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Pesca sostenibile per uscire dalla crisi. Seminario dell'Osservatorio Nazionale a Molfetta
23 marzo 2015

MOLFETTA - Sviluppare una cultura di gestione responsabile della pesca fornendo norme di buone pratiche comportamentali. E’ stato questo lo scopo dell’innovativo progetto formativo “Qualità Totale Sistema Pesca Puglia” svolto dall’Osservatorio Nazionale della Pesca nelle marinerie di Taranto, Bisceglie e Molfetta dove si è tenuto l’incontro conclusivo con l’illustrazione dei risultati.

“Per 18 mesi – ha spiegato nel suo intervento introduttivo il presidente dell’Osservatorio Nazionale della Pesca Emanuele Sciacovelli (foto) – circa 200 addetti delle marinerie e delle imprese di pesca e trasformazione di Taranto, Bisceglie e Molfetta, insieme agli studenti degli IPSIAM di Taranto e Molfetta, hanno sperimentato una attività di formazione svolta direttamente in barca e nei luoghi di lavoro risultata per questo particolarmente utile ed efficace. Lo scopo è stato quello di far acquisire nuove competenze tecnico-professionali e migliorare così le pratiche di gestione per aiutare il comparto a uscire dal drammatico scenario della crisi garantendo la sopravvivenza del lavoro”.
In particolare sono state quattro le tematiche affrontate: la sicurezza sul lavoro e quella alimentare per offrire pesce di alta qualità, la pesca sostenibile per contribuire alla conservazione delle risorse ittiche e l’efficienza energetica. Una gestione responsabile, ad esempio sul carburante, consente una riduzione dei costi del 20-25 per cento.

Il progetto è stato illustrato nelle sue varie articolazioni e fasi dai docenti che hanno sottolineato l’aspetto continuativo dell’esperienza formativa: le schede di autovalutazione, servite a sviluppare modelli gestionali in base alle esigenze riscontrate nelle singole marinerie, restano disponibili sul sito internet dell’Osservatorio. Ne è seguito un dibattito al quale hanno preso parte rappresentanti delle istituzioni locali e operatori del settore pesca dal quale è emersa la necessità di attrezzarsi per utilizzare al meglio i fondi europei della prossima programmazione 2014-2020 puntando, come per l’agricoltura, alla costituzione di OP per favorire la commercializzazione diretta e aumentare così la redditività.

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Che fare? Molti pensano che la piscicoltura alleggerisca la pressione sulle popolazioni naturali, ma ciò è vero solo se gli organismi allevati non consumano farina di pesce (mitili, vongole e il pesce d'acqua dolce tilapia, che si nutre in prevalenza di vegetali, possono essere allevati senza farina di pesce). Nel caso dell'allevamento del salmone e di altri pesci carnivori, il problema si aggrava, perché i piccoli pesci pelagici – aringhe, sardine, acciughe e sgombri – anziché essere destinati direttamente al consumo umano vengono trasformati in mangime. Di fatto, gli allevamenti di salmone consumano più pesce di quanto ne producano: sono spesso necessari tre chilogrammi di farina di pesce per produrne uno di salmone. Il modo di risolvere il problema della pesca marina in tutto il mondo è una conduzione basata sugli ecosistemi, volta a mantenere o, dove necessario, ristabilire la struttura e la funzione degli ecosistemi entro i quali si trovano le zone di pesca. A questo scopo occorrerebbe considerare le esigenze alimentari delle specie chiave degli ecosistemi (in particolari i mammiferi marini), abolendo le tecniche di pesca che distruggono i fondali marini e istituendo riserve marine o zone di divieto per controbilanciare gli effetti della pesca nelle aree consentite. Queste strategie sono compatibili con il sistema di riforme proposto da anni da ittiologi ed economisti: ridurre drasticamente le potenzialità di pesca delle flotte in tutto il mondo; abolire le sovvenzioni governative che sostengono flotte di pesca in passivo; e far rispettare con rigore le restrizioni sulle tecniche di pesca che danneggiano gli habitat o che coinvolgono specie prive di interesse alimentare. La creazione di aree di rispetto sarà fondamentale per salvaguardare le zone di pesca di tutto il globo. Alcune zone di rifugio dovranno essere vicine alla riva per proteggere le specie costiere, mentre altre dovranno estendersi al largo per tutelare i pesci oceanici. Oggi esistono zone protette, ma si tratta di aree piccole e disperse il cui totale costituisce solo lo 0,01 per cento dell'intera superficie oceanica. Oggi le riserve sono viste dai pescatori – e spesso anche dai governi - come concessioni necessarie ai gruppi di pressione ambientalisti, ma in futuro dovranno essere considerate e gestite come strumenti per la protezione delle stesse specie che alimentano l'attività della pesca. Uno degli scopi prioritari è anche proteggere le specie che vivono a grandi profondità e a distanza dalla costa. Si tratta di specie che erano rimaste al riparo dallo sfruttamento prima che l'industria ittica sviluppasse tecniche atte a raggiungerle. Una pesca di questo tipo significa sfruttare una risorsa non rinnovabile, perché i pesci delle fredde e buie profondità oceaniche sono molto vulnerabili, longevi e hanno un tasso di riproduzione molto basso. Le misure proposte permetterebbero alle aree di pesca di diventare, per la prima volta, sostenibili.
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