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Le Quattro Giornate di Napoli tra storia ed arte (II parte)
17 settembre 2007

NAPOLI - 17.9.2007 Situata all'interno del Museo didattico multimediale dell'Istituto (MUDIM), la mostra contesta queste immagini riduttive delle Quattro Giornate, ricostruendo il contesto degli eventi storici rievocati suggestivamente dalla forza pittorica delle tavole di Raffaele Lippi, il cui antifascismo fu il frutto di un percorso di “liberazione” personale, pregno di una “rabbia” rimasta desta per l'intero arco della sua esistenza. Come è stato acutamente osservato, “i dodici disegni contro il fascismo non sono una lontana rievocazione a decenni di distanza; sono invece il coinvolgimento emotivo dell'artista in un percorso tragico trasposto nella sua memoria, vivo, capace di destargli furori e invettive […]”. Furori ed invettive che ben esprimono e sintetizzano le reazioni comuni alle generazioni vissute e formatesi durante il ventennio fascista. Antifascismo esistenziale ed antifascismo etico-politico si intrecciano nella vita e nell'opera di Lippi, divenendo la “cifra” interpretativa del percorso museale. In effetti, la rivolta napoletana deve essere considerata come un “evento sintesi”, in cui è possibile riscontrare sia elementi di antifascismo esistenziale e spontaneo sia chiari e determinanti fermenti di antifascismo politico-culturale. Questi ultimi sono debitamente documentati con l'esposizione di due copie de Il proletario – giornale comunista clandestino pubblicato a Capua a partire dal giugno '42 e diffuso anche a Napoli – e de La Barricata, un foglio di ispirazione liberale redatto e pubblicato, tra gli altri, dall'allievo di Benedetto Croce, Alfredo Parente, proprio durante gli scontri delle Quattro Giornate. Dopo avere illustrato le fasi iniziali del fascismo e la tragica sorte di Don Minzoni, Matteotti e Gramsci, vittime della violenza squadrista e della persecuzione politica del regime, rievocato l'ingresso in guerra dell'Italia, la mostra procede dalle foto dei bombardamenti di Napoli, che contribuirono a minare il consenso dei napoletani verso la dittatura fascista, a quelle dei monumenti eretti in memoria dei civili e dei militari trucidati dai soldati tedeschi a Marano e a Giugliano di Napoli (queste ultime immagini documentano solo in minima parte gli eccidi, gli scontri e le devastazioni compiute dai tedeschi nella nostra regione, episodi pazientemente ricostruiti da Francesco Soverina nella sua carta degli scontri in Campania). Inoltre, vi sono le foto delle salme dei caduti del Vomero – tra le quali quella di Adolfo Pansini, figlio dell'artista napoletano Edoardo, che insieme al comunista Antonio Tarsia e al capitano Enzo Stimolo, guidava al Liceo Sannazaro il Fronte Unico Rivoluzionario – che rievocano e documentano alcuni dei tragici avvenimenti che videro Napoli protagonista del suo riscatto e della sua liberazione. A conclusione del percorso, la foto della distruzione del fascio littorio, che, collegandosi con la “macabra” ed “ironica” tavola di Lippi dedicata alla Fine del ventennio, rappresenta, con una notevole incisività iconografica, il crollo del fascismo e la liberazione dell'Italia dalla barbarie nazifascita. In sostanza, si tratta di una mostra che da un punto di vista storiografico ricostruisce il contesto – il prima e il dopo – in cui si collocano le Quattro Giornate, per smentirne l'immagine, ancora oggi diffusa, di una jacquerie frutto del ribellismo apolitico dei napoletani, sottolineandone, invece, alcune delle diverse matrici politico-culturali che ne furono alla base. Da un punto di vista didattico, la mostra intende proporre alle nuove generazioni un percorso di approfondimento e riflessione basato sul rapporto interdisciplinare tra storia ed arte, in modo tale da consentire agli studenti l'individuazione dei nessi intrinseci tra gli eventi storici nazionali e locali con le loro rappresentazioni artistiche ed esistenziali. Inoltre, la ricostruzione documentaria del quadro storico di riferimento che fa da sfondo alle opere di Lippi contribuisce a rendere maggiormente comprensibile non solo la sua produzione pittorica ispirata al ventennio, ma anche e soprattutto la carica di “rabbia” e “furore” che i suoi dipinti ancora oggi trasmettono, quasi a testimoniare il fatto che “[…] la Resistenza non è finita, che la lotta per la liberazione non si è conclusa con l'abbattimento del regime fascista. Non si è ancora attuata quella società nuova, più giusta e più a misura d'uomo, per la quale i partigiani hanno combattuto e sono morti. Non possiamo ancora deporre le armi”. Salvatore Lucchese
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