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Per una Storia del presente. La ricerca storica di fronte all'età globale (II parte)
30 gennaio 2009

NAPOLI - 30.1.2009 È un passaggio epocale che segna anche in questo campo la crisi dei socialismi e dei comunismi, con il progressivo slittamento dei conflitti da forme di lotta tese, anche se in modo problematico e contraddittorio, all'emancipazione degli individui e delle classi sociali meno abbienti a nuove forme ideologiche, che pur avendo una radice socio-economica, rilanciano i conflitti identitari sulla base della costruzione di appartenenze etnico-religioso-culturali. Conflitti di carattere regressivo che hanno segnato e continuano a segnare la storia di molti paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'Europa. Tuttavia, precisa l'autore, gli odierni localismi e fondamentalismi non possono essere considerati come la semplice riproposizione degli «antagonismi originari». Per quanto concerne i localismi, Soverina sostiene che essi, rispetto ai nazionalismi tradizionali, si caratterizzano per una precisa scelta di divisione, frammentazione e creazione di unità politico-territoriali sempre più piccole, in cui entrano in gioco e in corto circuito l'appartenenza etnica, la lingua, la religione e il territorio. I fondamentalismi, invece, riguardano la sfera prettamente religiosa, ponendosi come reazione alla modernizzazione. Nato nell'ambito della Chiesa protestante degli USA degli anni '20, oggi, osserva l'autore, il fondamentalismo deve essere declinato al plurale, trovando un terreno fertile di diffusione e sviluppo tanto in Occidente quanto nei paesi islamici, segnando in forme e modalità specifiche la progressiva «sacralizzazione della politica» a fronte della crisi delle ideologie laiche. La diffusione dei fondamentalismi, che spesso si intreccia e si complica con il terrorismo di matrice religiosa, si sviluppa sul paradosso della diffusione della critica alla modernità grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione: dalla Chiesa elettronica, dei gruppi evangelici statunitensi, all'uso di Internet da parte di della galassia di Al Qaeda. La ricostruzione del quadro dei «conflitti planetari» culmina con l'analisi della politica unilaterale e della «guerra preventiva», che mirano entrambe a tutelare e promuovere la supremazia politica, economica, militare, scientifica e tecnologica degli USA contro l'ascesa di futuri concorrenti globali. Il «turbo-capitalismo» e l'accelerazione della globalizzazione liberista segnano il sorgere dei «rischi globali», che mettono seriamente a repentaglio la sopravvivenza di tutte le forme di vita sul nostro pianeta. Il consumo dissennato delle risorse naturali da parte della minoranza della popolazione mondiale non è più ecologicamente sostenibile. Nel XXI secolo la corsa al controllo e allo sfruttamento delle principali fonti energetiche, petrolio e gas, sarà affiancata dalla corsa al controllo dell'oro blu: l'acqua. Basti pensare, sottolinea Soverina, che attualmente il 20% della popolazione mondiale consuma l'80% delle risorse idriche, la cui domanda sfiorerà il 100% entro il 2050. La crescente domanda di acqua a fronte della diminuzione della sua disponibilità la rendono sempre più preziosa, favorendone la trasformazione da «bene comune» e da diritto per tutti a merce da privatizzare, sottoponendola, in questo modo, alla devastante logica economica del profitto. Se le «linee di frattura» divengono sempre più marcate, profonde ed estese sia a livello globale che a livello nazionale e locale il pericolo di un «inverno nucleare» non è venuto meno con la fine della guerra fredda, ma, sostiene l'autore, è oggi sempre più attuale, dati sia la notevole consistenza degli arsenali sia l'aumento del numero di paesi che posseggono le armi nucleari. Originatasi a partire dalla Grande guerra e sviluppatasi e perfezionatasi durante il secondo conflitto mondiale con le tecniche di sterminio di massa e l'uso degli ordigni atomici, la barbarie «tecno-burocratica moderna», conclude Soverina, culmina nell'attuale riproducibilità tecnica dell'orrore su scala planetaria a causa dell'adulterazione e della reversione dell'ambiente biotico. Il Novecento, quindi, secondo Soverina, deve essere considerato solo come il secolo degli orrori e delle devastazioni di massa su scala planetaria? Le tendenze che lo caratterizzano sono solo quelle distruttive e nichiliste configurandolo come il «secolo doloroso»? Pertanto, l'autore è da ascrivere alla famiglia dei «catastrofisti apocalittici»? Pur nell'esplicita consapevolezza critica dell'estrema complessità ed ambiguità del XX secolo, Soverina sembra dare maggiore risalto solo ai processi storici culminanti nei «conflitti planetari» e nei «rischi globali». Ed in effetti, i movimenti emancipativi e libertari, che pur hanno attraversato il secolo segnandone alcune svolte progressive fondamentali, insieme ad eventi storici cruciali, quali la rivoluzione sovietica e quella cinese, sono trattati solo marginalmente. A dire il vero, l'autore si sofferma sul popolo di Seattle e sulle sue istanze politiche «innovative», ma l'analisi della formazione e del protagonismo di una «società civile globalizzata» viene offuscata dalla ricostruzione delle «fratture» e dei «rischi globali». Perché? Quella di Soverina di sicuro non è una interpretazione faziosa, ossia ideologicamente pregiudiziale ed «apocalittica» a prescindere, anzi è rigorosamente documentata ed ampiamente condivisibile nelle sue linee di fondo. Dunque, l'autore non è un «catastrofista» per partito preso. Inoltre, la sua sintesi «critico-sistemica» del «presente» possiede l'indubbio merito di contribuire a contrastare anche e soprattutto in ambito storiografico la vulgata neo-liberista, che sino ad ieri celebrava le «sorti magnifiche e progressive» della globalizzazione capitalista e del libero mercato, occultando, se non rimovendo del tutto, i limiti e le contraddizioni di uno sviluppo sempre più insostenibile e fortemente sperequato. Tuttavia, come ogni ricostruzione ed interpretazione anche quella proposta da Soverina è una ricostruzione parziale, in cui alcuni aspetti dei processi storici sono evidenziati in modo maggiore rispetto ad altri. E in questo caso il «pessimismo della ragione», non trovando un'adeguata sponda nell'«ottimismo della volontà», ha fatto sì che fossero poste maggiormente in risalto le forze e le tendenze distruttive operanti nel Novecento. E' come se la crisi dei socialismi e dei comunismi avesse provocato anche in ambito storiografico un calo della tensione utopistica, un «disincanto» incline ad evidenziare solo gli aspetti negativi della realtà storica, facendoci perdere la capacità di individuare le forze e le tendenze emancipative e progressive pur sempre connesse alle spinte di opposta tendenza. Come, ad esempio, avviene nel caso della dimensione territoriale, colta da Soverina nella sua innegabile torsione regressiva e non anche negli altrettanti innegabili aspetti tendenzialmente progressivi, legati alle lotte ambientaliste e ad alcune importanti sperimentazioni di democrazia partecipativa. Come impostazione metodologica di fondo, si tratterebbe di non limitarsi solamente a rovesciare il rapporto «passato-presente», ma di aprirsi anche al futuro, in modo tale da individuare le possibilità ed i sentieri interrotti per proiettarli sull'orizzonte dell'avvenire. Tutto ciò, senza temere che i nostri sforzi di ricostruzione ed interpretazione del passato possano essere considerati privi di fondamento solo perché, in ultima istanza, schierandoci rispetto alle contraddizioni del presente, mireremmo ad indicare, tra luci ed ombre, le forze emancipative e le nuove forme dei conflitti e della partecipazione che tendono a trovare una possibile soluzione ai problemi che ci si stagliano dinanzi, al di là del sistema socio-politico vigente. Quello che si intravede e bisogna valorizzare tanto sul piano storiografico quanto su quello teorico-politico sono le nuove possibilità che sembrano dischiudersi per le lotte incentrate sull'«autonomia» e sulla «partecipazione dal basso», riallacciando il filo della memoria e delle pratiche con le lotte degli anni '60 e '70. Salvatore Lucchese
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