La lunga agonia dell'intervento straordinario (I parte)
NAPOLI - 29.2.2008
Nel periodo compreso tra l'inaugurazione dell'intervento straordinario nel 1957 e la crisi economica del 1973-74, molti gruppi imprenditoriali realizzarono nuovi impianti nel Meridione: il grande centro siderurgico di Taranto (foto); i complessi petrolchimici di Brindisi, Gela, Porto Torres; l'impianto automobilistico di Pomigliano d'Arco.
L'industrializzazione avviò un rapido processo di dissoluzione del Mezzogiorno agrario, con il definitivo declino del blocco contadino-bracciantile, emigrato al Nord o trasformatosi in proletariato urbano, nonché processi di degradazione sociale con la formazione di ghetti urbani simili a quelli delle grandi metropoli industriali.
Durante gli anni del Centro-sinistra, il dibattito politico sull'intervento straordinario si incentrò su due grandi temi: il rapporto tra governo e Cassa del Mezzogiorno; la compatibilità o meno dell'intervento straordinario con l'istituzione delle Regioni.
Con la legge 6 ottobre 1971 n. 853 nacque il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) con poteri direttivi e di coordinamento degli interventi economici ordinari e straordinari.
Il coinvolgimento delle Regioni nei processi decisionali avvenne attraverso la formazione di un comitato composto dai presidenti delle giunte o dagli assessori da essi designati. Le Regioni subentrarono alla Cassa per la realizzazione di tutti gli interventi straordinari relativi alle materie di loro diretta competenza.
La normativa riservò alla Cassa per il Mezzogiorno un ambito specifico di intervento: i progetti speciali di interventi organici.
La successiva legge 2 maggio 1972 n. 183 rafforzò la tendenza generale a trasferire i poteri dall'esecutivo al legislativo, in modo tale da consentire al PCI di partecipare ai processi decisionali. Ad una specifica commissione parlamentare furono assegnati poteri di controllo sulla programmazione e l'attuazione degli interventi nel Meridione.
Salvatore Lucchese