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Magie du cinéma I nostri detti memorabili
15 luglio 2000

di Marco de Santis Questo torrido caldo d'estate mi fa pensare per contrasto alla frescura notturna dei cinema all'aperto, alla fragranza dei fiori ornamentali delle arene. Sprofondando nel buio accogliente del ricordo, rivedo davanti agli occhi il viso dolce e luminoso di Ingrid Bergman in Casablanca. E, come per incanto, rivive la grazia sovrana di un sorriso fascinoso che si accende nella bruma perlacea della pellicola in bianco e nero. Sento perfino la musica non appena la Bergman, o meglio Ilsa, chiede al caro Sam di suonarle al pianoforte, "in ricordo dei vecchi tempi", la struggente melodia di As time goes by. E vedo anche la piega sinuosa e perfetta dei capelli biondi incorniciare l'ariana e sofisticata bellezza di Grace Kelly, che risplende in tutto il suo fulgore nei fotogrammi a colori di Caccia al ladro, mentre corre sulla strada della riviera monegasca allarmando con la sua guida troppo disinvolta il compassato Cary Grant. Ma se vado ancora più indietro nel tempo, tornano a galla le sequenze della fanciullezza e le fragorose risate che riempivano le sale cinematografiche al ritmo del saltellante ritornello di The dance of the cokoos, la musichetta che ha accompagnato per oltre vent'anni le buffe figure di Stanlio e Ollio in quasi un centinaio di esilaranti pellicole. Da diversi anni, a Molfetta, l'unica sala cinematografica disponibile è quella del Cinema Teatro Odeon, ma negli anni Sessanta del Novecento c'erano ancora il Cinema Corso, il Cinema Fiamma, il Supercinema e il Cine-Teatro Viale. Come Roma ebbe il suo Pidocchietto, così anche Molfetta ha avuto il suo Pëdëcchjìddë. Per gli anziani l'autentico Pëdëcchjìddë era e rimane il cinema Apollo, sorto nel 1945 in un ex trappeto di Via Crocifisso n. 72. Ma per i ragazzi che nei primi anni Sessanta scorrazzavano nel Rione Baccarini il Pëdëcchjìddë era l'Odeon, quando non raggiungeva il più che dignitoso livello attuale. Allora infatti la gestione preferiva, più che la qualità, la quantità, accontentandosi di una programmazione popolare con 2 films 2, che attirava soprattutto frotte di giovanotti e ragazzini. Leggo nel prezioso saggio di Massimo Memola Tra effimero e reale (Molfetta, Mezzina, 1988) che l'Odeon aveva inizialmente 349 posti di platea e 171 di galleria, ma ai miei occhi di bambino le poltrone di legno sembravano di più. Ogni generazione ha il suo dialetto. Quello che per i vecchietti col sigaro toscano o con la pipa era u cënëmêtógrëfë (il cinematografo) o addirittura u cinëmêtófrëchë, se il film era una fregatura; per noi ragazzi del Rione Baccarini era semplicemente u cìnëmë, il luogo della fantasia in cui ci si poteva identificare con i buoni e con le coppie protagoniste, che com'è ovvio erano canonicamente costituite da iddë ed èddë, lui e lei, senza triangoli borghesi. Nei locali cinematografici allora non circolavano bevande a base di coca o di acqua "tonica" o "brillante", ma prevalentemente le gassose (rë gazzòësë). Allora non si trangugiavano patatine e pop-corn, ma si addentavano soprattutto i trastullini (lë spassatìëmbë), cioè i semi secchi salati di zucca, e i ceci abbrustoliti (lë cìcërë frittë), venduti col misurino. Quello che mi divertiva di più, quando la pellicola non era troppo coinvolgente, era guardare e ascoltare la gente attorno a me. Infatti, immancabilmente, se il film non era piaciuto al grosso del pubblico, c'era sempre qualcuno che ironicamente gridava dal fondo: Fàuuë arréëtë! (Fallo di nuovo!). Qualche volta la divergenza nei gusti era generazionale. Mentre i giovanotti fumavano le sigarette, come si addice ai veri uomini, e andavano naturalmente in sollucchero per il décolleté e le belle gambe delle stelline e delle stelle di turno, tipo Sylva Koscina, noi ragazzini un po' tonti e senza malizia sgranocchiavamo le caramelle e andavamo in visibilio per i possenti bicipiti e i pettorali del prestante Steve Reeves nei film Le fatiche di Ercole ed Ercole e la regina di Lidia, due record d'incasso del 1958, ma che noi vedevamo all'Odeon di terza o quarta visione nei primi anni Sessanta. Ognuno ha l'istruzione che la famiglia o la volontà gli permette, ma nell'ambiente dell'Odeon i più erano ignari dell'inglese o semianalfabeti, specialmente gli anziani, i manovali, i praticanti e i garzoni. Allora c'era proprio da sbellicarsi per come essi tentavano di leggere o ripetere i nomi dei divi stampati sui manifesti. Qualche volta la storpiatura era anche intenzionale, ma non meno divertente. Gingeròggë, ad esempio, non indicava un gingerino o altra bibita analcolica, ma la flessuosa attrice e ballerina Ginger Rogers. Similmente Freddastàrrë non era una nuova marca di frigoriferi, ma il suo inseparabile compagno Fred Astaire, il re del tip-tap. Mêccaròënë non era un volgare "maccherone", bensì il Mickey Rooney di Capitani coraggiosi e I ponti di Toko-Ri. Analogamente Ròcchë u sóënë non valeva come minaccia per dire "Rocco lo suona", ma era la pronuncia anglo-molfettese di Rock Hudson, l'interprete del western Il figlio di Kociss e dell'avventura I fucilieri del Bengala o di film artisticamente migliori. Gàrigo per non era un motto interrotto o una formula matematica priva del moltiplicatore, bensì la lettura di Gary Cooper, il protagonista di Saratoga e Mezzogiorno di fuoco. Ggià lu ìssë non rientrava tra le locuzioni dello slang italo-molfettese per chiedere "Già lo esci?", ma era la sgangherata dizione di Jerry Lewis, lo spassoso comico delle commedie Il nipote picchiatello e Le folli notti del dottor Jerryll. Ancora, Lobbèrtë mittë chjùmmë non significava "Roberto, metti piombo", benché di piombo ne sprecasse molto nelle sparatorie, ma era la voluta deformazione di Robert Mitchum, il versatile interprete delle pellicole di guerra I forzati della gloria e Odio implacabile e del film western Poker di sangue. Cialtronéstë non voleva essere un improbabile ibrido fra "cialtrone" e "onesto", ma l'ennesima storpiatura ai danni di Charlton Heston, il Mosè dei Dieci comandamenti e il Ben-Hur dell'omonimo kolossal. Ciò che mi faceva sorridere di più, tuttavia, era Chirë du gàssë, che non corrispondeva a "Quelli del gas", i ragazzi che portavano le bombole a domicilio, come immaginai di primo acchito, ma era nientepopodimeno che la pronuncia ufficiale di Kirk Douglas, il duro con la fossetta al mento di Sfida all'O.K. Corral e Spartacus. Cose d'altri tempi. Tempi né più belli né più brutti di quelli attuali, ma sicuramente più semplici e spensierati.
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