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Pd salva Azzollini (Ncd), l'autosospeso Casson: “Si continua a proteggere la Casta”. Le bugie dell'ex sindaco di Molfetta
09 ottobre 2014

MOLFETTA - “Il significato politico è che con questo voto si continua a voler proteggere la Casta. Per questi senatori (i politici che hanno votato in Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, ndr) si continua a voler creare una barriera al principio d’uguaglianza tra tutti i cittadini di fronte alla Legge”. Queste le amare parole di Felice Casson (foto),  senatore del Pd che si è autosospeso dal gruppo di Palazzo Madama, a seguito della decisione del partito di votare contro l’utilizzo delle intercettazioni del senatore del Nuovo Centrodestra Antonio Azzollini, per cui la magistratura aveva chiesto al Senato l’utilizzo di alcune telefonate in merito all’accusa ipotizzata di truffa in relazione al Porto di Molfetta.

Lo riporta “Il fatto quotidiano” con un’intervista video che vi proponiamo.
Diverse le reazioni a questa vicenda, quasi tutte critiche verso il Pd e la sua scelta di votare contro l’autorizzazione.
Anche il sen. Azzollini ha commentato la vicenda e, pur nella sua qualità di avvocato, ha sostenuto che il contenuto delle intercettazioni era noto da tempo ed era stato anche pubblicato dai giornali, pertanto alcun intralcio era possibile nel procedimento penale che lo riguarda relativo alle accuse di presunta frode da 150 milioni di euro, abuso di ufficio, associazione per delinquere, reati ambientali, truffa e falso.
Prendendo ancora in giro la gente e dando a tutti dell’ignorante Azzollini non spiega, però, che il fatto che le intercettazioni fossero note, non significa che possano essere utilizzate nel processo. Perché allora, non vuole consentire ai giudici di utilizzarle?
Riportiamo anche l’articolo sulla vicenda pubblicato da Peter Gomez, direttore de “Il fatto quotidiano” on line:

«Il senatore Azzollini, un presunto truffatore salvato dalle sconce intese

di Peter Gomez

Ci sono scelte che segnano una vita. Quelle prese dai quei senatori del Pd che, martedì 7 ottobre, hanno detto no all’utilizzo processuale delle intercettazioni contro il loro collega Ncd Antonio Azzollini segnano invece la storia di un Paese.
Senza nemmeno avere il coraggio di spiegare pubblicamente in aula le ragioni della loro decisione, i magnifici sette componenti della giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama hanno votato contro la relazione di Felice Casson, esponente del loro stesso partito. Compatti hanno barattato buon senso e il buon gusto con la volontà di fare un favore ad Azzollini, un potente indagato per associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
Il politico di Molfetta, protagonista dello sperpero di 150 milioni di euro destinati alla costruzione di un porto inutile e mai terminato, è infatti una figura chiave della maggioranza: controlla in parlamento molti voti e soprattutto è presidente della Commissione bilancio, quella che tra qualche giorno dovrà esaminare la legge di stabilità.
Quando lo scandalo è scoppiato e Casson ha detto che il re è nudo (“Si continua a difendere la Casta”), i sette a mezza bocca, spesso chiedendo di non essere citati (per la vergogna?), hanno poi abbozzato una spiegazione: le intercettazioni di Azzollini vanno buttate perché non casuali. Se si mettono sotto inchiesta imprese e funzionari di un comune, sostengono i senatori Pd, i magistrati sanno benissimo che finiranno per intercettare il sindaco. E visto che a Molfetta il sindaco era il povero Azzollini è chiaro, secondo loro, che il presidente della commissione bilancio del Senato è stato incastrato. Il fumus persecutionis dunque c’è. Ed è pure molto spesso.
Questi pavidi luminari del diritto però non hanno fatto i conti con la matematica e gli atti processuali. Le telefonate di Azzollini intercettate – ovviamente non sulle sue utenze – sono state solo dieci nel giro di un anno e mezzo. Con il responsabile tecnico del progetto, per esempio, il senatore ha parlato due volte nel corso di due mesi, con un altro indagato tre volte nel giro di otto. Impossibile sostenere, pure a posteriori, che il presidente della Commissione bilancio avesse relazioni abituali con i protagonisti dello sporco affare del porto.
Ma tant’è. Azzollini doveva essere salvato, costi quel che costi. Doveva restare presidente (anzi presidente azzoppato, visto che ora la parola definitiva sul suo destino spetta all’Aula) per tentare di far passare senza strappi la fiducia sul jobs act e una manovra di bilancio piena di incertezze e buchi. Intanto in Parlamento quasi nessuno si turba se alla testa di una commissione fondamentale per controllare le leggi di spesa siede un signore celebre per aver fatto auto-assegnare alla città di cui era primo cittadino prima 70 milioni di euro (grazie a una legge sul volontariato), poi saliti di anno in anno fino a 150, per la costruzione di un’opera faraonica e dannosa per l’ambiente. Un appalto talmente inquinato da venir definito persino dagli imprenditori protagonisti dello scandalo Expo “una roba esagerata”.
Perché Azzollini è l’uomo giusto al posto giusto. Soprattutto in un Paese che ha scelto di truccare ancora una volta conti e decenza.
La svolta c’è. Ma non è buona. Dimostra a tutta Europa che qui di nuovo qui ci sono solo le parole, che per il resto si va avanti come prima. Con larghe intese politiche e d’affari talmente forti da consigliare a qualsiasi investitore estero di girare al largo dai confini nazionali. Sì, perché di fumus persecutionis martedì sera, nella giunta del Senato, se ne è respirato molto. Ma non ai danni dell’uomo di Molfetta. La vittima era l’Italia. O quel che ancora ne resta».

 

 

 

 

 

 

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Questa volta, dovete perdonarmi ma supererò le mie usuali tre linee. La storia del porto la ricordo molto bene. Quando furono stanziati i primi finanziamenti per la costruzione del porto, scrissi all'on Pagliarini (lega nord) allora personaggio importante credo presidente della commissione bilancio, per chiedere come fosse stato possibile che cosi tanti soldi fossero arrivati a molfetta per la costruzione di un porto la cui necessità non era dimostrata. Il Pagliarini, leghista ma anche realmente federalista, mi rispose che la comunità, nei panni dei suoi rappresentanti, aveva fatto questa richiesta. In più la comunità ,conosciuta la richiesta, non si era opposta anzi, stessa atteggiamento avevano tenuto altri rappresentanti della città nelle varie istituzioni (regione e provincia), quindi, banalmente, cosa poteva fare lo stato se una comunità decideva di spendere i finanziamenti dei prossimi trent'anni per costruire un porto. Il Pagliarini aveva ragione, la città fu entusista del finanziamento, la sinistra (e uso la parola sinistra non per definire un area politiche ma solo per definire un gruppo di persone), salvo pochi, era tra l'entusiasmo e il silenzio rancoroso. L'idea era di costruire un porto che poi servisse a qualcosa visto la vocazione marinara (?) della città,a nessuno salvo me e pochi altri (lettori della pagina economica di topolino) venne la banale richiesta di chiedere uno studio di fattibilità prima di partire con i lavori. Questa analisi poteva essere fatta anche da altri enti (e.g.la regione)mah..... L'idea del porto c'era e c'è ancora, discutibile ma c'è, sicuramente molto meno fantasiosa di molfetta, per esempio, città del turismo e altre vari leggeri pensieri che aleggiano come nebbia nel deserto alle ore 12.


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