Mentre è ancora in corso il procedimento penale a carico di Alberto Deflammineis, rappresentante legale della ditta “Ing. Mazzitelli Orfeo SpA” (prossima udienza, il 29 gennaio), il Comune di Molfetta – come apprendiamo in queste ore – ha siglato un nuovo accordo con l'impresa, il cui rappresentante è oggi sul banco degli imputati. E, se non può che stupire la lodevole tempestività con cui l'ente comunale e la ditta sono pervenuti a questo ennesimo “patto” (del quale si dà conto nell'articolo qui a fianco), giova, d'altro canto, riproporre alcuni dei più significativi passaggi della turbolenta vita dell'impianto di compostaggio di Molfetta: un'esistenza, questa, puntellata da numerosi altri tavoli di concertazione (alcuni riusciti, alcuni solo tentati) e, soprattutto, da numerose altre “soluzioni transattive”, il più delle volte risultate largamente inefficaci. Sarà bene, per l'appunto, riavviare il memorandum sull'impianto di compostaggio proprio dalla prima delle “convenzioni”, quella siglata il 13 luglio 1990, e, soprattutto, dai fatti che, molto a fatica, le fecero seguito. Dalle parole ai fatti: le prime schermaglie, i lavori e l'esercizio provvisorio (1991-1998) La stipula della convenzione, sottoscritta dal Comune di Molfetta e dall'Ati (costituita dall'impresa “Ing. O. Mazzitelli” e dalla britannica “Newell Dunford Divisione Tollemache” di Misterton Dancaster), riguardava la progettazione, la realizzazione e l'affidamento in gestione, per una durata decennale, di un impianto di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani e di fanghi residui da impianti di depurazione. Il progetto, successivamente approvato anche dall'amministrazione provinciale, prevedeva originariamente una portata pari a 85 tonnellate di rifiuti al giorno, sia differenziati (frazione organica) sia indifferenziati. Tale portata, negli anni, avrebbe subìto un sensibile incremento fino a quadruplicarsi nel 2000, quando il Comitato tecnico scientifico della Provincia di Bari, pur non essendo intervenuta alcuna consistente modifica dell'impianto, si sarebbe mostrato favorevole a innalzare la portata massima a ben 270 tonnellate di rifiuti, distribuite su più turni di lavoro. A dare però i primi segnali di “insofferenza” al progetto fu, per paradosso, proprio una delle imprese che avevano preso parte all'accordo del 1990: a meno di due anni dalla convenzione, infatti, la Tollemache (che all'impianto prestava la tecnologia) dichiarò, con una nota ufficiale, che il contenuto della convenzione non era “ad essa riconducibile”. Dopo il 'disconoscimento' dell'impresa partner, le “grane” per Mazzitelli non cessarono. Anzi. La discarica molfettese sita in contrada “Coda di Volpe” fu sequestrata e l'impresa, secondo accordi, dovette provvedere al trasporto e allo smaltimento dei rifiuti urbani. I costi dell'operazione furono terreno di contrasto con l'Ufficio tecnico comunale e con l'Amnu: ne nacque un contenzioso e, nel 1993, una “transazione”, del tutto precaria e destinata a risolversi solo sei anni dopo. Nel maggio 1995 ebbero inizio i lavori di costruzione dell'impianto. Il ministero dell'Ambiente, frattanto, aveva finanziato l'opera con un importo pari a 15 miliardi di vecchie lire. A dieci mesi dall'avvio dei lavori, venne, però, una prima sospensione: la Provincia di Bari accertò che gli interventi eseguiti non corrispondevano al progetto approvato. L'impresa provvide – et voilà! – a riadattare il progetto, ottenendo – et voilà! – le ulteriori approvazioni del Comune di Molfetta e della Provincia di Bari. I lavori, ripresi nel giugno del 1998, furono ultimati in meno di un mese. L'impianto ricevette anche il placet del commissario delegato all'emergenza rifiuti il 18 ottobre del 1998, quando fu disposto il suo esercizio provvisorio, in attesa del collaudo. L'«esercizio provvisorio» andò avanti per molto tempo ancora e, fra una proroga e l'altra, quell'atteso collaudo ebbe luogo soltanto l'8 febbraio 2000. I ricorsi, i decreti ingiuntivi: inizia la guerra delle carte bollate (1999-2001) Con un'ordinanza del 1999, al direttore dell'Asm fu data facoltà, dal Comune di Molfetta, di effettuare accertamenti e controlli sull'attività dell'impianto, ormai entrato in funzione. Prima ancora della sua attivazione, inoltre, l'allora sindaco Guglielmo Minervini ordinava al concessionario Mazzitelli di fornire all'Asm e agli enti locali i dati quindicinali relativi alla quantità e alla qualità della frazione organica proveniente dalla raccolta dei rifiuti affluiti all'impianto. Quei controlli non ebbero mai luogo, perché all'Asm fu fisicamente impedito l'accesso all'impianto. Le relazioni tra la ditta “O. Mazzitelli spa” e i suoi pubblici committenti, del resto, erano già irrimediabilmente compromesse nel novembre 1999, quando l'impresa presentò due ricorsi al Tar: uno, nel quale veniva avanzata richiesta di un risarcimento, “per danni subìti” dall'impresa, per una cifra complessiva pari a oltre 8 miliardi di lire, che avrebbero dovuto versare il Comune di Molfetta e l'Asm; l'altro, nel quale, veniva rivendicata, fra l'altro, la proprietà dell'impianto. Ulteriori richieste della Mazzitelli vennero poi nei mesi successivi: ancora 1 miliardo veniva preteso dall'Asm, cui pervennero, nel marzo 2001, ben due decreti ingiuntivi. L'azienda municipalizzata si costituì in giudizio, rigettando quelle richieste, mentre, con decreto commissariale, veniva ordinato all'impresa Mazzitelli di consegnare l'impianto nella custodia del Comune di Molfetta, come previsto dalla convenzione con il Ministero dell'Ambiente che aveva disposto l'ingente finanziamento pubblico a favore della Mazzitelli. La ditta, per parte sua, allora come molte altre volte ancora, si dichiarò proprietaria dell'impianto. Mai lo scontro fu più eclatante. La “guerra di Mazzitelli”, però, era appena cominciata.
Autore: Massimiliano Piscitelli - Tiziana Ragno