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La nuova frontiera del call center: il lavoro che uccide le capacità
12 agosto 2010
MOLFETTA -
E' sbalorditivo notare come tanti giovani laureati, impiegati nei call center, siano soddisfatti del proprio lavoro. Sì, perché quello del telefonista è ormai l'unico approdo lavorativo sicuro anche per un giovane laureato.
Sono milioni le giovani menti alle prese con la meccanica e snervante ripetizione di codici sempre identici, atti a vendere un prodotto o a fornire informazioni, e centinaia sono i nostri concittadini impiegati nel settore, magari laureati a pieni voti, eppur costretti a fare i conti con bisogni stringenti. Portare a casa uno straccio di stipendio, rincorrere -o almeno avere l'illusione di farlo- quell' emancipazione economica che anni di studio avrebbero dovuto garantire, o addirittura esigere costitutivamente. Eppure così non è stato.
E presto i bisogni esteriori, quelli imposti dal sistema e pronti a risucchiare la vita in una condizione degradante di emarginazione sociale, tendono a sostituirsi anche alle necessità umane, di gratificazione interiore, di espressione autentica delle capacità.
L'attività lavorativa è già definita in ogni dettaglio e ristretta, insieme all'apertura al possibile, a vie inumane ma ben definite, che pongono le cose e le capacità in funzione dei risultati imposti.
Il team leader motiva i telefonisti promettendo risultati vantaggiosi, e rendendo persino piacevole per schiavi post-moderni un'attività monotona, routinaria, estenuante, che annulla ogni stimolo entro l'indistinzione di codici linguistici martellanti e snervanti. Eppure spesso il telefonista è soddisfatto del proprio lavoro, perché ha di mira il risultato che potrebbe avere lavorando con maggiore diligenza. Il risultato che esprime una vita alienata, da cui si lascia vivere fino a farsi inglobare in un unico grande codice che deve continuamente attivare premendo pulsanti e pronunciando formule indifferenti.
Ma l'appagamento è costruito su basi estranee, che ignorano le individualità avendo di mira solo l'efficienza, il valore strumentale dei singoli ingranaggi. Un'immensità di capacità, di ricchezza vitale, ingoiata in una pratica di asservimento infame, che annulla la persona pur di preservarsi.
In altri tempi sarebbe bastato molto meno per gridare allo scandalo, in quei tempi si parlava di "alienazione" come di un feroce assassino, quello che riduce le persone a cose. Ora tutto sembra rientrare nella normalità, anzi queste aziende di telefonia vengono considerate delle oasi felici. Sono gli unici posti, infatti, in cui i giovani trovano lavoro.
Eppure ben presto quelle stesse condizioni che hanno favorito un minimo di gratificazione professionale si rivelano disumane, astratte, avare di speranze. Così la familiarità del team leader si esaurisce quando, alla minima evasione da schematismi comportamentali rigidi e privi di vita, il telefonista viene minacciato di essere licenziato. Del resto, ci sono centinaia di giovani a prendere il suo posto, e le sue mansioni non sono affatto insostituibili. Quello che Gehlen chiamava "principio delle misure standard o dei pezzi sostituibili" costituisce un fondamento obbligatorio della struttura di queste aziende.
Ogni pratica lavorativa che riduce le vie di progresso a poche opzioni ricucite nei confini dell'ovvio, eliminando la novità racchiusa nell'irripetibilità dell' "io" e nella sua possibilità di scegliersi, non può che avere vita breve. Ogni lavoro, senza la scintilla unica di uomini vivi, restringe le prospettive sul reale impedendo ogni sviluppo, implodendo nella spinta cieca all'autopreservazione.
A queste voci la politica deve dare spazio, incoraggiando nel lavoro una modalità interpretativa che faccia dei fondamenti umani delle condizioni il fulcro dell'attività di scoperta. Per riportare il lavoro a misura di persona, per un approccio che ponga ogni angolo del reale come un pezzo di identità da ricercare.
© Riproduzione riservata
Autore:
Giacomo Pisani
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Un terrestre
17 Agosto 2010 alle ore 22:51:00
Chiedetelo a quelli che lavorano e hanno trovato lavoro all'estero e nei Paesi emergenti ed ex emergenti!!!!!!! Vi si bloccherà la lingua, vi si allungherà la visuale e vi si stapperanno le orecchie.
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alba talba
17 Agosto 2010 alle ore 20:00:00
Ci sarà un collegamento, un qualcosa che, in qualche modo, mette in relazione il mercato del lavoro in Italia con le economie internazionali ed in particolare con quelle quelle dei paesi ex emergenti?. Che cosa ne pensano pennuti e volatili?
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GUY FAWKES
17 Agosto 2010 alle ore 17:52:00
come volevasi dimostrare... i "REALISTI della MENTULA" si sono scatenati e consigliano di inquadrarci....ma io insisto..."se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci puo' donare, l'amare il proprio lavoro, che purtroppo e' privilegio di pochi, costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicita' sulla terra. Ma questa e' una verita' che non tutti conoscono." (PRIMO LEVI)...io credo che la razionalita' spinta all'eccesso sia una comoda e gratuita fuga dalla realta'...tutto nasce da un'idea... anche la matematica e il lavoro non e' un'eccezione a questa regola universale....ma lo abbiamo dimenticato e parliamo solo di contratti, decentramento, servizi e altre menate...dobbiamo pretendere che venga tradotta in realta' l'idea del lavoro che nobilita e smetterla di fare i ragionieri... o meglio i Marchionne della situazione!!!!....mi dispiace ma non e' la matematica che fa girare il mondo...P.S. Bandolero, riguardo le STRONZIATE REMISSE credo tu sia un grande maestro....per cui non ti allargare!!!!
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HOTEL " ITALIA"
17 Agosto 2010 alle ore 13:03:00
Su un'autostrada buia e deserta, vento freddo tra i capelli caldo odore di colitas si libra nell'aria In lontananza scorgo una luce scintillante La mia testa s'era fatta pesante e la mia vista sempre più fioca Mi dovevo fermare per la notte. Là lei stava ritta sulla soglia Sentii il campanello E pensai tra me e me 'Questo potrebbe essere il paradiso ma potrebbe anche essere l'inferno' Poi lei accese una candela e mi mostrò la strada C'erano voci nel corridoio, credo dicessero... Benvenuto all'Hotel Italia Un tale posticino abbondanza di stanze all'Hotel Italia puoi trovare in qualsiasi stagione. La sua mente è piena di Tiffany, ha una Mercedes Benz Ha avuto molti ragazzi carini, che lei chiama amici Come danzano nel cortile, dolce sudore estivo Alcuni ballano per ricordare, altri ballano per dimenticare. Così chiamai il Capo, 'Per favore, mi porti il mio vino' Lui disse, 'Non abbiamo quel tipo di vino dal 1969' E ancora quelle voci chiamavano in lontananza Ti svegliavi nel mezzo della notte Solo per sentirle dire... Benvenuto all'Hotel Italia Un tale posticino Si godono la vita all'Hotel Italia Che bella sorpresa, procurano i tuoi alibi. Specchi sul soffitto, champagne rosa con ghiaccio E lei disse "Qui noi siamo tutti prigionieri, di nostro capriccio' E nelle camere del padrone, si sono radunati per la festa L'hanno pugnalato con i loro coltelli d'acciaio, ma non riuscirono ad uccidere la bestia. L'ultima cosa che ricordo, stavo cercando la porta Dovevo trovare un passaggio per tornare dov'ero prima 'Rilassati' disse l'uomo notturno, 'qui siamo programmati per accogliere. Puoi lasciare la stanza e pagare quando vuoi, ma non potrai mai andartene realmente'.
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Bandolero Stanco
17 Agosto 2010 alle ore 12:24:00
Non è proprio così. Si continua a gironzolarsi intorno, come i cani a mordersi la "coda", non riconoscendo la stessa coda una parte del proprio corpo. Leggo la vicenda del professore di scuola media Luca Piergiovanni, nel Comasco. Premiato come miglior docente dell'anno, e poi licenziato a causa dei tagli della "riforma" Gelmini. Il professor Piergiovanni, gestore di un sito dedicato a progetti "podcast" didattico per i quali ha ricevuto diversi riconoscimenti. E' stato contattato dall'University di Yale per collaborazioni di lavoro. Gli è stato chiesto di esportare le sue tecniche sull'uso della nuove tecnologie. Noi di cosa VOGLIAMO PARLARE? Lavoro o posti di lavoro, contratti a tempo indeterminato o altro, ricorrere farfalle o gabbiani, radical chic o soft $ glamour, cacatio o mentule remisse. Io direi solo e solamente STRONZIATIE REMISSE e niente più. Nemmeno più sogni. E pensare che il cammino dell'uomo è sempre iniziato con i sogni. E' l'unico punto di partenza. "Se un uomo sogna il sogno resta un sogno. Se molti uomini fanno lo stesso sogno, il sogno diventa realtà".
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alba talba
17 Agosto 2010 alle ore 08:50:00
A volte ho la sensazione che il "volo" non rappresenti un'esigenza insopprimibile dell'essere umano, quanto una comoda e gratuita via di fuga dalla realtà. Concordo con i Forumisti che hanno sottilineato come l'attuale società sia condizionata dalla cultura del consumo, con conseguente marginalizzazione della cultura della produzione. Non intendo riferirmi, solo, alla produzione letteraria e a quella del pensiero, intendo riferirmi anche alle cosidette “produzioni canaglia” che garantiscono la produzione di beni e di servizi che tanto ci aiutano a stare comodi e a “produrre con il pensiero”. Il ns limite, della ns società, è nell'aver deciso che la produzione dei mezzi e dei beni canaglia debba essere decentrata in alcuni paesi e, se proprio non possiamo decentrarla, si produca pure all'interno dei confini nazionali, da altri però, non da noi oriundi. Noi, invece, dobbiamo continuare a rincorrere farfalle e gabbiani. E, se il mondo gira, soprattutto, con la matematica, noi invece continuiamo ad insistere con gabbiani e farfalle. E, se il mondo gira con il “lavoro”, noi continuiamo a farlo girare con il “posto di lavoro”. La differenza è tutta qui: si continua a confondere il lavoro del call center con il posto di lavoro al call center. Vedi anche la situazione sui ricercatori. In gran parte del mondo cd avanzato il ricercatore ricerca con “contratto di ricerca”. In Italia, invece, con “contratto di lavoro a tempo indeterminato”.
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Hic et Nunc
16 Agosto 2010 alle ore 23:40:00
"Poi un giorno le sue ali si piegarono. Arrivarono ch'era sera: due grossi gabbiani bianchi gli si posero davanti. Siamo venuti per portarti più in alto. Per condurti a casa". "Io casa non ne ho. Ne ho una patria, nè uno stormo. Sono un reietto". Come aveva illuminato tutta quanta la sua vita, il lume dell'intelletto lo soccorse in quel momento, e lui capì. Lui poteva volare, si, più in alto. Ed era l'ora, si, di andare a casa. "Sono pronto" disse alfine. E il gabbiano Jon fece prua verso l'alto, scortato da quei due splendidi uccelli, e scomparvero insieme nella notte. Provenienti dalla Terra, oltre le nubi, lui e gli altri due gabbiano volavano in formazione compatta, e, d'un tratto egli si accorse che il suo corpo si era fatto splendente come il loro. lui era sempre il gabbiano Jon: solo che la forma esteriore era cambiata, adesso. Ora con metà fatica andava il doppio più veloce: due volte tanto, rispetto ai migliori risultati sulla terra. Le sue penne splendevano adesso d'un candore soave, le sue ali erano lievi, lisce come l'argento polito, perfette. Sicchè questo è il Paradiso, egli pensò. Si avvicinò al Gabbiano Anziano: "Ciang...."lo chiamò con titubanza - Ciang, questo mondo non è il Paradiso, dico bene"? L'Anziano ebbe un sorriso: "No, Jon, un posto come quello, no, non c'è. Il paradiso non è mica un luogo. Non si trova nello spazio, e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti. Raggiungerai il Paradiso, allora, quando avrai raggiunto la velocità perfetta.......Lascia perdere la fede! Non t'è mica servita, la fede, per volare. T'è bastato l'intelletto: capire la faccenda." - Jonathan è quel vivido piccolo fuoco che arde in tutti noi, che vive solo per quei momenti in cui raggiungiamo la perfezione".
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Henry Calvin
16 Agosto 2010 alle ore 19:37:00
"Jon continuava le sue lezioni di volo, lontano dallo Stormo. Si convinse che: "Più alto vola il gabbiano, e più vede lontano". Era felice. "Ci solleveremo dalle tenebre dell'ignoranza, ci accorgeremo d'essere creature di grande intelligenza e abilità". Saremo LIBERI! Impareremo a VOLARE! "Mi hanno visto! "Hanno assistito ai miei voli!" "Desidero farli partecipe delle mie scoperte" Ma, una volta toccato terra, L'Anziano dello Stormo, dopo una lunga riunione proclamò: "Il gabbiano Jon viene messo alla gogna, per la sua temerarietà e per essere venuto meno alla tradizionale dignità della Famiglia dei Gabbiani. Tutto ci è ignoto, tranne che siamo al mondo per mangiare, e campare il più a lungo possibile"......significava l'espulsione dal Gruppo, esiliato, condannato a vita solitaria, laggiù, sulle Scogliere Remote. "Datemi il tempo di spiegarvi quello che ho scoperto" - gridava Jon -. "Non abbiamo nulla in comune, noi e te", e gli voltarono tutti la schiena, lasciandolo solo. Volò oltre le scogliere e ben oltre, scoprì nuovi voli e planate. Il suo maggiore dolore non era la solitudine, era che gli altri gabbiani si rifiutassero di credere e aspirare alla gloria del volo. Egli imparò a volare, a sfruttare i venti d'alta quota, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Imparò a non dare retta a quello che vedevano gli occhi. Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda con il tuo intelletto, e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola. Scoprì ch'erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano. Ma con l'animo sgombro da esse, lui, per lui, visse contento, e visse molto a lungo".
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Fletcher Lynd
16 Agosto 2010 alle ore 15:38:00
E' vietato sognare? L'unica vera legge è quella che conduce alla libertà - "Era di primo mattino, e il sole appena sorto luccicava tremolando sulle scaglie del mare appena increspato. A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo. E fu data la voce allo Stormo. E in men che non si dica tutto lo Stormo Buonappetito si adunò, si diedero a giostrare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare. Cominciava così una nuova dura giornata. Ma lontano di là solo soletto, lontano dalla costa e dalla barca, un gabbiano si stava allenando per conto suo: era il gabbiano Jonathan. Si esercitava a volare. La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare dalla costa a dov'è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggiore parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. ......."Ma perchè, Jon, perchè?" gli domandò sua madre. "Perchè non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Non mangi, sei ridotto pelle e ossa!" "Non m'importa, mamma. A me preme soltanto di sapere." "Sta' a sentire, Jon" gli disse il padre. "Manca poco all'inverno. E le barche saranno pochine, e i pesci nuoteranno più profondi. Se proprio vuoi studiare, studia la pappatoia e il modo per procurartela. Non scordarti che si vola per mangiare". Jon cercò di comportarsi come gli altri gabbiani. Ma a un certo punto non ne potè più. Piantò lo Stormo e riprese a studiare volo e velocità. Una voce strana e cupa risuonava dentro di lui. La natura ti impone certi limiti. Se tu fossi destinato a imparare tante cose sul volo, avresti un portolano nel cervello. Carte nautiche avresti, per meningi. E se tu fossi fatto per volare come il vento, avresti l'ala corta del falcone, e mangeresti topi anzichè pesci. Si si, aveva ragione tuo padre. Lascia perdere queste stupitaggini. Torna a casa, torna presso il tuo Stormo, e accontentati di quello che sei, un povero gabbiano limitato". (La storia non finì così......invece!!!!!!)
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GUY FAWKES
16 Agosto 2010 alle ore 12:36:00
in questo articolo/fotografia non ci trovo nulla di interessante....e ancora il soft&glamour, citato da alcuni non c'entra un beneamato...molto qualunquismo....diciamo piuttosto che la trasformazione antropologica messa in atto da circa un ventennio, aveva come obiettivo la sottostima del lavoro di concetto e la esaltazione della volutta' e dell'edonismo....oggi questo progetto si e' compiuto pr cui il lavoratore non ha piu' una coscienza di classe e le universita' sono solo esamifici....il laureato a pieni voti di oggi e' un mediocre con scarsa propensione allo studio e all'approfondimento, incapace di formazione in itinere, scarsa capacita' di problem solving, ma, soprattutto, pedestre spessore culturale... con il risultato nefasto di non saper " scalar montagne" accontentandosi del call center e, quindi, di essere solo la rotella di un ingranaggio...tuttavia tra questa CACATIO, ci sono perle , rubini, diamanti...che provano un piacere particolare a fare bene le cose che fanno, che amano rischiare e lottare per le cose in cui credono, che sanno cadere e rialzarsi, sono ostinati e testardi,conoscono il sano uso della indignazione e della ribellione, adorano sperimentare e non credono nel destino ineluttabile...in altri termini sono mossi da PASSIONE!!!...basta guardarsi attorno....P.S. sicuramente i "REALISTI della MENTULA" che pullulano in questo forum, riterranno il mio scritto vacuo e idealista... a questi MENTULA REMISSA rispondo dicendo che " qualsiasi futuro si puo' costruire cominciando ed ascoltando solo i propri sogni" !!!!!
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Il Predicatore
16 Agosto 2010 alle ore 11:32:00
Ho predicato male. "QUOD DEUS AVERTAT!!!"
Rispondi
Anonimo Veneziano
16 Agosto 2010 alle ore 11:11:00
Volevo esprimere la mia opinione in merito ma, "In Vino Veritas" ha chiuso l'argomento......"Alla fine poi, tutto ritorna come prima e, forse, come sempre.".......... Punto e basta.
Rispondi
In Vino Veritas
15 Agosto 2010 alle ore 22:26:00
Alla fine poi, tutto ritorna come prima e, forse, come sempre. "LUCRI BONUS EST ODOR EX RE QUALIBET" - "IN PRINCIPATU COMMUTANDO SAEPIUS NIL, PRAETER DOMINI NOMEN, MUTANT PAUPERES" - (Avvilente.......)
Rispondi
Soft Glamour
15 Agosto 2010 alle ore 21:08:00
".... . Non nel lavoro". Questo non è "radical chic", non è "poesia", è il vero e unico "problema" dell'uomo e della società contemporanea. Una società "soft glamour"!!
Rispondi
Giro Bussola
15 Agosto 2010 alle ore 14:51:00
Rubarono la scritta che campeggiava sul lager. Quella scritta dice "il lavoro rende liberi". Nella gabbia della nostra vita il lavoro è fonte di ricchezza, non tanto per quello che dà economicamente quanto per ciò che regala in termini di relazioni, comunità, appartenenza. E' questo che chiamate o chiamano "radical chic"? Ma quando ti manca? Quando te lo tolgono? Incidenti a fotocopia da Trieste a Canicattì: ogni giorno si contano i morti sul lavoro. Ora anche i suicidi per mancanza di lavoro o per perdita dello stesso. Il lavoro è, per gli economisti, un fattore di produzione. Un costo e non una condizione di vita per un soggetto. E' questo quello che chiamate o che chiamano poesia? Per molte persone la soddisfazione è quello che riesce a consumare con il reddito. Non nel lavoro.
Rispondi
Il Mohicano
15 Agosto 2010 alle ore 10:38:00
......innanzitutto e soprattutto il rispetto per se stessi. Non si può rispettare l'"ALTRO" se non si è capaci di RISPETTARSI e farsi RISPETTARE. Oggi giorno è diventato molto difficile, se non addirittura impossibile.
Rispondi
tommaso gaudio
15 Agosto 2010 alle ore 09:01:00
Caro Alba, complimenti per l'analisi, un pò brutale forse, ma abbastanza risponedente a quello che "vedo" anch'io, nella situazione sociale delle nostre realtà. Tranne rari casi, abbiamo dimenticato la strada, a volte in salita, dell' arrampicata sociale. Perché? Ma perché forse gli esempi che diamo, noi genitori per primi ed a seguire gli altri, forse non sono quelli che dovremmo indicare. Se a questo aggiungiamo i modelli che osserviamo, la frittata è fatta. E' del tutto ovvio poi che, accettando questi modelli, siamo costretti ad accettare anche quanto si cela dietro. I "CALL CENTER" e tutte le altre attività super sfruttate, forse sono sempre esistiti; è stata poi la proliferazione che ha generato la concorrenza - non sana e corretta - ma spietata, che ha a sua volta generato quanto vediamo oggi. Personalmente, senza invocare "pensieri" dotti di analisti e pensatori preclari, direi che, sembra un'operazione disperata, basterebbe ritornare a coltivare dei valori apparentemente scomparsi, che sono comunque inseribili nei modelli attuali, rimuovendo quelli che sono dannosi. Da dove incominciare? Sarà banale, ma io direi: dall'onestà e dal rispetto per se stessi e sopratutto per gli altri.
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Diamond and Rust
14 Agosto 2010 alle ore 21:29:00
"LA DIFFERENZA FRA UN POLITICO ED UNO STATISTA STA NEL FATTO CHE UN POLITICO PENSA ALLE PROSSIME ELEZIONI MENTRE UNO STATISTA PENSA ALLE PROSSIME GENERAZIONI" (A.De Gasperi) - Questi ed altri problemi resteranno irrisolti e il motivo è semplice. Sono problemi che non toccano i politicanti, le loro famiglie e quanti partecipano alle "mangiatoie". La casa, lo stipendio che non ci si arriva a fine mese, le pensioni, la disoccupazione, il lavoro e tante altre problematiche, non toccano la vita della maggioranza dei politicanti: disconoscono la realtà, ne sentono solo parlare. L'inflazione galoppante, le difficoltà quotidiane ecc., ecc., non è pane per la "casta". Come si risolvono questi problemi, se non si riesce a portare a termine una legislatura? I nostri "politicanti" - lo sentiamo e vediamo ogni giorno -, sono tutti "ricattabili" per corruzione (a quanto pare, non se ne salva uno). Non appena salta un qualche "favoritismo", si corre alle elezioni anticipate mandando tutto a monte e a valle. Noi "fessi" sia di destra che di sinistra, ci scontriamo per risolvere i "loro" problemi di potere......alle prossime elezioni. I "nostri" problemi e quelli delle nuove generazioni, restano nel dimenticatoio perchè....."tanto ci arrangiamo!!!!!!" Fino a quando????!!!!!?????!!!!!
Rispondi
Roland Eagle
14 Agosto 2010 alle ore 10:33:00
- 1930. Il Ministro delle Corporazioni on.Lantini, sosteneva la necessità di "far si che sia inteso dalla nostra brava gente come il compiere un mestiere non diminuisce affatto il cittadino, anzi lo innalza di fronte al vagabondaggio intellettualoide di parecchi che non concludono nulla per sè, nè producono nulla di utilità per la Patria." Ma per convincere la "nostra buona gente" del nuovo significato che doveva attribuire all'espressione "elevarsi nella vita" non bastava la propaganda. Era necessario rivedere profondamente il funzionamento delle scuole secondarie: "Si è osservato giustamente che in Italia sussiste una grande sproporzione fra il numero dei ginnasi e dei licei, che preparano i giovani alle professioni intellettuali, e quello delle scuole di avviamento che dovrebbero formare gli artigiani nonchè i tecnici specializzati dell'agricoltura, dell'edilizia, dell'industria ecc., ecc.. E ciò, mentre il nostro paese è saturo di medici, avvocati e ragionieri, laddove sentiamo invece la grande mancanza di artigiani, di tecnici e operai specializzati. Anche a questa disarmonia bisognerebbe dunque ovviare chiudendo dei ginnasi e licei e aprendo delle scuole professionali." Premuto dalle organizzazioni degli intellettuali, preoccupato delle conseguenze che la disoccupazione dei diplomati e dei laureati poteva avere in termini di "perdita di consenso"......... Fermiamici qui e riflettiamo. Quando la politica "legifera per non perdere il consenso popolare" e quindi il potere, lo sfascio è sempre dietro l'angolo. Variazioni del tema: "Il controllo sociale delle masse". La forma più efficace era quella di vedere il controllo sociale nel mantenere analfabeta e ignorante la maggioranza della popolazione. Ora invece è mantenere nella precarietà del lavoro, la stessa maggioranza. Secondo il vecchio detto del secolo XVII: "se un cavallo dovesse saperne quanto un uomo non mi piacerebbe essere il suo cavaliere."-
Rispondi
Vecchio Scarpone
14 Agosto 2010 alle ore 00:21:00
"Non ho mai voluto lavorare solo per mangiare. Ho voluto vivere, non sopravvivere!!!!". Non è stato facile. Sono stato un radical chic? Se è vero, i nostri progenitori rifiutarono il Paradiso Terrestre per non sopravvivere! Erano anche loro dei "radical chic"? ........."Un'immensità di capacità, di ricchezza vitale, ingoiata in una pratica di asservimento infame, che annulla la persona pur di preservarsi..."
Rispondi
Alba Chiara
13 Agosto 2010 alle ore 22:24:00
Non so quanto volontariamente o involontariamente, Alba Talba, ha "travisato" o "deviato" il problema sociale così ben chiaro e lucido descritto dall'estensore dell'articolo. Completamente fuori luogo il "radical chic", considerando il lavoro rifiutato dagli italiani. Un passo indietro, per vedere i cambiamenti e i mutamenti sociali e territoriali, avvenuti in questi cinquant'anni. Il non voler ammettere e considerare le prese di coscienza e le nuove identità presentatosi nei cambiamenti anche culturali, vul dire voler nascondere la realtà. I motivi possono essere politici o di posizioni conservatrici. Conseguenze negative ci sono state oltre che di "mal governo", nell'incapacità di gestire le nuove realtà economiche, facendo credere che il tempo delle "vacche grasse" fosse interminabile, quando invece bisognava intervenire drasticamente sui beni di consumi. Ancora adesso si prosegue sulla via degli eccessi, solo per il profitto di furbi e protetti speculatori. Ora si vuole trascinare e riportare il mondo del lavoro, indietro di secoli. Posso anche fare il guardiano dei porci, ma non per questo essere trattato da porco: questo non è "radical chic". Posso anche lavorare dodici ore al giorno, ma quattro ore devono essere considerate "straordinario". Posso anche lavorare durante le festività, ma queste devono essere considerate come da contratto Nazionale e tutto nel rispetto del Trattato dei Lavoratori. Non considerare tutto questo, si ritorna alle condizioni sociali medioevali, nonostante il consumismo. Non è "radical chic", è richiesta di rispetto alla dignità dell'uomo.
Rispondi
alba talba
13 Agosto 2010 alle ore 15:01:00
“….Un'immensità di capacità, di ricchezza vitale, ingoiata in una pratica di asservimento infame, che annulla la persona pur di preservarsi….” Se fossi un lavoratore di call center proverei a “scuotere” l'estensore dell'articolo. L'avrei fatto anche se fossi stato un operaio delle fonderie, un carpentiere, un addetto alle pulizie, un conducente di tram, un “guardiano di porci” un contadino, un addetto ad una delle numerose catene di montaggio, oppure un addetto delle industrie tessili (con 21 turni di lavoro). Insomma, se fossi stato un addetto ad uno dei tanti lavori rifiutati dall'italiano radical chic e, prontamente occupati da migranti europei ed extra-comunitari, mi sarei veramente arrabbiato. Se abbiamo ancora bisogno di capire le ragioni per le quali in italia una cultura industriale non ha mai attecchito (con i guasti ed i limiti che sono sotto gli occhi di tutti) è sufficiente leggere l'articolo ed i primi contributi dei forumisti. Vogliamo salire sulle macchine (ma gli altri le devono produrre), vogliamo mangiare carne di maiale (ma gli altri devono fare i guardiani dei porci), vogliamo costruire case (ma altri ed in altri paesi devono essere decentrati i cementifici e le fonderie), vogliamo il caldo d'inverno ed il fresco d'estate ma altri, almeno a 50 KM fuori dai ns confini, devono costruire le centrali atomiche…. Sicuramente nello sviluppo economico non tutto è stato governato, alcune soluzioni e adattamenti potevano e dovevano essere oggetto di migliore “governo” ma continuare ad avere una visione romantica dell'economia e della produzione dei beni e dei servizi crea, a mio avviso, i presupposti per una società sbilanciata solo sui consumi, che continua a non farsi carico della produzione e dei problemi connessi. Buon ferragosto a tutti i produttori e a tutti i consumatori.
Rispondi
Rachele Terrassa
13 Agosto 2010 alle ore 12:49:00
Questo brano, scritto da un autorevole studioso per un'autorevole opera di scienze sociali: R.Clark, The Study of Educational System, in International Enciclopedy of the Social Sciences - 1968. "Con l'industrializzazione e la modernizzazzione, l'istruzione dei giovani diventa estensivamente differenziata, internamente complessa, e i suoi legami con gli altri aspetti della società si fanno fitti e capillari. La scuola è sempre più necessaria all'economia e ad essa è strettamente collegata come principale mediatore fra la domanda e l'offerta di lavoro. E' sempre più la scuola che certifica la competenza professionale, generale e specifica, e che perciò prefigura il successo economico e sociale, il passaggio dai lavori manuali a quelli intellettuali, dai bassi agli alti livelli di qualificazione. Coloro che l'abbandonano presto sono designati a svolgere i lavori non qualificati mentre quelli che rimangono sulla scala mobile vengono trasportati verso quei posti che sono autorizzati ad occupare dalla formazione generale e dalle conoscenze specializzate. L'università svolge un ruolo importante anche per il progresso tecnico, sia in quanto sede della ricerca scientifica sia in quanto istituzione che prepara i ricercatori e i tecnici moderni. Così l'istruzione diventa una forma di investimento in capitale umano ai diversi livelli di specializzazione."
Rispondi
Professor Occultis
13 Agosto 2010 alle ore 12:26:00
"Si dice che le università sono fabbriche di spostati e bisogna sfollarle. Ma di grazia, dove volete che vada la gioventù? Non si va alle università nè per comodità nè per ambizione, sì bene per necessità: il commercio, le industrie, l'agricoltura, gli istituti affini non richiedono nè braccia nè intelligenze, o almeno prendono ciò che richiedono e rifiutono il superfluo; se si aprissero sbocchi per la sussistenza dei molti giovani che vengono su dalla italica fecondità, moltissimi abbandonerebbero gli studi superiori e andrebbero là dove il pane si mostrasse più facilmente conseguibile. Nè io dico ai governanti: aprite gli sbocchi: sono convinto che la Società deve aprirli, non già lo Stato, e sempre che la Società ne ha aperto uno, abbiamo visto la ressa all'entrata e la pletora subito dei postulanti." -(G. Arangio-Ruiz, in "L'Università italiana" del 10 agosto 1902.)
Rispondi
Gironzo Lando
12 Agosto 2010 alle ore 22:39:00
C'è stato un tempo, nei primi secoli della nostra modernità, in cui ragionavamo in termini politici: ordine e disordine, pace e guerra, potere e Stato, re e nazione, Repubblica, popolo e rivoluzione. Poi la rivoluzione industriale e il capitalismo si sono affiancati al potere politico e sono diventati la "base" dell'organizzazione sociale. Abbiamo sostituito al paradigma politico un paradigma economico e sociale: classi e ricchezza, borghesia e proletariato, sindacati e scioperi, disuguaglianze e ridistribuzione sono diventate le categorie di analisi più utilizzate. Oggi, due secoli dopo il trionfo dell'economia sulla politica, queste categorie sociali appaiono confuse e lasciano in ombra gran parte del nostro vissuto. Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma; non possiamo infatti tornare al paradigma politico, perchè i problemi culturali hanno assunto una tale importanza che il pensiero sociale va riformulato di conseguenza. Tutte queste osservazioni concordono su un punto: il crollo e la scomparsa dell'universo che abbiamo chiamato sociale. Non dobbiamo essere sorpresi; sono milioni le persone che deplorano la rottura dei legami sociali e il trionfo di un individualismo disgregatore. L'inquietitudine e, talora, l'angoscia derivate dalla perdita dei punti di riferimento abituali vengono ancora più accentuate dall'onnipresenza di criteri di valutazione economici che non corrispondono all'intensità della domanda, ma piuttosto la creano le scelte operate dai decisori economici. Stiamo uscendo dall'epoca in cui tutto trovava espressione e spiegazione in termini sociali e ci vediamo obbligati a esaminare come si costruisce questo nuovo paradigma, che ha riflessi su tutti gli aspetti della vita collettiva e personale. Un grande pericolo minaccia questo mondo. Quello di non essere più in grado di darsi degli obiettivi e di non essere più capace di affrontare nuovi conflitti. (tratto e condensato da: "La globalizzazione e la fine del sociale - A. Touraine)
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Greatest Genaration - Tink Tank
12 Agosto 2010 alle ore 15:48:00
Umilmente amplifico quanto sapientemente scritto dal giornalista di "Quindici" Giacomo Pisani. Sempre sagace e profondo nelle sue "intellettuali, socio-filosofiche" analisi. La razza umana è la più grande risorsa naturale del pianeta. E' un mondo che abbisogna sempre di attenzione e protezione, il pieno potenziale di ciascun individuo non è mai stato pienamente utilizzato. Un tempo "lavoro" e "attività" significavano più o meno la stessa cosa: imparare o insegnare, preparare da mangiare o procurarsi il cibo, crescere o invecchiare, erano tutte cose che avevano la stessa importanza. Nelle società "progredite" però c'è ormai da tempo una dominante equazione popolare che collega il lavoro all'impiego, l'impiego al denaro, e il denaro al valore dell'individuo. E' probabile che, in futuro, i modelli di lavoro debbano mutare radicalmente. Alcuni ritengono che nelle economie avanzate il risultato finale sarà una vasta dequalificazione dei lavoratori, altri che il futuro sia nei corsi di riqualificazione, nella divisione del lavoro e nel lavoro autonomo. Nel Sud per il momento i problemi sono diversi. Qui c'è la necessità che la popolazione non solo disponga di un lavoro, ma che riceva anche un reddito adeguato. Le frasi fatte costituiscono un tentativo di "incapsulare" o presentare particolari situazioni di difficoltà per l'uomo. Due di queste frasi particolarmente sono: "senso di identità" e "crisi di coscienza". Riflettono bene le attuali incertezze, e la ricerca di individui che vogliono trovare fiducia in se stessi, quali essere umani. C'è anche uno strettissimo legame tra l'attività economica e il senso dii identità: quando il lavoro è fruttuoso per esempio rafforza il senso di stima che abbiamo di noi stessi. Le basse paghe vanno a peggiorare la situazione. Nel Sud, la crisi più aspra è provocata sia dall'alta sottocupazione, che dalla disoccupazione. Senza la sicurezza sociale, il lavoratore, i giovani devono lavorare non per vivere ma appena per soipravvivere.
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Jonathan Livingston - Volo Libero
12 Agosto 2010 alle ore 12:46:00
Cos'altro si potrebbe dire, scrivere o aggiungere a questa profonda analisi sul precariato giovanile e non solo, del giornalista di "Quindici", Giacomo Pisani? Solo un profondo silenzio e una grande riflessione. Voglio profanare tutto questo e in punta di piedi, sottovoce........ Più che un'analisi, lo considero un grido di dolore verso una società che affonda e mortifica i sentimenti e i valori dell'esistenza delle nuove generazioni, spingendo e respingendole alla più primordiale sopravvivenza. Così come visse la "bestia" quando apparve sulla faccia del pianeta, poi i primi Primati circa 65 milioni di anni fa'. Tutto vestito e truccato con un consumismo sempre più inutile e illusorio e solo votato all'eterna insoddisfazione personale e collettiva popolare. Non milioni di anni, ma tanto tempo fa', discutendo di problemi giovanile di quell'epoca, mi fu chiesto: "Cos'è per te il lavoro?" - Senza esitazioni e con tranquillità d'animo risposi: "Il lavoro è come l'amore: è la massima "espressione" dell'UOMO." Ne nacque un dibattito infinito e si capiva già, le "infiltrazioni" del consumismo e progresso, confuso con la civiltà. Ho sempre tenuto fede e sbandierato "la massima espressione dell'UOMO", non con poche difficoltà e amarezze. Oggi, leggo e rileggo quanto scritto dal giovane Pisani, e mi si stringe il cuore, un grido si blocca in gola......"il lavoro è come l'amore: è la massima espressione dell'UOMO"!!!!!!
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