Mercato ittico, lenta e inevitabile agonia
Le cause: crollo della produzione e scelte sbagliate
L'avvio della produzione dello stabilimento della Scap (Società cooperativa armatori da pesca) che ha realizzato l'impianto per la conservazione del pesce fresco in atmosfera protetta, ha riportato al centro del dibattito politico quello che sembra essere un ammalato terminale: il Mercato Ittico. Uno starnazzare fuori luogo e forse fuori tempo a difesa della struttura mercatale pubblica, per decenni l'unico interlocutore privilegiato della marineria molfettese. Periodicamente il Comune ha sostenuto spese di ristrutturazione e ammodernamento. L'ultimo intervento risale nel'94 con la spesa di circa 4,5 miliardi di vecchie lire. Uno stato di cose inamovibile fino al '92, cioè da quando una direttiva europea ha sancito che la prima commercializzazione poteva anche avvenire fuori dalle strutture pubbliche, purché i soggetti avessero avuto determinate caratteristiche. In pratica la fine del monopolio pubblico.
I dati sono eloquenti: dalle 4.388 tonnellate del 1993, nel 2001 al Mercato Ittico sono state conferite 1.348 tonnellate di pescato. Un trend costantemente negativo, da fallimento. I motivi di questa decadenza quantitativa ma anche qualitativa sono molteplici, alcuni di carattere generale, altri di natura endogena. La riduzione della materia prima, il pesce, e i continui costi crescenti per i pescherecci, sono lo scenario con cui tutte le marinerie italiane stanno facendo i conti. Che il problema sia serio lo dimostra il massiccio ricorso alla rottamazione delle barche. Inoltre nuovi e più convenienti canali commerciali hanno spinto gli armatori ad abbandonare la struttura pubblica.
Ma mentre nelle altre città marinare si sono intraprese iniziative economiche e commerciali, coinvolgendo tutti i protagonisti nell'organizzazione e gestione del mercato, a Molfetta nonostante i vari campanelli d'allarme, i suggerimenti e le proposte per ripensare ad un'organizzazione mercatale diversa, per evitare l'esodo dei motopesca, tutto è rimasto come prima.
E' mancato essenzialmente chi fosse in grado di capire i nuovi scenari per prospettare soluzioni lungimiranti. Invece il Comune ha sempre svolto una mera funzione burocratica, i concessionari hanno fatto affari e i pescatori hanno rastrellato il mare. Fin quando il ritorno economico era soddisfacente per tutti, nonostante i mugugni, si tirava avanti. Finito il periodo delle “reti piene” i punti deboli sono emersi in tutta evidenza. Fattori come: rigidità degli orari, modalità di vendita arcaica, diffidenza tra gli operatori, un approccio culturale conservativo anziché innovativo, l'indifferenza del ceto politico, hanno determinato una risultante: il “Mercato” conferisce al pescato uno scarso valore aggiunto.
All'improvviso la questione è ritornata al centro del dibattito delle forze politiche.
A partire in “quarta” è stata “Forza Italia” che con un manifesto pubblico intitolato “Qualcuno vuole far chiudere il mercato ittico” fa riferimento all'avvio dell'attività di un'azienda di conservazione del pesce (Scap), la quale effettuerebbe la commercializzazione non prevista sottraendo pescato al Mercato Ittico. Inoltre si invita il sindaco ad intraprendere le iniziative a difesa della struttura mercatale pubblica. Certo, è curioso che un partito di maggioranza come Forza Italia, con due assessori e ben 7 consiglieri comunali senta il bisogno di rivolgersi al sindaco con un manifesto da partito d'opposizione, con un invito a muoversi che sembra un ultimatum.
Un'altra stranezza è che proprio “Forza Italia”, che ha nel suo fondatore l'alfiere dell'iniziativa privata, si erga a paladina di una struttura pubblica decotta, attribuendo ad un'azienda privata, in attività solo da qualche settimana, le cause della decadenza in atto da 9 anni.
Sussulti anche nell'opposizione che aveva chiesto una seduta monotematica sul tema, rivendicando che sul futuro del Mercato Ittico, solo il Consiglio Comunale può dettare le scelte per salvaguardare una struttura patrimonio storico della marineria molfettese, non certo il sindaco su sollecitazione di un manifesto. Alla fine il Consiglio comunale ha partorito un ordine del giorno con l'indirizzo di affidamento della esternalizzazione della gestione agli astatori.
Fonti vicine all'Amministrazione comunale parlano di ricerca di finanziamenti per automatizzare le procedure di vendita e orari flessibili per rispondere alle esigenze dei motopesca. Basterà questo per rilanciare il “Mercato”? Le perplessità non mancano perché si ritiene che gli stessi attori compartecipi dello stato attuale del “Mercato”, all'improvviso siano in grado di cambiare il modo di essere e di operare prima di se stessi e poi del “Mercato”. Speriamo.
Vedremo come si evolverà la faccenda, non vorremmo trovarci di fronte alla classica chiusura della stalla dopo che i buoi sono scappati. Una cosa, però, le forze politiche debbono dire alla città con chiarezza: qual è l'utilità sociale di un mercato pubblico, se mai lo ha avuto.
Se il cittadino-contribuente rischia di farsi carico di una struttura economicamente perdente, almeno gli venga spiegato il motivo. E ci risparmino l'aspetto nostalgico e romantico di un Mercato Ittico emblema di una marineria florida e l'orgoglio della città, una cartolina ormai sbiadita.
Certo vedere il Mercato Ittico caduto all'attuale livello non fa piacere a nessun molfettese. Ma dal 1931, anno di nascita del “Mercato”, ad oggi molte cose per fortuna sono cambiate, e chi pensava che il modo di essere ed operare del “Mercato” sarebbe rimasto immutato, ha fatto i male i conti non con “Tizio” o “Caio”, ma con il mercato globale e le moderne tecnologie.
Francesco del Rosso