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La crisi delle aziende Parlano la Cgil e due general manager locali
15 giugno 2012

Crisi di commesse. Crisi di produzione. Crediti non pagati e imprenditori bidonati. Mancanza di un progetto di sviluppo. Mai un confronto produttivo con il Comune o l’amministrazione. È tangibile la crisi aziendale, commerciale e occupazionale a Molfetta, secondo Giuseppe Filannino, coordinatore della Cgil di Molfetta. È una situazione disperata: tasso di disoccupazione all’11,5%, oltre 6mila i disoccupati, poche aziende sono ricorse a cassa integrazione, mobilità, transazione per dipendenti licenziati, liquidazione. La maggior parte ha riversato il rischio d’impresa sulla pelle dei dipendenti. «Tra l’altro, al sindacato si ricorre solo all’ultimo come fosse un pronto soccorso - ha spiegato Filannino a Quindici - per non parlare delle ritorsioni immediate verso il lavoratore che s’iscrive al sindacato». Disintegrato negli anni il capitale economico e umano, «l’operatore call center e lo spreco di denaro pubblico sono divenuti l’unica vocazione di Molfetta», il commento di Filannino che ha rilanciato a Quindici l’idea del reddito di formazione, dei prestiti agevolati per aprire un’attività e, soprattutto, di un osservatorio sul lavoro «per monitorare la situazione delle aziende e le condizioni dei lavoratori». Impossibile anche l’accesso al credito per le numerose garanzie richieste dalle banche alle imprese. Elevato il rischio dell’usura. Anzi, «per moti versi è già in atto», perché «gli imprenditori, supponendo che il cliente pagherà l’assegno della commessa, sono convinti di poter restituire a breve il prestito chiesto all’usuraio, anche se a tassi elevati, senza considerare il rischio dell’insolvenza». Quali misure programmare e attuare? Aumentare i salari, diminuendo le tasse (si sono buttati milioni di euro per salvare le banche). Tagliare gli sprechi pubblici, a partire delle amministrazioni comunali. Accesso al credito più semplice. Rappresentanza politica dei cittadini più marcata e migliore uso del voto. Queste alcune proposte di Filannino, secondo cui sarebbe necessaria una nuova pianificazione lavorativa, economica e commerciali locale, riattivando la cittadinanza e creando una vera cultura del lavoro soprattutto per quei giovani addormentati e disillusi. Evidente anche la paralisi del settore dell’edilizia. «È difficile sapere quante aziende hanno chiuso nell’ultimo anno, perché molte di loro hanno il vizio di chiudere e riaprire con una nuova denominazione - ha chiarito Filannino -. La situazione è, però, pesante. I lavoratori edili che si rivolgono alla Cgil per chiedere la disoccupazione o provare a recuperare i soldi sono tantissimi». Per avere un quadro complessivo della crisi aziendale e occupazione a Molfetta, Quindici ha intervistato due genaral manager locali: Alessandro Porta della Jeannot (produzione di scarpe) e Franco Valente della Vape Classic (produzione e commercio di abbigliamento). JEANNOT IN CRISI: 40 ESUBERI Dott. Porta, l’azienda Jeannot è da due anni in crisi, con un calo della produzione e un esubero del personale. Quanto ha influito sulla Jeannot l’attuale congiuntura economica, con il calo dei consumi e la concorrenza dei prodotti extraeuropei? «Già nel 2007 avevamo intravisto un cambiamento nel mercato per l’affacciarsi di competitor internazionali molto aggressivi, come la Cina. Sentivamo che sarebbe cambiata la nostra posizione sul mercato perché l’invasione dei prodotti dei nuovi competitor avrebbe colpito tutte le fasce di commercializzazione, soprattutto grazie all’acquisizione del know how, a risorse qualificate per la produzione, alla disponibilità dei capitali, a una manodopera molto bassa e agli importatori europei. L’attuale congiuntura economica e il calo dei consumi hanno sicuramente aggravato le criticità dell’azienda». Dunque, una situazione che avrebbe potuto anche sancire la chiusura dell’azienda. Cosa avete programmato per frenare questa crisi aziendale? «In concertazione con i sindacati, abbiamo pianificato una ristrutturazione aziendale, ridisegnando tutta la filiera della produzione (personale amministrativo, commerciale, logistico e produttivo, ndr). Così abbiamo cercato di recuperare un grado di efficienza nella produttività per presentarci sul mercato e rilanciare l’azienda». Nel concreto, in cosa consiste questa ristrutturazione in itinere? «Una cassa integrazione straordinaria dall’1 maggio per crisi aziendale, in cui sono coinvolte 30 persone, ma abbiamo avuto una cassa integrazione di anni già in deroga. Il dialogo con i sindacati è stato fondamentale proprio per cercare tutti gli ammortizzatori sociali e per evitare la chiusura immediata dell’azienda. Fino ad oggi non ci sono stati licenziamenti, ma abbiamo già dichiarato 40 esuberi». Come saranno trattati questi esuberi? «In base al disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro, per le dimissioni personali entro il 2013 varranno i vecchi periodi di mobilità. In pratica, chi ha più di 50 anni ha diritto dal prossimo anno, quando esauriremo la cassa integrazione straordinaria, fino a 4 anni di mobilità. Qualcuno può anche agganciarsi all’età pensionabile, sfruttando proprio gli ammortizzatori sociali, mentre gli altri potranno ricollocarsi sul mercato, anche se dal 2014 la mobilità si ridurrà a 12 mesi. Inoltre, com’è stato richiesto dai sindacati, se l’azienda dovesse aver bisogno di ulteriore personale per una ripresa della produzione, i lavoratori manterranno un diritto di prelazione, oltre il periodo di 6 mesi previsto dalla legge, perché è importante salvaguardare il patrimonio delle nostre risorse umane». Sarà possibile una ripresa dell’azienda, anche con qualche aiuto della finanza? «La finanza non ti aiuta, anzi le banche ti chiamano per tagliare gli affidamenti. Nessuna possibilità di accedere a qualche credito, è l’imprenditore che immette i suoi capitali, con tutti i rischi. Oggi siamo nel punto di minimo assoluto in termini di portafoglio ordini, ma abbiamo creato le premesse per una ripartenza dell’azienda. Oltre alla ristrutturazione aziendale, abbiamo cambiato la squadra che si occupa dello stile del prodotto e avviato una serie d’iniziative fieristiche per la distribuzione dello stesso, soprattutto nei paesi asiatici, nord africani e in Russia». VAPE CLASSIC, TRA INSOLUTI E ASSENZA DELLO STATO Sig. Valente, come la crisi economico-finanziaria ha influito sulla produzione dell’azienda? «La crisi che ha colpito noi non è diversa dalla crisi che ha colpito tutto il resto d’Italia, anche negli altri settori e segmenti di mercato. La crisi economica va di pari passo con il calo dei consumi, tra l’altro amplificato e alimentato dai media, e si traduce, nel nostro caso, in una contrazione di produzione. I dati raccolti per aprile e maggio riportano un calo delle vendite dei nostri clienti tra il 40% ed il 60%, un dato molto preoccupante, ma anche sintomatico di un allarmismo diffuso. La crisi finanziaria, invece, appare meno tangibile e si ha sempre più la sensazione che si tratti di una mera opportunità speculativa per tutte quelle “fanta- società” di sicuro lontane dall’economia reale. Intanto, la finanza resta appannaggio delle aziende come la nostra che hanno bisogno di partner del credito concreti e presenti». Un altro aspetto non secondario è la difficoltà di accedere al credito soprattutto per piccole e medie imprese, di fronte alle severe garanzie richieste dalle banche. La Vape Classic è ricorsa al credito bancario? «Oltre ai mezzi propri, un’azienda sana ha bisogno di accedere a capitali di debito per cogliere le opportunità di mercato e crescere. Oggi l’accesso al credito è sicuramente più difficile che in passato. Ritengo che le regole attuali siano quelle corrette per costruire un’economia sana, anche se in un momento di crisi come questo le banche dovrebbero sostenere le aziende sulla base di numeri e poste di bilancio, ma anche e soprattutto di know how, analisi qualitative e opportunità di mercato. Tutto ciò sarebbe possibile se le banche tornassero a essere partner presenti, sostenendo le aziende con un costo del denaro adeguato, ma pur sempre ragionevole, e se si concretizzasse un monitoraggio fisico costante. Gli istituti di credito, purtroppo, esercitano sempre meno la propria funzione economico-sociale, diventando ogni giorno incubatrici di prodotti finanziari che a poco servono per un rilancio dell’economia vera. Oggi un istituto di credito può essere motore della ripresa offrendo alle aziende come la nostra prodotti per supportare le esportazioni, per agevolare gli investimenti e finanziare la produzione. La nostra azienda ha un buon rapporto con banche e istituti del credito, ma il costo del denaro resta molto alto rispetto al rischio di mercato su cui si opera. Infatti, il problema attuale più grande non è reperire risorse finanziarie, bensì riuscire a incassare dai propri clienti. Questo è un problema che affligge tutte le piccole e medie imprese italiane di cui nessun legislatore fino ad oggi si è davvero preoccupato. Il recupero del credito in Italia resta difficilissimo e la tutela di un’azienda nei confronti dei propri clienti è troppo debole. Tutto ciò si traduce in una concreta paura di investire, di produrre, di fare magazzino perché spesso, piuttosto che rischiare di “perdere soldi”, si sceglie di non consegnare con una conseguente obsolescenza dei propri prodotti che si rinnovano ogni stagione, ma soprattutto con un’alta incidenza dei costi di commessa. Così calano consumi, produzione, ricchezza». È evidente l’assenza di un supporto concreto da parte dello Stato, ma soprattutto della politica, che ormai si è ridotta a favorire l’interesse di pochi, invece che rappresentare la collettività. A questo si aggiunga la mancanza di un distretto manifatturiero con servizi a Molfetta e l’inerzia dell’amministrazione comunale. «Innanzitutto, la politica periferica dovrebbe supportare il territorio aggiungendo qualcosa in più rispetto alla politica centrale. Purtroppo, oggi manca proprio quest’ultima. Lo Stato e i politici nelle più alte cariche sono lontani dall’economia reale. Si continua a perseguire l’interesse di pochi, ma è come raschiare il fondo del barile. Le aziende, le famiglie, le persone sono esauste, perché subiscono ogni giorno l’umiliazione di vedersi sbattere in televisione tante ingiustizie cui quasi mai segue una pena certa. La politica locale può soltanto ottimizzare e massimizzare il benessere degli operatori sul territorio. In primis con infrastrutture adeguate, quindi con un monitoraggio e un controllo del territorio, infine con incentivi per chi investe localmente. Ma anche qui bisogna superare l’interesse del singolo. Tra l’altro, l’industria manifatturiera dell’abbigliamento non ha un suo polo a Molfetta. Questo è per noi un grande ostacolo alla crescita, perché dobbiamo sopportare dei costi logistici di produzione molto importanti. Poli come Barletta, Martinafranca, Carpi sono più agevolati, ma non è sufficiente l’essere in un distretto per superare questo momento così critico. Per di più, il concetto di “zona industriale” andrebbe meglio spiegato agli imprenditori e ai politici. Copriamo una superficie importante, operiamo in diversi settori, siamo parte dello stesso territorio, ma continuiamo a sentirci soli perché in fondo non facciamo niente per uscire da questa situazione. Insieme saremmo sicuramente più forti. Personalmente credo che una delle strade migliori per uscire da questa crisi sia davvero quella di iniziare a maturare una coscienza sempre più di gruppo, di Paese, di Regione, di Stato». In concreto, come il calo di produzione ha influito sull’asset aziendale? «Con grandissimo rammarico, dopo 35 anni di ininterrotta attività, a gennaio abbiamo dovuto chiudere un ramo aziendale, la produzione di pantaloni da uomo classici, per l’insolvenza dei clienti, la contrazione dei consumi, l’aumento dei costi fissi e le tasse, la stretta del credito. Questa chiusura ha comportato il ricorso a un importante ammortizzatore sociale, la cassa integrazione. Strumenti come questo sono fondamentali per la stabilità del Paese, ma molto di più dovrebbe essere fatto per la riallocazione della forza lavoro. Per far partire nuove aziende, nuove idee, nuovi imprenditori sono necessari nuovi incentivi, non solo economici, ma soprattutto normativi e agevolativi. La nostra azienda adesso è concentrata a recuperare terreno con gli altri rami aziendali. La stessa organizzazione aziendale è cambiata moltissimo negli ultimi mesi per assecondare i cambiamenti esterni. Infatti, resta un mercato di opportunità, che rispetto al passato cambia semplicemente in maniera più veloce. Chi saprà essere contemporaneo con un occhio al futuro di sicuro troverà la propria strada. Stato, politica, finanza permettendo».

Autore: Marcello La Forgia
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