MOLFETTA - La tragedia del “Francesco Padre” e dei suoi 5 marittimi morti nell’affondamento del motopesca molfettese nella notte del 4 novembre 1994 al largo del Montenegro, di cui “Quindici” si è occupato più volte con articoli e inchieste, arriva in Parlamento: martedì 9 marzo, alle 14.30 nella sala del Mappamondo della Camera dai Deputati, in un incontro il giornalista Gianni Lannes autore del libro “Nato, colpito e affondato, la tragedia insabbiata del Francesco padre” edito dalla “Meridiana” di Molfetta e il parlamentare Idv, Leoluca Orlando, proporranno ufficialmente l’apertura di una commissione parlamentare d’inchiesta.
A dare la notizia è la testata giornalistica diretta da Lannes,
Italia Terra Nostra, che rilancia la tesi dell’affondamento che il peschereccio, colpito per errore durante un’esercitazione della Nato, sarebbe stato affondato per nascondere l’incidente.
La Procura di Trani ha riaperto l’inchiesta con la speranza di recuperare i resti del comandante Giovanni Pansini, del motorista Luigi De Giglio, del pescatore Saverio Gadaleta, del capopesca Francesco Zaza (il corpo del marinaio Mario De Nicolo fu ritrovato poche ore dopo la tragedia) e soprattutto il relitto del natante in cui sono evidenti i forti dei proiettili e si può stabilire che l’esplosione è avvenuta dall’esterno del peschereccio, smentendo la versione ufficiale della presenza di armi ed esplosivi a bordo.
Lo stesso deputato dell’Idv, Orlando aveva presentato il 27 gennaio scorso alla presidenza del Consiglio e ai ministri di Esteri, Interni, Difesa, Infrastrutture e Ambiente un’interrogazione parlamentare con richiesta di risposta scritta, di cui riportiamo il testo:
«Per sapere - premesso che: nella notte del 4 novembre 1994, in mezzo all'Adriatico, morirono 5 pescatori italiani (Giovanni Pansini, 45 anni, Luigi De Giglio, 56 anni, Saverio Gadaleta, 42, Francesco Zaza, 31 anni, e Mario De Nicolo, 28), a causa dell'affondamento del peschereccio «Francesco Padre» di Molfetta (La Stampa, 4 novembre 2008);
a distanza di 16 anni, il relitto del motopeschereccio molfettese, giace ancora a 243 metri di profondità nel mare Adriatico, a venti miglia dalla costa montenegrina e i corpi dei primi quattro risultano ancora dispersi in fondo al mare;
sull'intera vicenda ha sempre «aleggiato» l'insinuazione che sul Francesco Padre vi fosse un illecito trasporto di materiale esplosivo che, di fatto, avrebbe provocato l'esplosione, mentre dai documenti ufficiali risulta che «nessun residuo di esplosivo è stato rinvenuto sui resti rinvenuti, ma solo tracce di idrocarburi combusti» (pagina 84, Gianni Lannes, «Nato: colpito e affondato», La Meridiana, 2009);
Francesco Mastropierro, ingegnere navale e componente della Commissione d'inchiesta della direzione per i sinistri marittimi di Bari, non ha dubbi: «l'affondamento del Francesco Padre è stata una conseguenza diretta della deflagrazione di un ordigno esplosivo che si è venuto a trovare in corrispondenza della rete appena recuperata dal fondo», e gli fa eco l'ingegnere Vito Alfieri Fontana, consulente del magistrato: «L'esplosione è avvenuta all'esterno dell'imbarcazione, diffondendosi all'interno dello scafo»;
nell'area dove pescava il «Francesco Padre» - zona di rilascio delle bombe Nato a partire dal 1992 - era in corso l'operazione Nato «Sharp Guard», e che oltre ad un velivolo dell'Usaf e alle corvette italiane Fenice e Sagittario, stazionavano le unità da guerra «Uss Yorktown», «Hmcs Toronto», «Sps Tramontana», «Hnlms De Reuyter», «Sps Baleares», ed altre non identificate;
un telex riservato emesso dalla «Direzione Marittima di Bari» ha chiesto a Comparare Molfetta «copie autentiche bandi interdizione/pericolosità emanati con validità 03 et 04 novembre 1994»;
la magistratura non ha mai acquisito i tracciati radar registrati dalle navi e dagli aerei che perlustravano l'Adriatico 24 ore su 24. Non sono state mai richieste al Pentagono le fotografie satellitari del cosiddetto «incidente» nella «jettison areas» o quantomeno i rapporti integrali delle unità da combattimento. E nessun giudice ha mai osato domandare alla national security agency, copia delle registrazioni radio e telefoniche intercettate dal sistema «Echelon». I testimoni oculari dell'esplosione, i piloti nordamericani a bordo del velivolo P3c Orion non sono stati mai identificati. E neppure il vice ammiraglio José A. Martinez Sainz-Rosas, comandante della fregata spagnola «Baleares» è stato mai interrogato (pagina 67, Gianni Lannes, «Nato: colpito e affondato», La Meridiana, 2009);
la Procura della Repubblica di Trani (pubblico ministero Elisabetta Pugliese e poi Giancarlo Montedoro, gip Giulia Pavese), dirottata dalle contraddittorie tesi del consulente Giulio Russo Krauss (docente all'università di Napoli e all'Accademia navale di Livorno, nonché consulente della Nato, e che interrogato successivamente sul caso ha risposto: «adesso non ricordo nulla»), ha archiviato il caso nel 1997;
il procuratore aggiunto Pasquale Drago si è opposto alla riapertura delle indagini poiché «un eventuale recupero dello scafo adagiato su di un profondo fondale marino - a parte gli elevati costi dell'operazione si muoverebbe nella stessa direzione della mera ricerca delle cause del sinistro, avulsa da qualsiasi concreta prospettiva di pervenire alla identificazione di eventuali responsabili»;
una nota del direttore marittimo Nicola Armando Romito (14 agosto 2002) attesta che «il giudice per le indagini preliminari ha disposto la confisca e la distruzione dei corpi di reato»: una decisione mai comunicata ai familiari delle vittime (pagina 83, Gianni Lannes, «Nato: colpito e affondato», La Meridiana, 2009);
l'11 luglio 1993 si era già sfiorata la tragedia: il «Francesco Padre» mentre era impegnato nella pesca in Adriatico, venne rimorchiato per circa 1,5 miglia verso est-nord-est da un sommergibile Usa a propulsione nucleare. La barca italiana subì una forte inclinazione, tanto da rischiare l'affondamento. Il governo Usa indennizzò il comandante del Francesco Padre con 9.554 dollari a condizione di non rivelare nulla;
in base alle conclusioni della Commissione d'inchiesta della direzione marittima si evince che il «Francesco Padre» era in attività di pesca;
ai familiari delle vittime dell'affondamento del «Francesco Padre» il nostro Governo aveva elargito sulla carta (decreto 1105 del 7 dicembre 1994) 50 milioni a famiglia e la somma non è stata mai erogata;
sull'intera vicenda è stato apposto il segreto di Stato con un decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 luglio 2009;
a offendere la memoria dei cinque marinai, delle loro famiglie e di tutta la marineria molfettese, oltre che accusa di trasporto illegale di esplosivo a bordo riportata tra l'altro (corrieredelmezzogiorno.it, 16 novembre 2009), è la mancanza di risposte certe e il rifiuto dell'autorità competente al recupero del relitto -:
di quali informazioni disponga il Governo in ordine alla vicenda e quali iniziative intenda adottare per fare piena luce sull'accaduto, eventualmente anche intervenendo in sede Nato affinché siano acquisiti ulteriori elementi conoscitivi (rapporti ufficiali delle unità presenti quella notte: navi, sommergibili, aerei), e valutando l'opportunità di riaprire il caso;
se non valuti necessaria l'esigenza di rimuovere tutti i segreti militari e di Stato: facendo piena luce sui responsabili della strage e la catena di comando che avrebbe occultato la dinamica reale dell'affondamento, recuperando ciò che rimane delle salme e dando degna sepoltura alle vittime;
se corrisponda al vero che l'indennizzo di 50 milioni a famiglia da parte del Governo ai familiari delle vittime stabilito nel decreto n. 1105 del 7 dicembre 1994 non sia stato effettivamente corrisposto, e in caso affermativo, quali iniziative si ritenga opportuno adottare;
quali attività di recupero e bonifica nel mare Adriatico da ordigni e materiali bellici il Governo intenda intraprendere, oltre a quelle già effettuate.(4-05884)».