Allora dottore, potremo chiamarla così anche nel caso dovesse essere eletto al consiglio regionale pugliese? «Mi piacerebbe che la gente continuasse a chiamarmi ‘‘Felice’’, come soprattutto i miei pazienti sono abituati a fare, a prescindere dal camice che indosso. Poi è chiaro che io sono un medico, un ‘‘dottore’’, e quel camice è, per me, una seconda pelle che mi sono scelto e che non ho nessuna intenzione di togliere o di ripiegare nell’’armadietto, neanche temporaneamente. Anche se dovessi essere eletto in Consiglio regionale non rinuncerò al mio lavoro, ai miei pazienti, alla mia attività, questo è sicuro. L’unica cosa che so per certo, riguardo al mio futuro, è che sono un medico e continuerò ad esserlo sempre». Perché un medico dovrebbe indossare i panni del politico? Perché non preferire i soliti noti? In cosa differisce dalle altre la sua candidatura? «Io penso che la politica sia in tutto quello che ciascuno di noi quotidianamente fa, nel proprio lavoro, nella propria famiglia, nelle scelte di consumo che compie, nelle scelte di impegno associativo. Anche la scelta di non voler fare politica attiva, è, a suo modo, una scelta politica. I medici, esattamente come chiunque altro, hanno tutto il diritto di portare il loro punto di vista nelle istituzioni e io credo che in questo particolare momento storico, in cui il tema della salute e della buona sanità pubblica diviene centrale nelle nostre vite, chi ha competenze scientifiche o di organizzazione e di funzionamento di un sistema complesso come quello sanitario (che, come noto, è un argomento in cui la Regione ha competenza esclusiva) ha il dovere di fornire il proprio contributo. La politica ha bisogno di competenza e non ci vedo niente di male se un professionista mette a servizio della collettività la propria esperienza o le proprie conoscenze per provare, insieme agli altri, a migliorare le cose. Io penso che il problema della politica, oggi, è proprio che manchino le competenze nelle istituzioni. Ci sono i politici di professione, anche in questa competizione elettorale, che non hanno un lavoro, che non hanno una competenza specifica, che si atteggiano a tuttologi, intervengono su tutto, ma che poi se gli chiedi: ‘‘scusa, che lavoro fai?’’, rispondono in modo vago. Oggi non esistono più, purtroppo, le vecchie ’’scuole di partito’’ che formavano la classe dirigente del Paese, per questo le competenze che oggi servono alla politica e alle istituzioni bisogna cercarle nella società. Ecco, io provo solo a mettere a disposizione del mio territorio il bagaglio di esperienze e competenze che ho accumulato nel corso degli anni, nella mia attività professionale e non solo. Poi saranno i cittadini a scegliere, ovviamente». Quando ha preso la decisione di candidarsi? I più maligni dicono che sia stata presa ai tempi della Carta di Ruvo, è proprio così? «E’ un’accusa che mi ferisce, questa. Quello che ha portato alla “Carta di Ruvo” è stato un processo vero, sano e genuino, di partecipazione dal basso che aveva l’obiettivo di incidere direttamente nella fase di organizzazione dell’offerta sanitaria del territorio, evidenziando le criticità di un territorio ampio come quello del nord-barese che, di fatto, rimaneva privo di un Ospedale di I livello che potesse rispondere, presto e bene, al bisogno di salute dei cittadini. Quella mobilitazione, che mi ha visto protagonista, ha portato la Regione Puglia a riconoscere la necessità di dotare questo territorio di un nuovo Ospedale di I livello che sorgerà tra Molfetta e Bisceglie e per il quale sono stati reperiti i fondi ed è in corso l’iter per la progettazione. Prima di quella mobilitazione, non c’era niente di tutto questo. Io resto convinto dell’idea che fosse meglio riconvertire uno degli ospedali esistenti ad Ospedale di I Livello ma si è ritenuto meglio e addirittura meno costoso costruirne uno nuovo, con le più avanzate tecnologie, piuttosto che ristrutturare completamente uno esistente. Benissimo. Ora bisogna fare presto e bene. Io per questo mi sono battuto e, nonostante tutto, il risultato raggiunto è da considerarsi molto positivo». Ma lei che presidente sostiene? Glielo chiedo perché nei suoi primi manifesti questa indicazione non c’è? «Qui si è creato un equivoco. Evidentemente c’è stato un problema comunicativo, non sono molto bravo e molto esperto in queste cose. E’chiaro che sostengo il Presidente Michele Emiliano, credevo che l’indicazione, sul manifesto, della lista nella quale mi candido, “Puglia Verde e Solidale”, che rientra nella coalizione a sostegno di Emiliano, fosse sufficiente a chiarire il mio ‘‘posizionamento’’. Ma ho visto che su questo si è polemizzato, dicendo addirittura che intendo nascondere il mio sostegno al candidato Presidente. Non è affatto così. Io in questi anni ho costruito un rapporto molto franco e diretto con Michele Emiliano, ci siamo incontrati su tante cose, su molte altre non ci siamo trovati in sintonia. Ma il mio giudizio sul suo operato è, nel complesso, certamente positivo. Sono tantissimi i provvedimenti che ha varato il suo governo regionale in questi anni e che hanno migliorato le condizioni di vita dei pugliesi: penso al Reddito di Dignità che ha anticipato in Puglia di ben due anni il Reddito di Cittadinanza varato a livello nazionale solo nel 2018, ma penso anche a tutto quello che è stato fatto per rilanciare il settore turistico che oggi è una vera e propria locomotiva per il nostro territorio, con la valorizzazione dei beni culturali. Ma voglio citare anche le iniziative per l’imprenditorialità giovanile o quelle per la rigenerazione del patrimonio pubblico, o le battaglie per l’ambiente. Per quanto riguarda la sanità, non possiamo dimenticare che la Puglia ha scalato la classifica dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e oggi rende servizi molto migliori rispetto al passato, anche grazie alle tantissime nuove assunzioni che sono state fatte. L’elenco sarebbe lunghissimo. Avrebbe potuto fare di più e meglio, come tutti nella vita, se solo avesse ascoltato di più i territori e non avesse rincorso un po’ troppo certi giochi di Palazzo o certi spezzoni di centrodestra, cooptandoli nel centrosinistra. Ma è una risorsa per questa regione e per il centrosinistra. E la sua gestione della emergenza Covid-19 ha dimostrato che ha grandi capacità anche organizzative. Sono sicuro che nel secondo mandato saprà fare di più e meglio». Ecco, cosa pensa che sia mancato in questi primi anni di governo di Michele Emiliano? E cosa crede che con Emiliano si possa migliorare nei prossimi 5 anni? «Sicuramente ci sono settori in sofferenza, come l’agricoltura sulla quale il Governo regionale ha pagato una certa indecisione iniziale e scelte ereditate dal passato e non pienamente condivise. Su questo bisognerà fare molto perché l’agricoltura, anche a causa dell’emergenza Xylella che ormai è alle porte di Bari, è davvero in ginocchio, così come bisogna accelerare nelle procedure per l’edilizia ospedaliera. Ci sono territori, come il nostro, che aspettano e ai quali occorre fornire risposte nel più breve tempo possibile. Ma credo che Emiliano debba migliorare in una cosa, soprattutto, la più difficile: la capacità di ascoltare davvero i territori, non rincorrendo il consenso a breve ma cercando di avere una visione di lungo periodo che, forse, in questi anni è mancata. Come immaginiamo la Puglia tra venti o trent’anni? Di questo dovrebbe occuparsi di più il Presidente, piuttosto che rincorrere questo o quel politico locale con il suo pacchetto di voti. Perché quelli sono ‘‘solo’’ voti, il consenso è un’altra cosa». In questi ultimi mesi è stato chiamato a dare il suo contributo nella Task Force istituita dalla Protezione Civile regionale per fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19. Uno dei suoi primi video in cui invitava tutti a restare a casa ha avuto migliaia di condivisioni ed è finito sulle tv nazionali. Oggi cosa si sente di dire ai cittadini su questa pandemia? «E’ stato un periodo incredibile che mi sembra di aver vissuto in apnea, dal momento che abbiamo camminato per mesi sul ciglio di un burrone, col rischio concreto di non poter proteggere il nostro territorio, la nostra gente da un male infido e tremendo. Grazie anche alla felice intuizione del Presidente Emiliano di dotarsi della grandissima professionalità del Prof. Pierluigi Lopalco, luminare in questa materia che avevo già avuto modo di conoscere nel mio percorso universitario, un vero ‘‘fuoriclasse’’ nel suo lavoro, siamo riusciti a fronteggiare egregiamente l’emergenza. Ho visto la sofferenza, il dolore e la morte negli occhi di tanti pazienti, e questo mi rimarrà per sempre dentro. Ma il grande lavoro di squadra che abbiamo fatto ha salvato la Puglia, questo dobbiamo dirlo con grande chiarezza. Quando ci fu la ‘‘fuga di notizie’’ sulla chiusura della Lombardia, con l’assalto ai treni di tantissimi meridionali che volevano scendere al Sud per non rimanere bloccati, abbiamo davvero sfiorato il disastro sanitario. Quella notte Emiliano si ‘‘inventò’’ l’ordinanza con la quale obbligava queste persone a sottoporti a 14 giorni di quarantena in casa. Quella scelta ha salvato la Puglia. Ricorderò per sempre quei momenti terribili in cui avevamo sulle nostre spalle la responsabilità di una regione intera. Ecco, vorrei che nessuno dimenticasse quello che abbiamo vissuto. Il virus circola ancora e occorre, da un lato, che i cittadini continuino ad essere prudenti e, dall’altro, che la Regione si attrezzi, come sta facendo, per essere pronta nel caso in cui ci fosse una recrudescenza dell’epidemia». Sulla sua pagina lei ha rilanciato anche immagini e post di alcuni suoi pazienti alcuni dei quali perfino impossibilitati ad alzarsi da un letto. È la prima volta che qualcuno osa tanto. Perché lo ha fatto? «Perché credo fino in fondo nella dignità del malato e della malattia, che non è una colpa e non limita i diritti delle persone. Incontro ogni giorno i miei pazienti, malati gravissimi, spesso impossibilitati a muoversi e a parlare, eppure sono loro che mi insegnano a vivere, che mi indicano la strada. Non vogliono pietà, vogliono essere riconosciuti per quello che sono: uomini e donne colpiti nel corpo, ma non nello spirito o nelle idee. Antonio, quel mio paziente che ha voluto fosse pubblicata la sua foto con un cartello di sostegno nei miei confronti, non può scendere in piazza a manifestare, non può battere le mani, non può sventolare una bandiera, non può parlare al microfono, però ha voluto partecipare in quel modo, nel giorno della presentazione della mia candidatura a Molfetta, al nostro evento, alla nostra festa. Voleva essere presente, comunicarmi il suo sostegno e darmi almeno un po’ della sua incredibile ‘‘forza’’, e lo ha fatto nell’unico modo che gli era possibile, con quel cartello sul suo letto. E’ stato attaccato, per questo, e questa è stata una cosa incredibilmente grave e triste che mi ha fatto toccare con mano quanto sia volgare e violenta certa politica. Ha addirittura voluto rispondere direttamente, con il sintetizzatore vocale, respingendo ogni accusa e rivendicando il suo diritto a dire come la pensa. Qualcuno davvero vuole negare ai malati questo diritto, per il solo fatto che sono malati? Ecco, io questa esperienza la faccio per loro, per essere la loro voce nelle istituzioni». Nel suo primo comizio lei ha detto che il piano cartesiano nel quale si è sempre mosso il suo pensiero e le sue azioni è direttamente correlato a 3 uomini, ci spiega chi sono e perché? «Le mie tre guide sono mio padre, innanzitutto, che ha rappresentato per me un modello di vita e che porto sempre con me, nonostante ormai non ci sia più da tempo. Cerco sempre un dialogo con lui e sono sicuro che da lassù mi guarda e mi indica la via. Il mio principale obiettivo è comportarmi sempre in modo che possa essere orgoglioso di me, ovunque sia ora. Il mio secondo riferimento è Guglielmo Minervini, un amico, una guida, la prima persona che mi ha avvicinato alla politica come strumento per cambiare davvero le cose. Il suo libro, ‘‘La Politica generativa’’, il suo testamento politico e morale, è la mia ‘‘cassetta degli attrezzi’’ per affrontare questa esperienza. Lui mi ha insegnato che ‘‘potere’’ è un verbo, non è un sostantivo e che l’impegno nelle istituzioni ha un senso solo se migliora la condizione di vita delle persone, soprattutto le più fragili. Questo è quello che ha fatto lui, e questa città, Molfetta, dovrebbe onorare di più e meglio la sua memoria, al di là della meritoria attività che svolge la ‘‘Fondazione Guglielmo Minervini’’, animata da sua moglie, Maria Turtur, e dal suo carissimo amico, Lino Renna. La terza persona che ha segnato la mia vita è Don Tonino Bello la cui presenza a Molfetta, i cui insegnamenti hanno segnato la mia generazione. Noi giovani, negli anni in cui era Vescovo, vedevamo in lui una guida eretica e visionaria, in grado di sovvertire l’ordine costituito e di mettere al centro i poveri, i deboli, gli indifesi. Per questo il popolo lo ha già santificato, a prescindere dal riconoscimento ufficiale del Vaticano. Ecco, io porto il loro impegno, i loro insegnamenti, il loro esempio, le loro visioni con me, sempre. Sono e continueranno ad essere la mia bussola». Lei ha anche detto di non avere segreterie di partito organizzate alle spalle, teme che questo possa svantaggiarla o addirittura avvantaggiarla? «Con questa affermazione non ho voluto assolutamente attaccare o criticare segreterie di partito o forme organizzate della politica, che sono e restano fondamentali nella nostra vita democratica. Ho solo detto una cosa vera: non sono il candidato di un partito, non ho una struttura organizzata che mi sostiene. Sono il candidato di un vasto movimento fatto di persone e di esperienze civiche presenti sul territorio, a Molfetta, Ruvo, Terlizzi, Corato, Monopoli, Bitonto. Da ogni parte della provincia mi giungono ogni giorno messaggi di singole persone o di gruppi civici che mi vogliono sostenere. Sono travolto da tanto entusiasmo e da tanto affetto. E’ un movimento spontaneo incredibile che mi fa toccare con mano la forza di cui può essere capace la buona politica». Ci spiega che significa lo slogan elettorale che ha scelto “in scienza e coscienza”? «E’ un passaggio fondamentale del giuramento di Ippocrate, quello che tutti noi medici, da secoli, formuliamo prima di indossare il camice e iniziare la loro attività. Ma è una espressione che si addice perfettamente anche alla politica: per farsi interprete e portavoce dei bisogni delle persone e per poter risolvere, nelle istituzioni, i loro problemi occorre, da un lato, competenza, e, dall’altro, un bagaglio di valori cui non bisogna mai derogare. Ecco, io ho fatto quel giuramento come medico, e sono pronto a ribadirlo come consigliere regionale». A Molfetta si confronterà con candidature ‘‘pesanti’’, come pensa di convincere gli elettori di centro sinistra a votarla? «Penso di rappresentare, a Molfetta, l’unica vera novità nello scenario politico in vista delle prossime elezioni regionali. I miei competitor (nei cui confronti, sotto il profilo personale, ho la massima stima e la massima considerazione) sono tutte persone in politica da molti anni, alcuni dei quali hanno spaziato dal centrosinistra al centrodestra, a seconda della convenienza del momento. Io posso offrire ai cittadini la mia coerenza, la mia storia personale, le mie idee, l’esperienza che ho fatto in ambito professionale e sociale, sempre dalla parte degli ultimi e dei più indifesi. Sono convinto che i cittadini sapranno apprezzare le differenze e votare liberamente. In scienza e coscienza». In conclusione perché votare Felice Spaccavento? «Perché con un solo voto, si sceglie una comunità intera che ha deciso, coraggiosamente, di raccogliere la sfida del cambiamento e del futuro, mettendo a disposizione tutta se stessa, tutto il suo bagaglio di conoscenze, competenze, rapporti e relazioni per rappresentare nell’istituzione regionale i bisogni di questo territorio. Non ho mai creduto all’uomo solo al comando, ma solo alla forza di un collettivo che ha la capacità di guardare insieme e con fiducia al futuro. Ecco, il voto a Felice Spaccavento non è la preferenza ad una persona, ma ad una comunità che accetta la responsabilità di farsi carico dei bisogni, delle speranze, delle idee, dei progetti di vita di tutti, soprattutto dei più deboli e dei più fragili». © Riproduzione riservata