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Pietre e colori che parlano di San Domenico
15 luglio 2008

La recente Visita pastorale di Mons. Luigi Martella nelle comunità parrocchiali locali si è rivelata occasione di divulgazione di una plaquette, commissionata da don Franco Sancilio a Marco Ignazio de Santis per i testi e la ricerca iconografica e a Pasquale Modugno per il progetto grafico, sulla storia di San Domenico. La pubblicazione reca il significativo titolo di “Pietre e colori che parlano. Storia, arte e fede nella chiesa di S. Domenico di Molfetta”. Il testo di de Santis si apre registrando l'entusiastico giudizio del matematico e architetto George Berkeley sul nostro convento dei domenicani e sulla chiesa “architettonicamente stupenda”. Lo studioso non manca di considerare, con una punta d'amara ironia, come sia spesso necessario l'intervento di un estraneo perché ci accorgiamo delle “perle rare” che custodiamo negligentemente in casa senza attribuire loro il giusto valore. Prende così avvio un itinerario tra pagine di storia cittadina, in prima battuta dominato dalla figura del domenicano che ordinò la costruzione del complesso, mons. Giacinto Petronio (1580-1647). Il suo ritratto si arricchisce, strada facendo, di dettagli: la sottoscrizione – con altri dieci padri teologi del Sant'Uffizio – della “censura della tesi eliocentrica copernicana, che due giorni dopo comportò l'ammonizione di Galileo Galilei”; il rapporto conflittuale col patrizio fiorentino Ridolfi, dietro cui si celano beghe gerarchiche; il suo adoperarsi per la Confraternita rosariana; la morte, circonfusa d'un'aura leggendaria, non senza sospetti d'avvelenamento, registrati dal Coletti. Dalla posa della prima pietra il 25 agosto 1636, la storia del complesso domenicano s'intreccia con quella di Molfetta e conosce momenti d'estrema drammaticità. Denso e particolarmente interessante il paragrafo “La tragedia del 1799”, che rievoca, sullo sfondo dell'“insorgenza antirepubblicana molfettese”, lo scempio compiuto dal “popolaccio” ai danni del convento. Motivazioni come il ventilato giacobinismo di alcuni padri e la supposta custodia nel complesso di “armi e polvere da sparo” celavano un desiderio di rivalsa nato da ragioni più strettamente personali, non ultima forse l'attiva creditizia e magari “anche feneratizia” di cui il convento era sede. Altro passaggio nodale il decreto di Gioacchino Murat del 7 agosto 1809, con la conseguente soppressione, nel regno napoletano, degli ordini religiosi. La trattazione s'inerpica – passando attraverso il soggiorno delle benedettine, poi sfrattate, nel complesso – sino al nostro secolo e alla controversia che sorse tra il Comune e il Vescovo intorno alla costituzione in parrocchia di San Domenico. A traghettare le vicende della comunità in questa fase, tra l'infuriare della Grande Guerra, che rallentò la risoluzione della querelle, e il 1965 fu il coraggioso don Ilarione Giovene, dal febbraio 1924 ufficialmente primo parroco di San Domenico. La storia dei successivi parroci, don Alfredo Balducci e, attualmente in carica, don Franco Sancilio, testimonia la posizione nodale assunta dal complesso di S. Domenico in ambito cittadino. L'Auditorium San Domenico si configura quale attivissimo promotore culturale – non vanno dimenticati neanche i Quaderni del Centro Culturale Auditorium; di recente, nei locali della cosiddetta fabbrica, è stata trasferita la biblioteca comunale e vi è stata anche allestita la Gipsoteca dedicata a Giulio Cozzoli. La storia del convento e della Chiesa s'intreccia con quella delle maestranze che lavorarono al progetto edificatorio e dei celebri artisti che hanno contribuito, con le loro creazioni, ad adornare questa “perla nello scrigno della città”. Tra loro Corrado Giaquinto, con la sua “Madonna del Rosario e San Domenico”, e il suo allievo Nicola Porta, autore delle tele affiancate all'altare maggiore, oltre che d'altri dipinti, tra cui un Sant'Antonio. È in generale l'apporto corale di numerosi pittori e scultori ad aver contribuito a tanta delicata bellezza, che si esplica nelle opere di Binetti come di Guacci, di Samarelli, di Zaza, della Bonaduce... de Santis riesce, con pochi felici tratti, a sottolinearne il pregio, confermando finezza di gusto e una preparazione culturale di straordinario respiro. Le sue parole, in validissimo connubio con le fotografie di Modugno – testo ed immagini s'intrecciano felicemente, a complemento l'uno delle altre –, rievocano anche, in controluce, una storia di confraternite, di religiosi, di laici, momenti di devozione e di crisi, generosi donativi. Il tutto, suggellato dalla conclusione di Don Franco Sancilio, che riassume gli eventi dal 2001 al 2008, appare corredato di una scrupolosa bibliografia cronologica e di una pianta della Chiesa, che, traducendo visivamente la disposizione degli ambienti cui si accennava nella trattazione, conclude per immagini la pregevole plaquette.
Autore: Gianni Antonio Palumbo
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