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Molfetta, in marcia verso la pace
23 gennaio 2012

MOLFETTA - Durante il Mese della Pace, come cita un comunicato, i ragazzi ACR sono invitati ad aprirsi al mondo, per cogliere la bellezza di ciò che c’è fuori, ma anche per riflettere su questioni delicate che riguardano loro coetanei, non così fortunati. Quest’anno l’iniziativa di carità accolta e promossa dall’AC mira a sostenere la costruzione di un centro di detenzione alternativo per ragazze minorenni in Bolivia.
Vogliamo pertanto prepararci a vivere quest’impegno durante il mese di gennaio, come da calendario associativo, puntando ad alcuni obiettivi fondamentali e unitari. Ci sono diritti innati (quelli universali e fondamentali dell’uomo) connessi alla nostra stessa natura umana e altri che, invece, è stato necessario conquistare (come i “Diritti dell’Infanzia” a cui dal 1989 è dedicata una giornata, il 20 novembre).
Il primo obiettivo sarà quello di far comprendere ai ragazzi che i diritti sono dono e conquista da tutelare per sé e per gli altri. I concetti di giustizia e legalità sono spesso intrecciati, ma non intercambiabili (non sempre una legge è giusta, si pensi alle leggi razziali che violavano i diritti fondamentali dell’uomo). Dunque, fine degli educatori, sarà portare i ragazzi a fare esperienza di situazioni in cui non c’è rispetto della legalità (e della giustizia). Il termine “punizione” sembra evocare tempi passati. Siamo nel 3° millennio, animati da correnti di tolleranza e apertura. Eppure, ha ancora senso parlare di punizioni perché esse sono un modo per portare a riflettere e a dare a chi ha commesso errori la possibilità di ri-educarsi, ossia, acquisire gli strumenti più idonei a vivere la società nel modo più giusto e civile possibile.
L’ultimo obiettivo consisterà nel cogliere e far cogliere le differenze tra carcere e centri di detenzione alternativi.
Come di consueto, il Mese della Pace si concluderà con una marcia colorata che sfilerà nelle quattro città della nostra diocesi il 29 gennaio.
 

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Un aspetto della cultura moderna che ostacola la pace è la tecnocrazia. La tecnocrazia, oltre a distruggere la scala umana, rappresenta l'abbandono della misura propria dell'uomo e la sua sostituzione con la misura propria della macchina. Vince il più forte, non il più giusto; vince il più astuto, non il più nobile. Nella civiltà tecnocratica tutto è telecomandato, non dall'alto, ma da lontano (dai computer, dalla legge della domanda e dall'offerta, dalle necessità e dalle convenienze). Nella civiltà tecnocratica si è persa l'immediatezza, quando non la spontaneità, dato che tutto è calcolabile e, almeno statisticamente, prevedibile. Fortunatamente (come questo avverbio rivela, rifacendosi alla Dea Fortuna), l'uomo moderno non vive solo di tecnocrazia, cioè sotto il potere della tecnologia; ma se il rifugiarsi nel mondo interiore, benché difficile, è possibile, fuggire dal mondo esteriore è praticamente impossibile: ci muoviamo, viviamo e siamo in un mondo artificiale. Anche la pace risulta prefabbricata e artificiale. Alcuni diranno che questo è il futuro dell'uomo: tutto è calcolabile, tutto è prevedibile. Sembra che superare il nostro mythos ci risulti impossibile quanto scavalcare la nostra ombra. Non ci viene di pensare che si tratta anche di sostituire il “tecnocentrismo” con un sano “pluralismo culturale”. I mezzi puramente tecnologici non ci potranno mai aiutare a capire e, meno ancora, a risolvere i problemi ecologici ed economici dovuti, in buona parte, alla rottura dei ritmi naturali. Il problema è antropologico, geologico e anche teologico. Stiamo toccando il fondo. Ciò nonostante, tutte le soluzioni trovate finora non sono che astrazioni e teorie: più scuole (come?), più denaro (da dove?), più informazione televisiva (perché), più tecnologia (per risolvere problemi che non sono tecnologici). Quarantamila bambini muoiono ogni giorno di malattia dovuta alla denutrizione. Gli esperti affermano che con meno di un dollaro per bambino, si potrebbe evitare l'ottanta per cento delle morti. Vogliono farci credere che la soluzione è possibile. Allora, dal momento che non mettiamo in atto questa possibilità, siamo criminali tutti? E' da quarant'anni che sappiamo come risolvere il problema, ma la situazione generale non ha smesso di peggiorare e nessuno osa mettersi contro le “vacche sacre” che mantengono il sistema, ovvero la tecnocrazia. Abbiamo bisogno di una nuoca concezione dell'educazione. Il nostro progetto deve essere interculturale e multi religioso. Uno implica l'altro, in virtù del legame intrinseco tra religione e cultura. La risposta non può essere tecnologica, ma deve essere antropologica (chiedersi chi è l'uomo). Il nostro problema è la PACE. PACE che è impossibile in un simile sistema tecnocratico perfezionato, perché diventa superflua in quanto cessa di essere un valore. Il più astuto, il più abile (non il più intelligente) o il più forte imporranno l'ordine. Ciò che ora è l'ordine naturale sarà l'ordine di chi sta al governo della grande macchina tecnocratica (“di chi riuscirà ad afferrare le redini del sistema”?). (Tratto da: - Pace e disarmo culturale – Raimon Panikkar)
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