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Molfetta com’era nella rassegna “Storia sotto le stelle”
15 settembre 2019

L’associazione Eredi della Storia e le associazioni Combattentistiche e d’Arma di Molfetta hanno riproposto la rassegna “Storia sotto le stelle”. Attraverso la visione di filmati con immagini d’epoca, è stata ricostruita la storia di Molfetta per capire come eravamo e come si viveva nella nostra città durante il periodo della prima guerra mondiale. Il titolo dell’evento culturale è stato “Molfetta com’era”. Relatori il grande ed assai compianto presidente dell’associazione Eredi della Storia, dott. Michele Spadavecchia (prima della sua improvvisa scomparsa) e il cav. Sergio Ragno dell’Istituto Nazionale del Nastro Azzurro (sezione di Molfetta). Molfetta nel 1915. La città del Duomo dalle due torri conta quasi 50.000 abitanti, tre volte di più rispetto ad un secolo prima. L’agglomerato urbano si estende da via Madonna dei Martiri a via Crocifisso, a piazza Paradiso, alla chiesa dei Cappuccini, al nuovo Corso Umberto fino alla villa comunale. L’abitato non toccava ancora la stazione ferroviaria ed era ben poco rispetto alla estensione attuale. Le attività fondamentali sono l’agricoltura e la pesca. Mentre i marinai occupano tradizionalmente la parte vecchia della città, i nuovi quartieri sono abitati da contadini, da proprietari e dalla nuova borghesia, dai facili alti e bassi. Dopo un periodo florido è l’ora della crisi e di un crescente movimento migratorio, frattanto nel porto non esiste una sola barca a motore. Pur non nuotando nell’oro, la città, proprio in questo periodo, entra nel vivo di un processo che la modernizzerà e ne cambierà il volto. Le case comuni cominciano ad essere costituite da più di un ambiente unico (fornito di letto, focolare e mensa). L’illuminazione elettrica esiste già dal febbraio 1898 ma è solo da un anno che l’acquedotto pugliese ha intrapreso la costruzione delle fontane di Molfetta, ponendo fine alle diffuse malattie epidemiche, l’ultima delle quali, il colera del 1910, ha mietuto oltre mille morti. La lira ha ancora potere d’acquisto: una stanza costa circa mille lire, una vigna ottocento. L’istituto Apicella già campeggia sulla strada per Terlizzi ed è in piedi anche il nuovo liceo classico a ridosso dei giardini dell’ospedale, che ha sostituito nell’istruzione secondaria della città, il vecchio ginnasio ecclesiastico. Le mura del centro storico sono ancora divise dal borgo da un antico fossato e già una banchina le separa dalle onde dell’Adriatico. A piazza Municipio governa Graziano Poli. Al seminario vescovile che, proprio quell’anno si era trasferito da Lecce, il vescovo Pasquale Picone fa installare un nuovo orologio sulla facciata e detta una frase in latino che cinga il quadrante, parole semplici e profetiche in quel momento storico: “L’ora che scorre mostra che voi siete mortali”. Il 24 maggio 1915 l’Italia entra in guerra con l’Austria-Ungheria, l’interventismo ha vinto, tutta la nazione è sconvolta, anche Molfetta. Gli uomini vengono richiamati alle armi, le attività si bloccano e anche il porto che era arrivato a contare 2.000 navi tra arrivi e partenze si blocca. Dal 25 luglio la pesca nell’Adriatico è vietata. Il 9 giugno sul campo di Battaglia di Montenegro il Tenente Angelo Losito è il primo caduto molfettese. Intanto sono cominciate le incursioni austriache sulla città, il primo giugno un aeroplano bombarda la zona della stazione. Il 27 giugno il sindaco Graziano Poli invita il paese a dare una giornata di reddito e di stipendio per le famiglie dei richiamati in guerra. Il 5 agosto l’asilo di infanzia offre rifugio e assistenza a 250 figli minorenni di soldati partiti per la guerra. Ancora bombardamenti navali l’11 agosto del 1915 sulla costa verso Giovinazzo e il 12 agosto 1915 verso Bisceglie. Ma com’era davvero la vita all’epoca? La ricostruzione storica avviene attraverso le immagini d’epoca di un filmato di Ilario Amato e Nicolò Spadavecchia. Sono intervistate le ultime persone che ricordano come si viveva in quel momento storico. I nostri ultracentenari. La signora Domenica Mastropasqua è nata il 24 giugno del 1902. Ci racconta i suoi ricordi d’infanzia negli anni attorno alla grande guerra. Le carrozze del nobile napoletano Fraggiacomo, una per la famiglia e una per la servitù che passavano per le strade, tra la sorpre- Molfetta com’era nella rassegna “Storia sotto le stelle” sa dei bambini. I lampionai che arrivavano nelle strade al mattino e toglievano il ciocco di carbone consumato e biancastro, che aveva illuminato il buio ponendo già un ciocco nuovo per la notte seguente. La signora Lucrezia Farinola, invece, è nata il 9 giugno del 1904 e ci racconta della sua vecchia casa a pianterreno, in via Daniele Manin, tre stanze da dividere tra nove figli, di cui otto femmine, che il padre della signora poté mantenere e sistemare tutti, grazie alla rendita di un piccolo fondo. Niente acqua e riscaldamento a legna. Marce notturne di ore ed ore per arrivare in campagna. Se i miei genitori vedessero il mondo di oggi, lo scambierebbero per il paradiso, ci ripete la signora, che ama raccontarci dei bagni del vecchio Don Cristallino e anche della castissima tenuta da mare dell’epoca, oltre che, del rosario che ad agosto riuniva il vicinato nelle strade. La signora Concetta Immacolata Poli è nata l’8 dicembre del 1897 e ha frequentato il liceo classico. La sua memoria è ancora agile e capace di recitare poesie in francese. Don Michele Carabellese appartiene alla classe 1911 e le bombe se le è davvero viste piombare sulla testa: “Mi ricordo benissimo questo episodio. Papà, sentendo i rumori dell’aereo salì sul tetto di casa. Cadde, nel giardino nostro, una bomba. Per grazia di Dio non scoppiò! Altrimenti sarebbe stato un disastro e lui ritenne una grazia speciale questa. Noi eravamo molti figli. Papà ebbe quattro figli e poi rimase vedovo. Successivamente sposò una ragazza appena diciasettenne da cui ogni anno ebbe un figliolo, per cui eravamo in diciotto. L’ultimo che rimane sono io. Poi anche per la luce in casa ci si arrangiava con il candeliere con l’olio. C’era molta miseria. Le vacche portavano il latte per strada almeno eravamo sicuri che era latte per davvero”. Allora la città era “all’oscuro” e si girava con le lanterne, aggiunge la signora Concetta Immacolata Poli. I gabinetti? Niente gabinetti racconta. La notte passava carro e si udiva una voce che diceva: “Oh, chi viene?”. Andavamo a svuotare l’acqua sporca e tutto il resto. Lo chiamavano “u’ prìese”. Era pitale, una vaso da notte di creta. C’era uno stipo con un buco da cui entrava e usciva l’aria e lì c’era “u’ prìese” dove uno andava a fare i “bisogni suoi”, racconta la signora Immacolata Concetta. Molfetta era presidiata da soldati. Sui tetti più alti furono impiantati dei posti di guardia e di vedetta contro gli attacchi aerei. Il segnale del pericolo era di giorno una grande bandiera rossa, lasciata sventolare dalla sommità e di notte, in mancanza d’altro, la voce. Anche le tradizioni popolari cedono il passo alla guerra, per tre anni a Molfetta non si svolgono neppure le storiche processioni della settimana santa. Sono anni bui. Caporetto fu la più tremenda disfatta della prima guerra mondiale. Una voce molfettese da Caporetto è quella del signor Francesco Regina, attraverso la testimonianza di suo figlio Giuseppe. Il signor Regina parte diciottenne nel 1915, era un bersagliere ciclista e si guadagnò varie medaglie nonché un encomio solenne. Quando si trovò per la prima volta nel mezzo di una battaglia non poté fare a meno di esclamare: “E’ cos’è questa? La festa della Madonna dei Martiri?”. A Caporetto c’era anche lui, combatté con valore e salvò la vita al suo concittadino Sebastiano Mastropasqua, costringendo due barellieri a tirarlo fuori da un fosso, mentre li minacciava con la pistola. All’associazione Mutilati ed Invalidi di guerra e presso gli Eredi della Storia si tenta di preservare la memoria dei caduti, ufficiali, ad esempio, come il Tenente Ragno o il capitano Domenico Picca, medaglia d’oro nel 1918, sul cui cadavere fu ritrovato un foglio con queste parole: “Vado contro il nemico con animo sereno e a cuore fermo per la salvezza e la gloria dell’Italia nostra”. Quando e perché è stata fondata l’associazione Mutilati e Invalidi di guerra? Subito dopo la prima guerra mondiale, risponde Sergio Ragno, per mantenere vivo il ricordo dei combattenti che avevano dato tutto per la patria e che tutto avevano perso. Era necessario che essi si ritrovassero e si riunissero per far valere insieme i loro diritti. Vi era un gran numero di invalidi tra i combattenti, chi era cieco, chi senza gambe o braccia. I mutilati cominciarono ad avere le pensioni di guerra o qualche terreno dallo Stato come risarcimento dei danni subiti dalla guerra. L’associazione prestava opera di assistenza sociale e sanitaria, fu anche creato, nell’ospedale di Molfetta, un reparto esclusivamente dedicato agli invalidi e ai mutilati. Anche le vedove di guerra ricevevano assistenza per le pensioni e buoni alimentari, per far sì che le loro famiglie potessero andare avanti. Per i caduti molfettesi della prima guerra mondiale esiste un registro con nomi e foto. Furono oltre 700 mentre 1.500 gli invalidi. Questo fu il prezzo che la nostra città pagò. Poi, continua Sergio Ragno, furono avviate le procedure per dare dei nuovi nomi, in ricordo dei caduti, alle strade di Molfetta nella prima zona di espansione, che si estendeva dal lungomare fino alla stazione, passando per via Baccarini. L’ultimo reduce del primo conflitto morì negli anni Ottanta, aveva quasi cent’anni. Frattanto la guerra continua a farsi sentire con violenza e il 27 luglio del 1916 avviene un bombardamento aereo su via Amedeo e via Rattazzi. Sette furono le vittime. Siamo a Molfetta e la grande guerra è passata anche da qui. Tuttavia il progresso non si ferma e il 28 agosto 1917 l’acqua del fiume Sele è finalmente a disposizione di tutti i molfettesi. Presso il liceo classico fu creata una sezione straordinaria in più nel 1919 per i militari che interruppero gli studi a causa della guerra. Giuseppe Rotondo apparteneva a una nobile molfettese ed è stato uno dei nostri studenti-soldato. Era un latinista, parlava in latino e traduceva senza scrivere. Al suo ultimo anno di frequenza si era subito schierato con l’interventismo. Giuseppe partì volontario e, per quante ricerche siano state fatte, non si seppe più nulla di lui. © Riproduzione riservata

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