo incoraggia a passare dalla poesia alla narrativa e lo introduce negli ambienti letterari della capitale. Ma al ventiseienne Luigi arriva una lettera paterna che gli impone di sposarsi con una ragazza che nemmeno conosce, Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio del padre, seria e modesta, ma con una piccola fortuna in dote. Pirandello non ha nemmeno un moto di ribellione: obbedisce e basta, cedendo al padre l'amministrazione delle 70 mila lire dotali della sua sposa.
Il matrimonio si celebra nel gennaio del 1894, l'anno in cui pubblica la prima raccolta di novelle, Amori senza amore, ma lei è solo rassegnata, non lo amerà mai, anche se gli darà tre figli: Stefano, Lietta e Fausto. Lui, invece, impara ad amarla e in una lettera dello stesso anno le svela la sua doppia natura: «In me son quasi due persone. Tu già ne conosci una; l'altra, neppure la conosco bene io stesso. Soglio dire, ch'io consto d'un gran me e di un piccolo me… Il primo è taciturno e assorto continuamente in pensieri, il secondo parla facilmente, scherza e non è alieno dal ridere e dal far ridere. Io sono perpetuamente diviso tra queste due persone». Affiora già il problema dell'identità, che troverà un supporto teorico nella lettura del saggio psicologico Les altérations de la personnalité di Alfred Binet e sarà l'ossessione delle sue amare commedie.
Nel 1897 Pirandello ottiene come supplente l'incarico di lingua italiana e stilistica all'Istituto Superiore di Magistero di Roma. Alla fine del 1908 diverrà titolare, tenendo la cattedra fino al 1922, nel frattempo divenuta di letteratura italiana. Insegna con dignità, ma anche con un certo fastidio. Infatti una sua allieva di Molfetta, la dialettologa Rosaria Scardigno, lo giudicherà docente molto severo. Intanto, fra il giugno e l'agosto del 1901, lo scrittore pubblica sulla «Tribuna» di Roma L'esclusa (già Marta Ajala), un romanzo di matrice verista, tuttavia incline al determinismo sociale e incentrato sull'emarginazione della donna e, per traslato, dell'intellettuale.
Due anni dopo, un disastro nelle zolfare paterne ingoia il suo patrimonio e quello della moglie, che diventa preda di gravi squilibri mentali. È necessario arrotondare lo stipendio. Pirandello, che a volte medita il suicidio, reagisce dando lezioni private di italiano e tedesco e stendendo in fretta articoli a pagamento per giornali e riviste. Mentre assiste la moglie, relegata per sei mesi nel letto da una paralisi nervosa alle gambe, scrive per «Nuova Antologia», che gli ha versato in anticipo mille lire, I1 fu Mattia Pascal (1904), un romanzo che analizza il dramma dell'individuo isolato in una realtà che gli appare estranea ed ostile. Lo spunto gli è offerto da un fatto di cronaca, ma l'ispirazione di fondo gli viene dal filosofo giansenista Blaise Pascal (che dà pure il cognome al protagonista): «Io non so né perché venni al mondo, né come, né cosa sia il mondo, né cosa io stesso sia». Pensiero che Pirandello svolge nei temi dell'inettitudine, dello specchio, del doppio e della crisi d'identità nella civiltà delle macchine, nella quale si riduce a puro automa anche l'omologo Serafino Gubbio operatore cinematografico in Si gira… (1915, con successiva riscrittura). Invece in Uno, nessuno e centomila, iniziato nel 1909, ma finito di pubblicare nel 1926, si assisterà al trionfo della «vita» sulla «forma».
Nel 1908, al concorso per professore ordinario, presenta gli scritti Arte e scienza e L'umorismo, dove approfondisce la differenza tra la comicità, intesa come «avvertimento del contrario», e l'umorismo, classificato come «sentimento del contrario» per l'intervento di una riflessione pietosa ma amara. I due saggi suscitano l'attenzione di Benedetto Croce, ma poi sfociano in una polemica che si trascinerà fino agli anni Venti e il critico neoidealista stroncherà quasi tutta l'opera pirandelliana come ibrido connubio di poesia e di «convulso, inconcludente filosofare». In compenso nel '22 Adriano Tilgher, teorizzando la formula pirandelliana del contrasto tra «vita» e «forma», contribuirà molto alla fortuna critica dello scrittore in Italia.
Nel 1909 esce il romanzo I vecchi e i giovani, d'impianto storico-sociale, ma con sortite umoristiche e censorie, in quanto tutti restano sconfitti: i vecchi del Risorgimento, travolti dalla corruzione, e i giovani della “nuova Italia”, risucchiati dall'«inanismo» o dall'opportunismo. Per insistenza dell'amico Nino Martoglio, direttore teatrale, Pirandello riduce ad atti unici le novelle Lumìe di Sicilia e La morsa, ancora legati al dramma borghese e rappresentati al Metastasio di Roma alla fine del 1910. L'anno dopo vede la luce il racconto lungo Suo marito, che fa andare su tutte le furie Grazia Deledda, descritta come sciocca e ridicola insieme a suo marito Palmiro Madesani e ai più osannati intellettuali di Roma. Nell'aprile del 1915 Marco Praga, direttore del Teatro Stabile di Milano, mette in scena la prima commedia in tre atti di Pirandello Se non così (o La ragione degli altri). In novembre suo figlio Stefano è fatto prigioniero dagli austriaci. Invano il padre cercherà di farlo liberare.
Poi, tra il '16 e il '18, l'autore sforna una fitta serie di capolavori per il “teatro del grottesco”: Liolà, Pensaci Giacomino, Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, Il giuoco delle parti e Ma non è una cosa seria, oltre agli atti unici La giara e La patente, umoristica riflessione sulla jettatura. In questi lavori affronta in maniera originale il problema decadentistico dell'identità dimidiata dell'uomo contemporaneo, vivisezionato su un palcoscenico che diventa «camera da tortura», come ha scritto Giovanni Macchia, o, se si preferisce, “teatro della crudeltà”, dove l'esistenza si manifesta come apparenza e illusione. Nel 1919 le crisi di paranoica gelosia di Maria Antonietta, perfino nei confronti della figlia Lietta, diventano sempre più frequenti. Perciò, dopo che Stefano e Fausto sono tornati rispettivamente dalla prigionia e dalla guerra, Pirandello, d'accordo con i medici e i figli, fa internare la moglie in una casa di cura, dove resterà fino alla morte (1959), abitando di lontano i sensi di colpa dello scrittore.
Nel novembre del 1920 l'attrice Emma Gramatica porta in scena al Goldoni di Venezia Come prima, meglio di prima, dramma dell'angoscia esistenziale. È un successo senza precedenti, amplificato dalla stampa italiana ed estera. L'anno dopo anche la (pseudo)tragedia Enrico IV è accolta favorevolmente, ma la rivoluzionaria «commedia da fare» Sei personaggi in cerca d'autore, contrasto tra personaggi ed attori, prima cade clamorosamente al Teatro Valle di Roma il 10 maggio 1921 (l'insulto più frequente del pubblico inferocito è: «Manicomio! manicomio!»), poi trionfa il 27 settembre al Teatro Manzoni di Milano e l'anno seguente è salutata dalle ovazioni di Londra, Parigi e New York. Dal '18 al '21, intanto, ha cominciato a prendere corpo il poderoso progetto delle Maschere nude, la raccolta organica dei suoi lavori teatrali.
La trilogia del “teatro nel teatro”, dove cadono le barriere tra scena ed extra-scena, sarà completata da Ciascuno a suo modo (1924), contrasto tra attori e pubblico, che si scambiano continuamente le parti, con qualche debito verso il futurista “Teatro della Sorpresa” di Cangiullo e Marinetti, e da Questa sera si recita a soggetto (1929), contrasto «tra gli Attori divenuti Personaggi e il loro Regista», straordinario pastiche teatrale, che sposa con grande originalità il canone dell'Einheitswerk (interartisticità) espressionista, inglobando nell'azione teatrale musica, danza, cinema, metateatro, melodramma, cabaret e narrativa (la novella Leonora addio che fa da canovaccio).
Ormai la fama di Pirandello vola altissima. Nel 1922 con la casa editrice Bemporad vara il pullulante mosaico delle Novelle per un anno, allegoria del caos, dell'insensatezza e dell'imprevedibilità dell'esistenza, titanico affresco della “commedia umana”, che sarà ripreso e continuato dall'editore Mondadori fino al quindicesimo volume. Nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, il drammaturgo aderisce clamorosamente al fascismo. L'anno dopo l'appoggio di Mussolini gli permette di ottenere i finanziamenti per fondare col figlio Stefano, Massimo Bontempelli e Orio Vergani il Teatro d'Arte di Roma, di cui è direttore e regista. Conosce così l'attrice Marta Abba, di 33 anni più giovane di lui. Per lei scrive nel '26 la tragedia “dannunziana” Diana e la Tuda e nel '27 L'amica delle mogli. Nel 1928, per mancanza di fondi, fallisce l'esperienza del Teatro d'Arte, ma in compenso Pirandello inaugura la stagione “surrealistica” scrivendo il primo “mito” teatrale, La nuova colonia, seguita l'anno appresso dal secondo “mito”, Lazzaro. Il sodalizio artistico e sentimentale tra il capocomico e l'attrice durerà, con una nuova compagnia, dal '28 al '34 con frequenti tournées all'estero.
Nel '29 Pirandello è nominato Accademico d'Italia da Mussolini, anche se dai critici del regime viene etichettato come autore negativo e pessimista. Nel '30 va ad Hollywood, chiamato dalla Metro Goldwyn Mayer, per il film Come tu mi vuoi interpretato da Greta Garbo. Alla fine del '34 è insignito del premio Nobel, ma nove mesi addietro a Roma la prima italiana del dramma in versi La favola del figlio cambiato, con musica di Gian Francesco Malipiero, viene boicottata da provocatori fascisti. La gente, ora, ha voglia di ridere e le cupe e paradossali storie dell'autore siciliano non piacciono più come prima. Pirandello, allora, toglie il disturbo, lasciando incompiuto il terzo “mito” teatrale, I giganti della montagna, inquietante apologo sulla creatività della poesia e sul ruolo dell'arte nella società, dove i «giganti» adombrano l'ideologia, il potere e i riti del fascismo.
Mentre a Cinecittà detta i dialoghi per un film tratto da Il fu Mattia Pascal, la polmonite lo inchioda a letto. Il medico vede che non ci sono più speranze e cerca il modo per dirglielo. Ma Pirandello lo previene: «Non abbia paura delle parole, professore. Questo si chiama morire». Muore, infatti, il 10 dicembre 1936 nella sua casa in via Antonio Bosio 15. Le sue ultime volontà ripudiano i funerali di stato: vuole andarsene da solo sul carro dei poveri ed essere cremato, ma le sue ceneri dovranno essere disperse nei campi o riposare nella Villa del Caos, tra i cui pini solo nel 1961 saranno tumulate.
Con La maschera e il volto Luigi Chiarelli aveva smontato grottescamente l'unicità del punto di vista in esteriorità e interiorità, finzione e spontaneità. Pirandello, proseguendo l'impietoso smascheramento della condizione umana, ha svelato la crisi d'identità dell'uomo contemporaneo in un groviglio di “apparenze” che ribaltano continuamente le “certezze”, aprendo così la strada a Beckett e al teatro dell'assurdo.