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La sindrome da “illusione democratica”
15 febbraio 2021

Dopo due mesi e mezzo di verifica (e paralisi) amministrativa il sindaco Minervini ha annunciato la nuova giunta reimpastata, con vecchi assessori che tornano in giunta con nuove deleghe e assessori nuovi di zecca. Cosa è cambiato nel programma? Non si sa, data l’assenza di novità per il programma di fine mandato. Perché alcuni assessori sono stati spostati, ad es. nei settori dell’urbanistica, dei lavori pubblici e della Polizia locale? Anche questo non è dato sapere. Dunque tutto sembra essere stato un aggiustamento di poltrone per fare spazio ai nuovi ingressi in maggioranza da parte di consiglieri eletti con il centrodestra, Pino Amato e Fulvio Spadavecchia. E proprio questo rappresenta un singolare epilogo per una verifica apertasi su richiesta del Partito democratico locale che, dopo le elezioni regionali e il salto della quaglia di Saverio Tammacco e Tommaso Minervini dalla coalizione di Michele Emiliano a quella di Raffaele Fitto, sembrava voler porre una questione di principio al sindaco, avanzata in vista di una maggiore chiarezza sulla natura della coalizione. Ebbene, dopo due mesi e mezzo di incontri, la verifica chiesta dal Partito democratico si conclude con una conferma delle proprie posizioni istituzionali – la presidenza del Consiglio comunale a Nicola Piergiovanni e l’assessorato a Gabriella Azzollini – e un allargamento della maggioranza a destra, con buona pace di tutte le anime belle del Partito democratico e di una certa sinistra “a sinistra” del Partito democratico. Si tratta ancora una volta di una delusione per quanti in città – osservatori, battitori liberi, ex iscritti democratici, filodemocratici, progressisti vari, ex-comunisti e post-comunisti in disperata ricerca di identità, radicali movimentisti e para-anarchici – sono rimasti spiazzati dall’esito di questo verifica. Si tratta di quanti avevano accarezzato il sogno di una ricomposizione e di un ricongiungimento con il Partito democratico che finalmente tornava all’ovile e invece... nisba. Com’è noto ogni delusione riposa e si fonda su un’illusione. Quale sarebbe l’illusione di questi democratici e sinceri progressisti, cittadini e gente di sinistra in perfetta buona fede? L’illusione è semplicemente quella di considerare il Partito democratico ancora un partito e un’organizzazione di sinistra. Del resto come si possa considerare di sinistra un partito nato nel 2007 e basato nell’ordine sull’equidistanza tra impresa e lavoratori, sulla scelta istituzionale a favore del bipolarismo maggioritario anziché del sistema proporzionale, sulla politica economica contraria all’intervento pubblico e redistributivo della ricchezza prodotta, sulla scelta di campo di un acritico europeismo servile nei confronti sia della Germania che degli Stati Uniti (a seconda di chi sul momento tira più forte il guinzaglio), sulla ripetuta disponibilità a formare governi di larghe coalizioni con Alfano e Berlusconi – ebbene – non si capisce come si possa considerare di sinistra una siffatta formazione politica che in generale, secondo i canoni della scienza politica, sarebbe da classificare pacificamente come una forza liberaldemocratica centrista o al massimo di centrosinistra. Sicuramente a questo tragico malinteso ha contribuito e contribuisce la gestione culturale e mediatica dell’eredità maggioritaria del Pci poi diventato Pds poi diventato Ds e poi diventato Pd, la guerra condotta durante tutta la Seconda Repubblica, e anche dopo, contro qualsiasi tentativo di rafforzamento e costruzione di una sinistra autonoma nella sua identità culturale e nel suo posizionamento politico. Ma diciamo pure che queste considerazioni di ordine generale non fanno i conti con quello che è concretamente a livello locale il Partito democratico, con quello che è stato in questi anni e continua ad essere. Un’organizzazione correntizia che coalizza di volta in volta gruppi storici e gruppi nuovi e che in forza di un simbolo nazionale riesce a garantire una buona eleggibilità, un simbolo assolutamente neutro che riesce a far convivere senza grandi problemi ex-iscritti al Partito comunista, ex-iscritti alla Democrazia cristiana, ex-iscritti al Partito socialista, ex-iscritti a parecchi partiti della Seconda Repubblica (Alleanza Nazionale, Forza Italia, Sinistra Ecologia e Libertà, Verdi). Cosa è dunque a livello locale, non solo a Molfetta, il Partito democratico? Un contenitore che riesce a garantire l’esistenza di gruppi di interesse e di potere che si contendono semplicemente spazi di gestione amministrativa delle risorse. Un contenitore fortemente instabile al suo interno proprio per questa sua particolare costituzione. Un contenitore la cui instabilità e frammentazione correntizia interna si traduce in instabilità anche per le amministrazioni a cui concorre, in tal senso è stata rivelatrice a Molfetta l’esperienza del Partito democratico come elemento destabilizzante durante l’esperienza amministrativa della giunta Natalicchio. Come si possa guardare a un soggetto di tal fatta per riorganizzare un campo politico alternativo all’attuale amministrazione risulta davvero arduo. Così come risulta davvero singolare l’atteggiamento di delusione di certa sinistra “democratica” che sperava a un certo punto in una trasmutazione del Pd “cattivo” finalmente in un Pd “buono” che torna al proprio posto “naturale”. I fatti invece hanno dimostrato la durezza della realtà e cioè che è quello il posto del Partito democratico, a Molfetta con Tommaso Minervini e Saverio Tammacco, così come a livello nazionale negli anni passati con Mario Monti, insieme ad Alfano, Berlusconi e Casini e domani chissà con Mario Draghi, insieme ovviamente a Berlusconi, Renzi e anche Salvini. Certo, uno poi può anche individualmente essere convinto che valga la pena condurre una battaglia politica interna al Partito democratico per spostarne i famosi equilibri e meritare il dovuto rispetto per questo, ma nel frattempo non può pensare di presentarsi – sempre visti i famosi rapporti di forza – come appartenente a un partito di sinistra o magari al partito più grande della sinistra, quello a cui bisognerebbe dare una mano, in nome dell’unità della sinistra, sempre e comunque. Non può pensare che a quel partito si possa e si debba guardare sempre e comunque come a un partito della sinistra, anche se ha eliminato l’articolo 18; sempre e comunque, anche se ha governato con Berlusconi; sempre e comunque, anche se ha approvato la riforma Fornero; sempre e comunque, anche se ha consentito a Emiliano di diventare il disastroso artefice della politica sanitaria pugliese. Certo poi si può anche pensare di indossare una tunica rossa e presentarsi come Giulio Cesare ma siamo convinti che non per questo si riuscirà a vincere le guerre contro i Galli... È davvero una sindrome particolare quella dell’illusione «democratica» che colpisce incredibilmente non solo alcuni appartenenti al Partito democratico, convinti di essere ancora iscritti al Partito comunista o a una versione riveduta e corretta del Pds, ma è una sindrome che può colpire con effetti ancora più singolari (e a tratti anche esilaranti…) cani sciolti di sinistra, sedicenti socialisti, anarchici democratici e movimentisti radicali, giovani ed ex giovani in odor di centro sociale. In teoria, sempre secondo le categorie della scienza politica, costoro non dovrebbero affatto interessarsi del Partito democratico che dovrebbe essere per loro un soggetto politico avversario – un tempo si sarebbe utilizzata anche la definizione di “nemico di classe” – cui contendere l’egemonia politico-culturale e lo spazio politico-elettorale. Invece no! Da anni assistiamo a incredibili manifestazioni da dottor Jekyll e mr. Hyde di quanti lontano da elezioni si presentano e autorappresentano come alternativi al Partito democratico e in generale a ogni forma di politica organizzata in partiti (perché troppo compromessi e poco alternativi ça va sans dire...). Quando invece si profilano appuntamenti elettorali si rimettono l’elmetto del giovane soldato “democratico” e iniziano a scrivere appassionanti lettere di amore non corrisposto, post e invettive al Partito democratico che anziché convolare a nozze con loro preferisce farsela con gli “amanti” Saverio Tammacco, Tommaso Minervini, Pino Amato e Pietro Mastropasqua. Ora, la cosa incredibile è che costoro, afflitti dalla sindrome di “illusione democratica”, sono come paralizzati all’idea di pensare, progettare, costruire un’alternativa per il governo cittadino senza il Partito democratico e rimangono atterriti anche oggi, anche adesso, che ci si ritrova a poco più di un anno dalla fine del mandato dell’amministrazione targata Tommaso Minervini-Saverio Tammacco-Partito democratico. La paralisi da “illusione democratica”, insomma, è quella manifestazione tragicomica di chi parla di alternativa al malgoverno della città guidata da Minervini- Tammacco-Pd ma pensa e crede – anche se non lo esprime a chiare lettere perché comprensibilmente un po’ se ne vergogna – che questa alternativa a Minervini-Tammacco-Pd debba passare necessariamente dall’alleanza con il Pd stesso, di quel Partito democratico che è appena uscito dalla verifica amministrativa così come ne è entrato, anzi peggio. Ora, a questo punto non sappiamo se le categorie della scienza politica possano ancora soccorrerci o sia il caso di ricorrere alle strumentazioni di altre discipline per questo caso psico-politico. In tal caso, ci dichiariamo incompetenti sin da ora. © Riproduzione riservata

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