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La sinistra come impegno sociale e culturale
15 gennaio 2005

“Sinistra” è termine che evoca un impegno. Impegna a cercare le ragioni della sua stessa esistenza, del suo rinnovamento e dell'autonomia della sua cultura. Impegna a ricominciare da capo, tutte le volte che si fallisce”. Così recita l'editoriale, di Vito Copertino, dell'ottavo numero de 'Le passioni di sinistra' (nella foto, la copertina), periodico di approfondimento politico e culturale: seguono contributi costruiti con lucidità, precisione, partecipazione emotiva. In “Arafat addio” di Raffaele Porta, la figura del rais è delineata con lievi pennellate: il sorriso, il senso tutto orientale di un'ospitalità carica di premure, la mitraglietta dietro una sedia, brusco richiamo a una realtà tutt'altro che elegiaca... Alle memorie di un incontro subentra l'analisi politica, che respinge l'idea della morte di Arafat come possibile preludio a una pacificazione tra israeliani e palestinesi, quasi fosse l'esistenza del rais a costituire un ostacolo insormontabile. Edo Ronchi sonda problematiche legate al tema della sostenibilità ambientale, partendo dalla Londra inizio secolo, culla del termine e del concetto di smog: il nebbione del 1952, col suo corollario di 4000 morti, non manca di mostrare gli effetti della ribellione naturale alle storture umane. Interessantissima l'incursione di Ottavio Marzocca nei meati del 'biopotere', con riferimento ai corsi del Collège di France tenuti da Foucault tra '70 e '84. La perversa perpetrazione di meccanismi atti a garantire la piena prosperità di 'razze superiori', con conseguente tanato-potere su presunte 'sottorazze', conosce il suo triste apogeo nel delirio nazi-fascista del secolo scorso, ma ombre sinistre si addensano anche sul santificato stato sociale, col suo 'far vivere e lasciar morire'. Il Mare nostrum, trasformato in monstrum, è oggetto dell'analisi di Alberto Altamura: la sponda meridionale del Mediterraneo è ritratta in perenne e scatenato war game, e, se in essa continuano a combattersi 'guerre per le risorse', è in realtà alla guerra stessa che deve essere riconosciuto il ruolo di principale risorsa. Massimo Veltri si occupa di sviluppo sostenibile, con attenzione al concetto di 'infrastrutture', mezzi di collegamento di realtà sparse sul territorio, ma anche 'azioni di intervento attivo in ambiti territoriali che presentano particolari emergenze'; Francesco Ciari illustra la storia del 'Centro Fatima Zoocriadero', in Amazzonia, che, con la sua utopica volontà di frenare il depauperamento della foresta allevando gli animali selvaggi nel loro habitat, ripropone il contrasto tra slanci di idealità e pigrizia pratica ravvisabile in sporadici e isolati tentativi di opposizione allo status quo. Poi il problema delle risorse energetiche, l'illusione dell'idrogeno panacea d'ogni male nell'articolo di Silvio Boccardi, l'analisi di una legge truffa varata dal centrodestra per le elezioni regionali, misto di faccia di marmo e furbizia di prestidigitazione (Michele Losappio), a fare da pendant, in un pirandellianamente complesso gioco di verità nascoste, a una manovra fiscale annunciata a suon di fanfara dal governo come svolta epocale, con presunti consistenti risparmi per i contribuenti. Per Francesco Mancini si tratta di un luminoso esempio di come, per nascondere la verità, non sia necessaria la menzogna: basta che i riflettori siano puntati su aspetti secondari e decisamente trascurabili di determinate questioni, a occultarne le storture. Quello di Gaetano Cataldo è un attento sguardo sul terzo Forum Sociale Europeo, con particolare interesse per il Regno Unito e la sua natura d'isola, in tutti i sensi; Marcello Piepoli si sofferma sull'articolo 2112 (cessioni di rami d'azienda), e su come, progettato quale difesa del lavoratore, si sia trasformato in strumento di vessazione. Spessore filosofico notevole hanno le riflessioni di Marino Centrone sulla fine delle narrazioni e di Ruggero Gorgoglione sul 'logospotere'; la storia del presepe tratteggiata da Giuliana Tatulli si muove tra suggestioni eduardiane e scenari dicotomici tra lusso e povertà nella storia italiana, con il profilarsi di una dilemmatica scelta: deludere una bambina o deturpare un bel presepe in terracotta affiancandogli quello dei brutti personaggi sfornati in serie da una nota marca di ovetti di cioccolata? Elegiaco e raffinato il racconto sull'intrecciarsi di solitudini di Raffaele Cappelluti, tra nomi mozartiani e ossessivo prolungamento di un si bemolle maggiore; commosso ed equilibrato il ricordo di Salvatore Colonna di Nino Mastropierro. Notevole interesse rivestono i contributi su scuola e università (autori Rossana De Gennaro, Francesco Masi, Damiano de Virgilio, Gaetano Magarelli, Gaetano Ragno, Milena Bruno, Rosalind Innes): si delineano scenari apocalittici di precarietà a vita, di applicazione dei medioevali e clientelari sistemi delle università italiane anche alle scuole secondarie col trionfo dei brutti, raccomandati e cattivi. L'anomalia della condizione dei lettori di lingua straniera, la ghettizzazione e l'approssimazione formativa dell'istruzione professionalizzante sono solo alcuni aspetti dell'articolato progetto di distruzione di Madama Moratti e cricche varie. Si auto-riproduce così il dramma di una società preda delle strategie di combinazione di bugie, guadagno e violenza del governo (Pasko Simone): nella poco edificante realtà in cui politici, profumatamente pagati per posare sorridenti in TV dopo aver mandato i nostri ragazzi a morire a Nassirya, guadagnano di più di chi insegna ai più piccini a leggere e scrivere, l'immagine del bambino in copertina, warholianamente moltiplicata in sfumature cromatiche sempre differenti, urlante, col digitus infamis in bella mostra, mi sembra l'icona più appropriata della rabbia di chi non dorme il proverbiale sonno in cui sono da tempo sprofondati tanti italiani. Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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