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Jobs act e art. 18 confronto a Molfetta: la creazione e la tutela del lavoro
20 ottobre 2014

MOLFETTA - “Riappropriamoci del senso delle parole, perché la riforma del lavoro tocca la carne viva della mia generazione. Il cambiamento propinato dai media non va bene per me né per gli altri giovani che spero non rimangano passivi di fronte a questo attacco diretto alla nostra generazione”, ha affermato a gran voce Manuel Minervini, 25 anni, universitario. Lui vuole avercelo un futuro ed è per questo che ha accolto la sfida quotidiana dell’impegno civico nell’associazione Comitando che, nella sala Finocchiaro, in collaborazione con la CGIL , ha voluto creare uno spazio di confronto e di approfondimento sul tema del Jobs Act e dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori.

Il coordinatore della serata, Mario Ciuccio, segretario della Camera del Lavoro di Molfetta,  ha voluto rivolgere un pensiero a tutti quei ragazzi che a Genova, a mani nude, sono accorsi ad aiutare, prima ancora dell’arrivo dei politici e, si è chiesto, se infondo questi giovani non abbiano già perso la speranza di un contratto di lavoro indeterminato. “I dati ci dicono che, negli ultimi sei mesi, su 2 milioni e 700 contratti, soltanto 400 sono a tempo indeterminato. Mi auguro che il governo lasci da parte l’articolo 18 e pensi ad offrire contratti decenti ai ragazzi”.

Il professore di diritto del lavoro all’Università di Bari, Vincenzo Bavaro ha cercato di spiegare in parole semplici il senso del Jobs Act: “Il maxiemendamento, il disegno di legge che è stato approvato in Senato, in realtà è un articolo unico di sette pagine in cui è chiaro, anche se non viene detto, che bisogna eliminare l’articolo 18, senza che vi sia alcun riferimento all’articolo nella delega, né che vi appaia la parola licenziamento. È evidente però che nei voleri legislativi ci sia il contratto a tutele crescenti. Ciò che importa è il valore simbolico che acquisterebbe la cancellazione dell’articolo 18: la possibilità di ricorrere a licenziamenti del tutto ingiustificati, quindi un effetto di indebolimento. In realtà anche oggi si arriva poche volte a sentenza di reintegrazione, perché solitamente si conclude prima attraverso le transazioni, facendo esattamente quello che il governo vorrebbe, cioè trasformare il posto di lavoro in una somma di denaro. Il punto è che si andrebbe a colpire, eliminando l’art. 18, il tabù, il totem. Si andrebbe a rimuovere il più forte simbolo della tutela del lavoro”.

Il sindaco Paola Natalicchio (nella foto con Vincenzo Bavaro), si è detta colpita positivamente da ciò che è avvenuto durante l’incontro, ovvero fare quello in cui il governo non è riuscito. “Stiamo facendo un esercizio che è stato la base storica della Costituzione e della democrazia sociale di questo paese e che i libri di sociologia definiscono Triangolo: abbiamo messo insieme CGIL, Confindustria, Università e ricerca e Politica per confrontarci. Il governo non è autorizzato nel metodo né nel merito a fare ciò che sta facendo. Ha lavorato ad un decreto illeggibile in cui il contenuto diventa quindi secondario, stanno intossicando e anestetizzando l’aria. L’incipit da Antico Testamento del Jobs Act ha ulteriormente avvilito la metodologia della riforma. Questa riforma è praticamente già fatta perché avrà la fiducia della Camera senza che nessuno abbia coinvolto le associazioni di categoria.”

È poi intervenuto il Presidente di Confindustria Puglia, Domenico Favuzzi, il quale si è dichiarato dispiaciuto e preoccupato in quanto la percentuale dei giovani disoccupati al Sud è del 60% anche a causa della cassa integrazione. Molte aziende hanno chiuso, provocando una desertificazione del Mezzogiorno a favore degli imprenditori del Nord. Va benissimo affrontare il discorso riguardante la tutela del lavoro, ma noi rischiamo che il lavoro si estingua, dunque dovremmo preoccuparci di come crearlo prima ancora di tutelarlo. In Italia l’unica industria che funziona è quella delle grandi imprese tipiche del Veneto, dell’Emilia Romagna e della Toscana:  piccole multinazionali che vendono prodotti unici al mondo. In questi anni si è verificata un’accelerazione tale nell’economia che le innovazioni tecnologiche, in costante cambiamento, richiedono continui aggiornamenti per non restare nell’obsolescenza. Per quanto riguarda il decreto legge, non so se questo sia il frutto di un accordo tra Confindustria e Governo, quello che so, è che la prima ha scelto di fare un passo indietro per far lavorare  il secondo. Per Confindustria l’importante è che si faccia qualcosa, perché se restiamo fermi  moriremo, condannando una generazione a non entrare nel mondo del lavoro”. 

Infine, ha preso la parola Pino Gesmundo, segretario  generale della CGIL di Bari che ha espresso l’urgenza di un Paese che deve insorgere: “Deve farlo, non perché sono di parte, ma per  i lavoratori dei call center che oggi, come nelle catene di montaggio, vengono spogliati della dignità e inoltre si reintroduce la possibilità del controllo a distanza. Stiamo parlando di una filosofia del lavoro relegato ad una condizione di merce. Se nel Mezzogiorno la disoccupazione raggiunge certi livelli  è anche a causa dell’incompetenza dei politici e di un sistema dell’illegalità ben consolidato. In piazza, a Roma, vogliamo perciò discutere con questo Governo delle politiche di sviluppo, di riforme vere, riforme della giustizia, civili, amministrative e penali”. La strada che lo Stato deve percorrere in fretta è quella dell’investimento in quelle aziende che puntano all’innovazione e alla ricerca, solo così si potrà creare occupazione, in grado di assorbire le persone che oggi ne sono tagliate fuori e si potrà dare un futuro, che non sia fuori dall’Italia, ai tanti giovani come Manuel.

© Riproduzione riservata

Autore: Marianna Palma
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