La sciagura del commissario prefettizio a Molfetta
Ai miei tempi
di Sandrino Fiore
Si è fatto un gran parlare del Commissario a Molfetta e con ben 7 manifesti multicolori e fotocopia, tutti uguali, si è dato il lieto annuncio dell’arrivo del Commissario Prefettizio a Molfetta. Fra gli altri – ed è quello che mi ha fatto più ridere – il manifesto del CDU che recava la firma di un altro commissario, questa volta di partito.
Per ultimo – e siamo oramai al 15° manifesto dei cosiddetti oppositori – alcuni esemplari dei “17” con i quali si annuncia alla città la buona notizia del “ripristino alla casa comunale della dignità e austerità” (sic!) nonché l’approvazione di un ordine del giorno sul Piano Regolatore Generale. Quasi per dire che un ordine del giorno significhi un atto amministrativo e deliberativo.
Niente di più ridicolo e di più falso!
Si gioca malamente per lo sfascio tanto che rimangono insoluti problemi come quello del cosiddetto art. 51 (che chiama in causa la questione casa), del Piano di insediamenti produttivi (che ha bisogno, nonostante l’assegnazione formale dei lotti alle imprese da parte dell’Amministrazione Minervini, di diventare esecutiva ) e lo stesso Piano Regolatore della città (dopo quasi 20 anni di colpevole ed assoluto silenzio sul problema!).
Ai miei tempi – parlo di 50 anni fa – l’arrivo di un Commissario prefettizio al Comune era considerata una iattura per la città ed il primo sindaco del dopo fascismo, Matteo Altomare, amava confessarmi che comunque anche una “cattiva amministrazione era sempre da preferire ad una gestione commissariale”.
Purtroppo, con la nuova classe dirigente politica (si fa per dire classe dirigente…) non solo si osanna per l’arrivo del Commissario ma si bocciano anche i consuntivi di bilancio che noi comunisti, sempre all’opposizione, davamo per letti in quanto trattavasi di rendicontazione puramente tecnica delle entrate e delle uscite del Comune.
La sola differenza tra la vecchia e la nuova gestione di bilancio sta, ai giorni d’oggi, nel fatto non trascurabile dell’esistenza di un collegio dei revisori dei conti che per legge , così come in una qualunque società commerciale che si rispetti, è tenuto alla verifica dei conti con una apposita relazione, passibile peraltro di pesanti responsabilità penali in fatto di “falso in bilancio”.
Ma i grandi strateghi e raffinati conoscitori della finanza locale, oramai contraddistinti con lo sciagurato numero di 17 (tanti sono i consiglieri che hanno deciso a Molfetta di mandare a casa tutto il Consiglio Comunale) hanno deciso di bocciare il consuntivo aprendo, di fatto, le porte al Commissariamento del Comune di Molfetta.
Ed il paradosso vuole che nello stesso giorno in cui il Sindaco di Molfetta viene premiato a Roma dalla città di Amelia (luogo ove nacque l’indimenticabile sindacalista Luciano Lama) per essersi distinto quale miglior primo cittadino d’Italia (l’anno prima il premio era andato ad Antonio Bassolino, Sindaco di Napoli), qui nella sua città viene letteralmente cacciato…
Ed il paradosso vuole che nel mentre si “manda a casa” Guglielmo Minervini la città di Molfetta riceve, per il terzo anno consecutivo, un significativo riconoscimento nazionale per essere stata premiata, fra le prime 20 città in Italia, quella che ha svolto una politica lodevole verso l’infanzia (mezzo paginone di “La Repubblica” domenica 8 ottobre 2000 e mezzo paginone de “Il Sole 24ore” del 9/10/00).
La faccia di bronzo dei 17 “sfascisti” è tale che intendono ripresentarsi alle prossime elezioni comunali per continuare a “guidare” la città, ovviamente sotto altra bandiera, con altro schieramento nettamente opposto al centro-sinistra.
Altro che “ribaltone” qui si vuole garantire a “qualcuno” (quello che ha cambiato anche partito, per intenderci) la benedetta “attività remunerata”, ad altri per avere una poltrona più prestigiosa quale è quella della Multiservizi, ad altro per avere la gestione della spazzatura, ad altro ancora per avere il posto di presidente a 7 milioni al mese, ad altro personaggio per fare l’assessore ai “Lavori Pubblici” (proprio così, ovvero agli appalti e magari anche al patrimonio…) e al “maximo”, infine, per realizzare il suo antico sogno, quello di fare il Sindaco della città.
E per realizzare tutto ciò vanno a scomodare financo il caso Bologna e il suo attuale sindaco Guazzaloga: il tutto per preparare la santa alleanza con il centrodestra! Magari, con un “cuore nuovo” e con manifesti che superano, in grandezza, anche quelli del “miliardario” Berlusconi, con la sola differenza che Berlusconi il trapianto lo ha fatto ai capelli ……. e il nostro “cavaliere errante” lo ha fatto al cuore ….. .
E bontà sua il “Cavaliere” di casa nostra ci vuole regalare nientemeno che il suo “cuore nuovo”! Quanta generosità elettorale, con Berlusconi che ci regala lavoro, meno tasse e pensioni dignitose e il nostro che ci offre il suo cuore nuovo!
In questa crociata contro Guglielmo Minervini scendono in campo tutti – da destra a pseudo sinistra (mi riferisco a quella che non si vergogna di votare o farsi votare insieme ai post-fascisti ed alla destra) – financo il pidiessino (così si è definito a TeleMolfetta) Tommaso Lioce, grande sconosciuto (almeno per Molfetta) e, però, con una bella pretesa: fare il commissario della sezione dei D.S. di Molfetta.
E’ il caso proprio di sottolineare il fatto certamente curioso che in clima di commissariamento generale della città ci sono commissari un po’ ovunque, dal Comune ai partiti e ad alcuni movimenti politici!
Con la mia esperienza di oltre 50 anni di impegno politico, mi permetto rivolgere ai cittadini un invito, quello di non votarli se non altro per “farli stare a casa”, così come hanno voluto con le loro dimissioni tradendo il mandato elettivo di consigliere comunale ed il voto popolare della comunità molfettese.
Perché dimettersi è un atto di viltà politica, specie quando lo si compie venendo meno al patto di fedeltà con gli elettori e - ben più grave - con la lista di appartenenza, in nome della quale si è chiesto il voto e la elezione a rappresentante del popolo.
A riguardo posso onestamente affermare che in tutta la mia vita non ho mai trovato gente di tal genere perché, ai miei tempi, quando un consigliere passava da una parte all’altra lo si bollava come “traditore”.
Capisco che oggi i tempi sono cambiati e che il “mercato delle vacche” è molto più florido stante l’abbandono del principio dell’appartenenza politica ad un ideale… , capisco che il mondo è cambiato e che per qualcuno si può agevolmente passare da sinistra a destra senza mordersi e porsi problemi di coscienza, ma vivaddio (mi si conceda la licenza di pronunciare una tale esclamazione) “i 17” l’hanno fatta proprio grossa perchè sono riusciti a cancellare un voto popolare ignorando e mettendosi sotto i piedi gli interessi della collettività e financo il Piano Regolatore Generale che è stato sempre, così come è avvenuto anche oggi, la causa e l’effetto di tanto sfascio per la città e la ragione vera di tante “crisi di coscienza” che non avevano nulla a che fare con gli interessi della città.
Ai miei tempi quando l’opposizione si trovava di fronte ad impegni di questo genere faceva quasi a gara per anticipare lo schieramento avversario e votare provvedimenti di questo genere, se non altro per andare, il giorno dopo, nella famosa piazza Paradiso e vantare i propri meriti a difesa degli interessi collettivi.
Ma questi “lor signori” non hanno neanche saputo fare questo perché per loro l’importante era quello di mandare a casa il buon Guglielmo Minervini…, reo di non aver ceduto ai ricatti dei “poltronisti” i quali – udite, udite – hanno scoperto un nuovo termine, per gestire bene i propri affari, quello della cosiddetta “visibilità”.
Debbo aggiungere, ad onor del vero, che avendo parlato con almeno una metà di questi personaggi, la risposta più ricorrente e più ingenua (si fa per dire ingenua…) era quella della rammentata visibilità, che in soldoni significava (e certamente significa anche oggi) contare nella città, possedere il potere e “servire” (lo chiamano pure servizio!) – mi hanno ripetuto fino alla noia – i propri elettori che puntualmente registrano in un libro personale non appena offrono loro un certificato dell’anagrafe, una domanda di pensione, una promessa di lavoro e, magari, un cassettone al cimitero per qualcuno di famiglia…
Così si fanno i voti, oggi, nella città di Gaetano Salvemini ed in questo modo si raccolgono i consensi attorno a qualche personaggio locale, eletto con ben 500 voti e più e diventato niente meno che Presidente della Commissione cultura della città di Molfetta.
Spesse volte – altro che “paglietta di salveminiana memoria” – costoro girano la città con un’agenda sotto il braccio pronti ad utilizzarla per annotare numeri di telefono, cognome, indirizzo e favore fatto.
Se questa è la seconda Repubblica allora – ecco il mio primo consiglio – fateli stare sempre a casa! Non votateli!
Il messaggio è rivolto anche a quelli del Polo ai quali intendo rivolgere un consiglio: facciamo in modo che i voltagabbana rimangano comunque a casa loro!
Anche perché dopo tanta impotenza così meschinamente consumata con le dimissioni da consigliere comunale, “lor signori” (una tale espressione divenne famosa nei corsivi dell’indimenticabile ForteBraccio, grande editorialista de “L’Unità” degli anni ‘60) hanno dimostrato di non saper fare neanche politica (con la P maiuscola…) e, forse, non sono ancora coscienti del danno grave, irreparabile ed incalcolabile arrecato alla nostra comunità.