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La caccia e il toponimo rurale Fabbrichette
15 aprile 2010

Il Catasto Murattiano di Molfetta fu iniziato nel 1808 e, dopo la prima stesura del 1813, entrò definitivamente in uso nel 1825. Esso era unico sia per gli immobili urbani che per i fondi agricoli; successivamente la parte urbana fu estrapolata formando una sezione a parte. La prima operazione per la formazione del catasto fu quella di individuare le diverse proprietà, assegnare un numero identifi cativo e darne il valore. Si formò così un apprezzo che, nel caso del Catasto Murattiano, fu chiamato stato di sezione, dove ad ogni unità immobiliare, a seconda della collocazione, fu data la sezione e, nell’ambito della sezione, un numero identifi cativo; seguiva poi il nominativo del proprietario, la contrada, la coltura, l’estensione, le classi di coltura e il valore. Scorrendo l’elenco delle contrade rurali, è stato evidenziato l’utilizzo di altri toponimi rurali la cui origine, a volte, è oscura. Per esempio Fabbrichette, località subito a ridosso del Santuario della Madonna dei Martiri tra la strada rurale che porta a Cala S. Giacomo e il lido del mare. Questa contrada circoscriveva all’incirca una decina di vigne, compresa l’area dell’ex Tiro a segno. Per chi non è a conoscenza dell’ex Tiro a segno, ricordiamo che era situato all’inizio del molo del nuovo Porto di Molfetta. Il 13 aprile 1869 Salvatore Gadaleta fu Giovanni, proprietario di una cocivina, e Cosmo de Nichilo fu Michele, fi ttavolo di un’altra cocivina contigua e appartenente alla Pubblica Benefi cenza (ambedue i fondi erano situati dietro la chiesa della Madonna dei Martiri), diedero in fi tto a Luigi Nisio fu Giorgio le parieti a mare di questi due fondi per formare la posta della fabbrichetta per il passaggio della caccia di mare in estate e inverno. Il Nisio doveva fare nelle parieti a sue spese le balestriere e le poste di richiamo. Il fi tto iniziava dal mese giugno e terminava a maggio del 1873 dietro il corrispettivo annuo di £. 12,75 (metà per ciascuno). La servitù di passaggio nei due fondi e l’utilizzo del pariete era riservato solo al Nisio e non ad altri1. Possiamo quindi definire che il toponimo Fabbrichette deriva dall’esistenza di queste poste di caccia situate lungo la costa, in special modo in questo tratto di mare. Ignoriamo però da quanti anni si praticava la caccia da posta, visto che il toponimo Fabbrichette era ben radicato e noto nell’uso comune già dal 1809. Con la costruzione del Tiro a segno avvenuta nel 1867 e per altri vari motivi, la zona fu molto manomessa e stravolta, ma nella ricognizione e descrizione della costa molfettese, eseguita nel 1892 dall’allora comandante Biagini dell’Ufficio Circondariale di Porto di Molfetta, venne annotato che lungo la costa, tra i fondi rurali e il mare, vi erano numerosi tratti di muri a secco che servivano da posta per i cacciatori. Osservammo molto tempo fa, in alcuni tratti della costa verso Bisceglie, i resti di questi muri, le relative balestriere e solo due poste, una ai piedi dei resti della montagnola del Tiro a segno e l’altra sul versante verso Giovinazzo subito dopo l’Istituto IPSIAM2. A proposito della caccia che può essere intesa sia come momento di lavoro che di svago, diamo alcune notizie di ambito locale tratte da diverse fonti. In un inventario di attrezzi del 1587 vi si annotò una rete per giocare agli uccelli. Nel 1633 tra una lista di oggetti vari si rintracciano due ragne, ossia reti, per prendere uccelli. Nel 1825 nella casina di proprietà della famiglia molfettese dei Sigismondo, situata nelle vicinanze dell’ex caserma della Guardia di Finanza a Torre Gavetone, fu fatto un inventario di vari oggetti, tra cui si annotarono 20 aste e 12 reti per la caccia alle quaglie. In ultimo, nel 1875 un tale chiese al vescovo il permesso di impiantare delle reti per catturare gli uccelli in un fondo attiguo al mare di proprietà delle monache benedettine sulla via di Giovinazzo. Questo fa intendere che da noi era comunemente praticata la cattura degli uccelli mediante reti da posta. Diverse persone tra il XVII e il XVIII sec. erano in possesso di scoppette corte e lunghe da caccia. Alcune norme vietavano ai sacerdoti di cacciare le quaglie tra aprile e maggio, oppure era vietato dare la caccia ai gatti domestici o selvaggi perché essi mangiavano i topi e le scircare (topi grossi di fogna); chi era sorpreso pagava una multa di 10 carlini. Nonostante certi divieti, nel 1791 un tale Felice Candida, che cacciava per divertimento di giorno e di notte, promise ad un greco, tale Teodoro Xerocosta, di fornirgli pelli di volpi e gatti sia selvatici che domestici nell’arco di sei mesi, a decorre dal 1 ottobre 1791 al 31 marzo 1792. Per ciascuna pelle di volpe il greco pagava 4 carlini, mentre quella dei gatti 1 carlino.

Autore: Corrado Pappagallo
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