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Molfetta multietnica prevalgono gli albanesi
15 gennaio 2008

Molfetta ha sempre avuto una doppia faccia, contraddittoria all'apparenza, paradossale, ma evidentemente unita nella propria unicità. Da un lato arroccata nelle proprie tradizioni, punti fissi dogmatici a cui non ci si può sottrarre;sarebbe sacrilego, azzardato. Significherebbe allontanarsi da quell' identità sicura, ben abbozzata, anche da un dialetto che ci appaga, ricco e sfumato, ottimo consigliere. Dall'altro una città cosmopolita, che ha contaminato il mondo con la sua esuberanza, originalità nel marcare ogni cosa di una irripetibile sfumatura, linguistica o comportamentale che sia. E ha spesso accolto con la solita naturalezza gli stranieri, per quanto spesso “estranei” si presentino a quelle consuetudini che ci accomunano e in cui confidiamo. Almeno inizialmente. Con l'incremento di alcuni gruppi, albanesi prima di tutto, il senso comune della gente si è indirizzato verso una prospettiva molto più chiusa, che ha considerato le naturali differenze di costume come degli evidenti fattori di degrado, di negatività di una cultura diversa dalla nostra. Questo soprattutto a causa di alcuni incresciosi episodi di cui alcuni extracomunitari si sono fino ad ora resi responsabili e che hanno portato la gente a porre dei marchi, delle etichette chiare e definite. Secondo gli ultimi dati Istat sono sempre gli albanesi i più presenti fra gli stranieri a Molfetta, se ne contano infatti circa 200. Inoltre è incrementato parecchio il numero dei bulgari, dei rumeni, dei georgiani, per un totale di 800 stranieri, contando solo quelli ufficialmente registrati. Per la maggior parte sono arrivati a Molfetta senza conoscere ovviamente la città, ma grazie ad un passaparola che ha identificato nei loro paesi l'Italia come un paese ricco in cui il lavoro non manca. Certo il Nord Italia è ben più florido ai loro occhi ma in ogni posto le condizioni sono migliori di quella patria in cui è tanto difficile riuscire a trovare un lavoro per sopravvivere. In cui però bastano poveri stipendi “italiani” per poter acquistare una casa e per poter assicurare ottime condizioni di vita alla propria famiglia. Così dalla Georgia molte donne sono arrivate a Molfetta lasciando la famiglia, seguendo magari il consiglio di parenti e amiche già venuti in Italia e trovando facilmente lavoro come badanti o come donne delle pulizie ecc. E sono davvero soddisfatte delle condizioni a cui si sono avvicinate e che hanno permesso loro di assicurare alla propria famiglia degli introiti costanti, che erano venuti a mancare a partire dall'inesorabile declino dell'unione sovietica, dalla quale tutti questi paesi asiatici dipendevano. Gli albanesi invece conoscono molto meglio queste zone, studiano l'italiano a partire dalla scuola elementare e hanno una tradizione migratoria legata all' Italia bel più ampia, quindi il loro viaggio di trasferimento è ben più mirato e non legato al caso come georgiani o rumeni. Per quanto riguarda la vita che conducono qui a Molfetta è per la maggior parte umile e legata a lavori da noi spesso disprezzati, ma nella maggior parte dei casi onesta. Le eccezioni non sono una novità in qualsiasi comunità indipendentemente dalla nazione da cui provengano i suoi componenti. Diverso è il caso dei rom che per religione e cultura sono contrari al lavoro e devono vivere di elemosina. Certo il nostro attaccamento morboso al nostro territorio e alle tradizioni ad esso legate ci portano spesso ad avere un atteggiamento di diffidenza rispetto ad un numero così ampio di stranieri, ma scordiamo spesso le necessità pressanti che ci hanno portato a partire dalla seconda metà dell'ottocento, ad emigrare allo stesso modo alla ricerca di condizioni di vita migliori e che ha fatto sì che le comunità molfettesi animassero ampie zone dell'America soprattutto, ma anche della Germania, dell'Austria e di molti altri Stati più ricchi. Ci è stata offerta una possibilità, che alcuni sono stati abili a sfruttare altri no. Allo stesso modo possiamo concedere agli stranieri molfettesi la nostra accoglienza, dalla quale in termini economici traiamo profitti anche noi, permettendo allo stesso tempo a queste persone di condurre una vita lontana dallo spettro della povertà più mortificante, per sé e per i propri figli, che non a caso Hegel definiva un reato. La varietà è la ricchezza dell'uomo, senza della quale nessuno potrebbe staccarsi dalla terrena naturalità, l'ottica della multietnicità di cui tanto si parla deve investire anche noi e le nostre amministrazioni. E' in questi aspetti, che talvolta riduciamo con semplicità a sottile rifiuto nei confronti dell'accoglienza, che si deve sviluppare quel processo di globalizzazione tanto gettonato, il quale significherebbe altrimenti una presa in giro nei confronti del cosmopolitismo, una ricchezza solo per il portafoglio.
Autore: Giacomo Pisani
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