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In chordis et organo
15 luglio 2017

L’idea di dedicare alla memoria di don salvatore Pappagallo un volume di studi storico-musicali, incentrato essenzialmente sull’analisi dell’ambiente “romano” della musica sacra, nasce dal fatto che Roma abbia rappresentato, negli anni della sua formazione di musicista, un ineludibile metro di paragone, una fons estetica cui attingere continuamente. E’ l’incontro propizio con il suo maestro di composizione Armando Renzi, all’inizio degli anni Sessanta del Novecento, ad introdurlo nel mondo delle tradizioni e delle prassi esecutive secolari romane, Renzi fu infatti direttore del coro della Cappella Giulia. A Roma respira l’aria “metropolitana”, affascinante e “distruttiva” per un giovane sacerdote proveniente dalla provincia meridionale. Nella sua vita, Roma significò subito Le nozze di Cana, oratorio del 1965 scritto per conseguire il diploma di composizione presso il Conservatorio di Santa Cecilia; tuttavia, in primis et ante omnia, Roma ha significato la Cappella Musicale Pontificia Sistina ed il suo direttore perpetuo mons. Domenico Bartolucci. La “folgorazione sulla via di Damasco” si compie in Puglia, esattamente a Noci negli anni 1964-1965. È presso l’Abbazia dei benedettini, che lo studioso di gregoriano, Padre Anselmo Susca, sotto l’egida di Nino Rota, organizza pioneristici corsi di canto gregoriano, invitando oltre che i più emblematici esponenti della scuola solesmense, dom Claire ad esempio, anche Bartolucci per tenervi un corso di direzione di polifonia palestriniana. Don Salvatore è allievo di quei corsi e ancora oggi è emblematica una fotografia che lo ritrae, in concerto insieme a tutti gli altri corsisti, con il Liber Usualis tra le mani. Qualche anno dopo, a Loreto assiste, con la schola cantorum del Pontificio Seminario Regionale Appulo Lucano, ai concerti di gala tenuti dalla Sistina; in quegli anni, 1968 e 1969, la Sistina con il suo direttore era vista come una roccaforte di un certo tradizionalismo, mentre il mondo viaggiava verso le messe beat o, che dir si voglia, “dei giovani”. L’incontro lauretano con la traditio romana apriva mondi inusitati: l’ascolto dei mottetti e delle messe di Palestrina, di Morales, di De Victoria e di altri grandi maestri rinascimentali tracciava un profondo solco nel suo animo di musicista tanto da fargli comporre, nel 1972, un Magnificat in re minore a tre voci virili ed organo dedicato alla Cappella Giulia ed indirettamente al suo diretto Armando Renzi. Svolta decisiva fu quella del 1984, quando grazie alla passione per la polifonia di un giovane sacerdote molfettese che aveva studiato a Roma, don Luigi Michele de Palma, il coro molfettese “Josquino Salepico”, dopo aver tenuto un concerto in San Lorenzo in Damaso (con Bartolucci in sala) fu ammesso ad assistere alle prove della Sistina. L’ascolto di Palestrina, interpretato da molti vecchi cantori ancora in servizio dal 1959 (penso a Jacoboni, Felici, Pirisino, Gaggi, Tardiola, Miglietta, Poggiolini, Mandoy, Traica), accese ancora di più il “fuoco interiore” in don Salvatore, che pensò bene di organizzare a Molfetta (e così fu dal 1985 al 1993) corsi di polifonia palestriniana, invitando proprio il maestro Bartolucci. La “lezione romana”, appresa poi (anche da noi coristi del “Salepico”) negli anni dei corsi a Molfetta costituì un unicum di cui all’epoca non si intuì, forse, la reale portata. Oggi, si dedica alla memoria di don Salvatore Pappagallo questo volume “romano”, che vede la collaborazione del maestro Luciano Luciani, già cantore pontificio (tra i primi iscritti ai corsi di Molfetta ed estimatore di don Salvatore), del maestro Gaetano Magarelli, organista e maestro di cappella della cattedrale di Molfetta e del maestro Gioacchino de Padova, docente di Storia della Musica al Conservatorio Piccinni di Bari. Inoltre si pubblica un articolo del sottoscritto ed alcuni scritti di carattere musicale del professor Giuseppe Capotorti, prematuramente scomparso nel 2010. A completamento dell’articolo, sembra opportuno riportare le parole scritte per l’occasione dal maestro Gioacchino De Padova, docente di Storia della musica presso il Conservatorio di musica Piccinni di Bari: La storia della musica, dopo la crisi delle grandi narrazioni ottocentesche, delle sue mirabili sintesi e dei suoi affreschi esaltati, vive uno status incerto, diviso tra tendenze contrastanti: aprire lo sguardo a qualunque esperienza musicale, ovunque nel mondo, con il rischio di sciogliersi in una sorta di specchio globale dell’esistente; oppure all’inverso, rifugiarsi in una infinita collezione di frammenti ,‘documenti’ di cronaca, insidiosi più che mai laddove il ‘fatto’ di cui la storia voglia occuparsi, la musica, è per sua natura caduco. Questa idiosincrasia della storia della musica ha un antidoto quando si possa mettere in campo una doppia competenza, quella dello storico e quella del musico pratico: frequentare i documenti col doppio sguardo del ricercatore e del musicista. Una frequentazione assidua e ‘specialistica’ degli oggetti musicali (intendo dire proprio oggetti: strumenti e partiture) insieme ad una dimestichezza altrettanto assidua con gli oggetti ‘non musicali’ (i documenti, le cronache, le teorie storiche), questa doppia familiarità permette ancora di fare ricerca storico musicale, pur senza le teorie ‘forti’ che hanno caratterizzato il campo nei due secoli scorsi. Questo volume raccoglie ricerche e riflessioni in onore di un grande ‘musico pratico’, di uno straordinario musicista e didatta, e sono ricerche operate in quel modo, lavori di ‘musicisti ricercatori’; leggendo queste pagine si scorge con chiarezza il tentativo, riuscito, di riconnettere i documenti sia con il quadro ampio della storia della polifonia antica sia con la realtà viva di quella stessa musica, mostrando come prassi e teoria si comportino reciprocamente da ‘fonte’ l’una verso l’altra. Il fatto poi che gli autori di questi scritti si siano formati anche alla Scuola di don Salvatore Pappagallo è probabilmente il segno più significativo dell’opera da lui fatta per una vita intera.

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