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Papa Francesco e Don Tonino Bello: due profili nella storia di Molfetta
Don Tonio alla marcia della pace con Mario Boccia
19 aprile 2018

 "Maria, vergine dell'attesa...Facci capire che non basta accogliere: bisogna attendere. Accogliere talvolta è segno di rassegnazione. Attendere è sempre segno di speranza. Rendici, perciò , ministri dell' attesa".

Don Tonino vescovo

 E dunque attendiamo. Papa Francesco, in questo caso. 

Un Papa va e un altro arriva. Anche se fra il vai e il vieni sono passati cinque secoli e trentasei anni. Molfetta, 33 km dal capoluogo pugliese, è una curiosa città di mare, dove eventi e personaggi di caratura storica si danno appuntamento attraverso i secoli, da San Francesco a Papa Francesco. 

Ma, andando per Papi, il primo fu il Vescovo Giovanni Battista Cybo: nel 1482 lascia il vescovado molfettese; non è certo che ci fosse stato mai, tuttavia vista la sua devozione per la patrona della città, la Madonna dei Martiri, sempre palesata nelle sue dichiarazioni solenni, un decreto papale che mette Molfetta in condizione di indipendenza dalla diocesi Metropolita di Bari e una bolla che assicura indulgenza plenaria ai visitatori del Santuario molfettese della Madonna dei Martiri, si può protendere per una permanenza magari non documentata; parte dunque per Roma e diviene Papa due anni dopo. Col nome di Innocenzo VIII. Fu mecenate del Mantegna e di Pinturicchio, questo me lo rende gradito. Fu piuttosto "turbolento" in gioventù, ed anche dopo in realtà (16 figli, otto femmine e otto maschi, uno dei quali lo rese consuocero di Lorenzo il magnifico). Fu il fautore dell'Inquisizione spagnola e questo me lo rende molto meno gradito. Forse fu l'autentico finanziatore della spedizione di Colombo nelle Americhe. Molte supposizioni potrebbero riscrivere la storia quando troveranno  basi solidissime. Comunque il destino giocò d'anticipo. Morì nell'estate del 1492. 

Molfetta ha una sfilza di vescovi, frattanto, fino ad arrivare nel 1982 (5 secoli esatti da Cybo) a Don Tonino Bello, nato nel 1935 ad Alessano, nel leccese, già vice rettore del Seminario Vescovile di Ugento per 22 anni, che nuovo di nomina vescovile ma non nuovo a prese di posizione,  rivoluziona curia e diocesi, con il suo modo schietto e diretto di richiamare la chiesa alla povertà e alla nuova evangelizzazione.  

Nell'85 diviene presidente di Pax Christi e proditoriamente nel '92 (in questa storia c' è un curioso ripetersi di numeri a distanza di secoli) aderisce ed è tra i più fervidi animatori della Marcia per la diplomazia dei popoli, ormai ricordata come la "Marcia dei 500"  in Bosnia, rompendo l'assedio di Sarajevo.

È già malato di cancro ma questo non è per lui un ostacolo. Il mondo si ferma - nemmeno tanto - a guardare un manipolo di pazzi e disarmati che sotto il vessillo della compassione, religiosi e laici, portano speranza e un lampo di pace in un luogo disperato, incuranti di granate e cecchini. Tutto si ferma. La nebbia li copre. È il 9 dicembre: Don Tonino dirà: è la nebbia della Madonna che ci protegge come un manto. Di fatto nessun cecchino sparerà, non c'è visibilità. A pochi mesi dalla sua morte, che avverrà esattamente il 20 aprile del 1993.

Con quel che accade in Siria ci vorrebbe davvero un'altra Marcia per la Pace, un altro Don Tonino. Un atto di coraggio e contro ogni logica. Don Tonino auspicava eserciti di disarmati, un nuovo ONU dei popoli, che arrivassero ovunque si tramasse la guerra, il più grave peccato  contro la carità, la mancanza di amore per gli esseri umani, negazione del rispetto della vita e della sua sacralità, e per lui l'Amore per l'essere umano era Amore per il suo Gesù. Chissà che avrebbe fatto Don Tonino per la Siria: di certo non sarebbe stato né fermo, né zitto.  

Ho avuto il privilegio di conoscerlo. Le mie conversazioni con lui sono gelosamente custodite nella mia memoria. Mi diede modo di poter fare esperienza di quel presentire che è degli spiriti eletti (mi disse alcune cose che ebbi modo di riscontrare negli anni a seguire), ebbi consigli fraterni, affetto tenerissimo. Antesignano del richiamo alla catechesi della sofferenza, al rispetto della donna, dei piccoli, dei deboli, degli ammalati, dei poveri, cui era particolarmente attento, ha autenticamente vissuto il Vangelo. È morto a  58 anni, in odore di santità, almeno per il popolo. Ha coniato l'espressione "Chiesa del grembiule" per indicare un modo dolce e familiare, premuroso, di mettersi al servizio dei più poveri. Dei bisognosi, dei disperati. A tale scopo creò nel febbraio dell'89 la "Casa di Accoglienza". La sua porta in Curia non era mai chiusa, per nessuno. Ospitò lì anche gente senza dimora, bisognosa, fu derubato, picchiato. Nulla lo distolse dalla sua missione. Era amato da tanti e incompreso da molti. Un Sacerdote di Cristo. Un uomo con un cuore grande. Fratello di tutti. Ha seminato tanto e tutti i vescovi venuti dopo di lui a Molfetta, che è sede vescovile, hanno loro malgrado dovuto confrontarsi con questa immensa figura carismatica, persino ingombrante, pure, una chiave di volta per la Spiritualità delle nostre terre, quale non se ne vedeva dai tempi di San Corrado di Baviera. Don Tonino Bello, già dichiarato Servo di Dio, è  un faro, nella vita spirituale della diocesi. E non solo. 

Ora arriva Papa Francesco, che si richiama molto, nel nome e nelle intenzioni del suo papato, a San Francesco. La sua è una chiesa dell'accoglienza, quella di Don Tonino è una chiesa che mette al centro del suo operare l'accoglienza verso i poveri e i disperati, e si rimbocca le maniche. Sfumature non molto differenti in una pienezza di carismi.

 Venerdì 20 aprile 2018, a 25 anni dal funerale di "Don Tonino"  il Papa dell'accoglienza viene a pregare dal Vescovo dell'agire l'accoglienza. E la Città di Molfetta si prepara a questo storico incontro.

Il luogo pubblico scelto, non a caso - vi si tenne il funerale di Monsignor Antonio Bello - è un punto cruciale: la Banchina Seminario. Lì la terra cinge il mare nel suo porto, e il porto è sempre stato il cuore pulsante della città. Molfetta, l'antica città delle cento chiese, dove ogni famiglia di censo o che volesse averlo, fino agli inizi dell'800, aveva un familiare prete. Col suo porto abbracciato da una Basilica Pontificia a Ovest, di impianto medievale, dedicata alla Madonna dei Martiri, con l'Ospedaletto dei Crociati annesso, dove pare fu ospite anche San Francesco di ritorno dalla Terra Santa, e il Duomo Vecchio, altomedievale, singolare esempio di romanico pugliese, dedicato a San Corrado di Baviera, ad est dall'altra parte. Allineate così, una al tramonto e l'altra al sorgere del sole, le sedi dei compatroni della Città proteggono il suo porto e coloro che vi lavorano. 

 E in mezzo sta sorgendo il grande palco che ospiterà la messa papale,  Papa Francesco, il passato, il presente. Fors'anche il futuro. La Storia, insomma.

Alle spalle del palco dal quale il Papa terrà messa, vi è il Mercato, Piazza Minuto Pesce, ex convento dei Francescani, una storica e solida struttura rimaneggiata, nel modo in cui è oggi, alla fine dell'800 ma in origine una chiesetta medievale poi dedicata a San Francesco, con annesso convento dei Frati Minori Francescani e torri campanarie. Pare che davanti a tale luogo (che aveva il prospetto su spiaggia e scogli presenti allora dove oggi è il porto), San Francesco stesso, che ne fu ospite, abbia compiuto due miracoli che rimasero molto impressi nella memoria dei molfettesi. Tanta devozione e tanto a lungo ne scaturì da far erigere alla fine del XV sec. ad un nobile maggiorente della città, una chiesa dedicata al Santo in quel luogo, a fianco del convento e delle precedenti strutture. Che questo sia un motivo aggiuntivo per cui il Papa abbia scelto tale coordinata spazio temporale piena di storia non è dato sapere. È come se l'ombra di San Francesco, lunga di secoli, toccasse questo odierno evento come lancette di un orologio nell'ora convenuta. I richiami a San Francesco di certo li offre il luogo. E il nome di questo Papa. Un appuntamento in cui si incontrano, quasi misticamente, un Santo, un quasi Beato (nel 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ha avviato il processo di beatificazione di Monsignor Tonino Bello) e un Papa. 

 Il 20 aprile 1993 la Banchina Seminario era gremita di una moltitudine di fedeli di tutta la popolosa diocesi - Molfetta, Terlizzi, Giovinazzo, Ruvo - e anche dall'estero: migliaia di persone per la messa dell'ultimo saluto al suo vescovo Don Tonino Bello. Venerdì 20 aprile 2018, sono attese a Molfetta circa 50.000 persone per questo incontro speciale con il Papa, che verranno a pregare con lui in memoria di "Don Tonino" nello stesso luogo che ne vide le esequie, come ricorda il manifesto rievocativo di "Luce e Vita", settimanale diocesano. 

Se lo Spirito storicizzato parla per segni nella Storia, questo incontro i cui numeri potrebbero essere persino superiori a quelli previsti, è un segno localmente molto forte, un battito nel cuore della Chiesa, che può essere il prodromo di una beatificazione ufficiale di Monsignor Antonio Bello, Vescovo di Molfetta. A fronte di qualcosa di più elevato, non escludendo in un futuro che non possiamo conoscere, l'onore degli Altari, la canonizzazione, poiché di guarigioni miracolose, di grazie, elargite per intercessione di "Don Tonino" il Vescovo di tutti, il popolo ne sussurra già. 

 "Il potere logora chi ce l’ha. Logora perché non è fatto per sfidare il tempo. L’arte sfida il tempo: la poesia, la musica, la cetra appunto. Ma il potere no: i regimi, i governi, la lancia insomma, sono effimeri. Si usurano presto. Non sono generi a lunga conservazione. Coprono solo un segmento di tempo: quanto basta per offrire un servizio. Ma, terminato l’offertorio, si sfibrano: e sfibrano anche i titolari che si ostinano a mantenerli in vita con l’ossigeno…"  (+Don Tonino vescovo)

 Daniela Calfapietro
(Foto di Mario Boccia - La Marcia dei 500)

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