Mimmo Amato,il dialetto vissuto come lingua identitaria
'Il dialetto nobile vissuto come lingua identitaria della nostra realtà cittadina' (così commenta le caratteristiche della lingua di Domenico Amato il prof. Damiano d'Elia, presidente del CCA) si rende l'elemento nodale della gradevolissima serata (domenica 24 aprile) presso il Centro Culturale Auditorium “S. Domenico” atta a presentare la silloge “Chjêngaréddërë”. Alla sua quarta raccolta, Mimmo Amato si configura come artista versatile. Dedito anche alla scrittura e alla pratica teatrale, evidenzia doti attoriali notevoli (insieme alla brava e sensibile Lucia Amato) nell'intensa interpretazione delle proprie poesie. A introdurre la silloge Loredana Pietrafesa, musicista, autrice del poeticissimo e struggente romanzo “Al merlo che canta sull'ultima casa di Cleo” e di innumerevoli raccolte (“Cortecce, “Argini e fondi”, “Io che sono di luna”, “Se esiste un cielo” e altri titoli). La scrittrice riconosce a “Chjêngaréddërë” una forza comunicativa straordinaria, con risultati egualmente validi nella versione dialettale e in quella italiana a fronte. Certo, “la lingua italiana è un medium eccezionale per la sua versatilità, ma è un semplice tramite. Il dialetto è diretto, immediato”. Tutt'altro che facile si rivela, inoltre, la poesia di Amato. “Il linguaggio è lontano dalla facile assonanza ricercata a tutti i costi”. È un linguaggio che mira alla pura introspezione e “quanto più è arcaico, tanto più si trasforma in spazio espressivo in cui isolarsi, tentare la fuga”. I motivi fondanti di “Chjêngaréddërë” sono la meta-poesia, con le parole 'ora palombelle dispettose' ora scolari in frotta, il mare, sorgente inesauribile di ispirazione, e la fanciullezza. “Ma Amato non vive di attese e ricordi. La sua poesia ci insegna che nulla è più appagante di una vita semplice. Che il presente è un terreno neutro, in cui sperimentare conquiste, e il futuro va sfidato”. Con alcuni intermezzi musicali, affidati al sempre bravo pianista Emanuele Petruzzella e all'esperto basso Onofrio Salvemini, la parola passa alle creazioni di Amato. Rivive il mare come 'liquido amniotico' e paradiso mai perduto. L'alta riflessione sulla natura del poetare è ricondotta a immagini quotidiane e non per questo meno poetiche, con Amato che nutre le parole come colombelle con molliche, mentre i suoi pensieri si colorano della vitalità gioiosa di 'batterie di mortaretti'. L'anima stessa si fa parola e il creato diviene libro. E l'amore... Bellissima una poesia tratta da “Fascìddë”. Le coppie di amanti sono destinate sulla terra a naturale separazione. Colpisce il ribaltamento degli usuali tópoi legati al concetto di 'morte'. Chi parte 'naviga i fiumi bianchi', è 'illuminato dai mattini', a chi resta spetta il compito di affidare all'eternità della scrittura ciò che di eterno è racchiuso nello scrigno d'ogni storia d'amore. Una poesia che è memoria, che sa fingersi cieli e arabescare futuri densi di sole. Riscattare persino la vita dei senzatetto. Scorgervi quella dignità che ai più rimane celata.
Gianni Antonio Palumbo