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Il sindaco Azzollini revoca l'incarico a Francesco Nappi, presidente dell'Asm di Molfetta
24 agosto 2009

MOLFETTA - Cominciano i primi problemi per la giunta di centrodestra del sindaco Antonio Azzollini: è stato, improvvisamente e senza spiegazioni, revocato l'incarico al presidente dell'Asm, Francesco Nappi (foto), sostituito provvisoriamente dal direttore Silvio Binetti. E' stato lo stesso sindaco a prendere questa decisione che in città viene considerata come un siluramento in vista di possibili conseguenze su altri fronti. Si tratta solo di voci, ma una destituzione così rapida e senza alcuna spiegazione ufficiale, farebbe pensare che dietro questo episodio ci possano essere risvolti politici o giudiziari. Come mai Azzollini non ha dato alcuna spiegazione di questa decisione? Teme che la sua maggioranza possa perdere colpi? Certamente questo episodio è l'ultimo di una politica amministrativa della giunta Azzollini che è ampiamente criticata dai cittadini che finora non hanno visto nulla di positivo a favore della città se non ricorsi al Tar, perduti in partenza, che sono costati soldi ai contribuenti per inutili battaglie di principio (caserma capitaneria, donne in giunta, nuovo pip, ecc.). Di fronte ad un episodio di questa gravità, meraviglia il silenzio dell'opposizione di centrosinistra che quantomeno dovrebbe chiedere spiegazioni al sindaco di una decisione che riguarda tutta la comunità. Se ci sono stati comportamenti scorretti da parte del presidente Asm, è necessario che i cittadini siano informati nella massima trasparenza. Se, invece, la decisione di sostituire Nappi è solo politica, è anche giusto che vengano spiegati i motivi che potrebbero nascondere una crisi latente della giunta Azzollini. Il silenzio del centrodestra, abituato a livello nazionale e locale, a non rendere conto ai cittadini-elettori, non è certamente democratico e nasconde gestioni personalistiche del potere che non possono essere accettate.
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"Girasoli metropolitani"-Contro la politica personalistica. L'Italia ha 60 milioni di abitanti. Non sono pochi. Secondo alcuni sono ben il doppio di quanti l'Italia ne possa sopportare mantenendo un equilibrio tra produzione di risorse (cibo, acqua potabile, energia, ossigeno, territorio) ed i nostri consumi. 60 milioni di abitanti sono tanti e, anche considerando che i laureati sono solo il 12% della popolazione, si tratta sempre di un bel 7,2 milioni di persone con una cultura universitaria. Se poi consideriamo che la laurea non è affatto necessaria per occuparsi di politica e supponiamo che un buon candidato debba essere tra i 20 ed i 70 anni, possiamo stimare i ragionevolmente eleggibili tra i 7 ed i 30 milioni di persone. Milioni, mica decine o centinaia. Beh, magari questo non ci piace, quell'altro ha idee troppo diverse, l'altro ancora non ha nessuna intenzione di impegnarsi. Ma, accidenti, è impossibile che non vi siano almeno cento mila persone adatte? Eppure si vedono sempre i soliti 30 o 40 soliti noti. Certo, se i politici sono 30 o 40 è ovvio che si debbano sostenere i "propri" candidati anche quando vengono travolti dagli scandali. C'è una domanda che frulla in mente da un po': «ricoprire una carica politica è un diritto?» Per una politica migliore -e normale, come nel resto dell'Europa- si propone semplicemente che: un politico che finisca in uno scandalo (di qualsiasi tipo) che ne macchi la limpidezza, non venga più ricandidato; anche quando vi sia il rischio che sia vittima e non causa dello scandalo In fondo, se la politica è sacrificio per gli altri (come dovrebbe essere) allora sollevare qualcuno dall'incarico dovrebbe essere fargli un favore, consentendogli di seguire con più attenzione le faccende personali e lasciando a qualcun altro, più libero da vincoli e problemi, l'onere della gestione della cosa pubblica. Ovviamente, a maggior ragione questo ragionamento si estende ai casi giudiziari: un politico inquisito si sospenda dalla propria carica (pena venir radiato dal partito e non essere ricandidato a vita) un politico condannato si dimetta dalla propria carica (pena venirne sollevato, con demerito) ovviamente i partiti non candidino né inquisiti né condannati (qualunque cognome portino) Queste regole sono normalmente applicate, nei paesi europei, per i politici di ogni partito, di destra o di sinistra, progressista o conservatore. Perché da noi no? Certo, c'è il pericolo che qualcuno produca uno scandalo apposta per far fuori un candidato. Ma se consideriamo attentamente la questione potremmo scoprire che, in fondo, ce ne sono altri a migliaia, forse a milioni e tra questi ci sarà sicuramente un candidato adatto, o addirittura migliore, di quello ritirato. Basta fare lo sforzo di trovarlo e valorizzarlo. Ci sono persone che sarebbero ottimi e onesti parlamentari. Alcuni di loro potrebbero anche essere ottimi ministri, se solo si desse loro la possibilità di provarci. Lasciamo alla magistratura il compito di ripulire gli scranni delle nostre povere istituzioni democratiche: anche comportamenti semplicemente abbietti o politicamente disonesti, per quanto non illegali, dovrebbero destare scandalo sufficiente al civile allontanamento dalla carica in cui si dovrebbe rappresentare il popolo, prima che se stessi.

I nuovi vizi Gli italiani? Arroganti e maleducati Lo afferma un'indagine realizzata in esclusiva per il Messaggero di sant'Antonio dall'istituto demoscopico Astra Ricerche. I più viziosi? I politici, ovviamente. di Enrico Finzi Quali sono i principali vizi degli italiani, quelli cioè a un tempo più gravi e più diffusi? Quali le principali cause dei nostri maggiori «difetti» nazionali? E quali i gruppi sociali più colpevoli? A queste domande risponde una vasta indagine demoscopica, realizzata nella seconda metà del 2008 in esclusiva per il «Messaggero di sant'Antonio». Un'indagine basata su circa 700 interviste telefoniche a un campione rappresentativo dei nostri connazionali tra i 18 e i 79 anni, i quali ammontano a 45 milioni. Il quadro che emerge da questo studio è per molti versi negativo, a volte angosciante. Al primo posto troviamo la maleducazione, spesso sposata all'arroganza nei rapporti tra le persone: ben nove su dieci abitanti del Bel Paese puntano il dito contro questo vizio. L'80 per cento denuncia un altro insieme negativo: quello formato da individualismo e consumismo materialistico, connesso all'egoismo della società contemporanea che ricerca ossessivamente i beni materiali, dimenticando ogni dovere (e piacere) legato alla solidarietà tra gli esseri umani. Al terzo posto, col 77 per cento delle indicazioni, incontriamo il menefreghismo: quel misto di indifferenza e di assenza di responsabilità che pare attanagliare il nostro popolo, il cui cuore è troppo spesso irrigidito e il cui impegno etico nell'ambito sociale è ridotto ai minimi termini. In stretta connessione, con un valore di poco inferiore (74 per cento), ecco quel tipo di degenerazione etica che si traduce nella disonestà e anche nella corruzione. Considerando i primi quattro posti in «classifica», possiamo già fare una prima valutazione: la più aspra preoccupazione della gente riguarda in generale l'imbarbarimento della vita e delle relazioni interpersonali, fondato sul trionfo dell'«io isolato dagli altri» e sul venir meno dell'etica personale e collettiva. Di diversa natura, ma in fondo non così dissimile, è il quinto macro-difetto della nostra gente, lamentato dal 71 per cento dei 18-79enni: si tratta dello scarso rispetto per la natura e per l'ambiente. In fondo, a ben vedere, siamo di fronte a un altro esempio di egoismo: questa volta riferito non agli umani ma agli animali, alle piante, alle risorse naturali all'interno del cui mondo si svolge la nostra esperienza di vita. Gli ultimi quattro vizi hanno un peso inferiore, a partire dalla dipendenza da sostanze, e in particolare da droghe, contro la quale punta il dito il 53 per cento dei nostri connazionali, preoccupato e spesso indignato sia per i danni che tale schiavitù finisce per apportare a chi ne soffre, sia per le conseguenze – spesso nefaste – che la tossicodipendenza o dipendenze similari frequentemente infliggono ad altri cittadini del tutto incolpevoli (si pensi al caso degli incidenti stradali determinati da guidatori ubriachi, drogati, ecc.). Il 49 per cento indica come vizio più grave il carrierismo e la competizione senza regole e senza freni, essi stessi determinati dall'egoismo, dall'insana volontà di potenza, dal considerare gli altri solo un mezzo per raggiungere i propri obiettivi oppure solo ostacoli sulla via del proprio successo. Al penultimo posto in questa triste classifica ecco il dilagare tra gli italiani dell'immaturità e spesso dell'infantilismo. Si tratta – secondo il 47 per cento degli intervistati – di una sindrome sempre più diffusa, connessa all'indebolimento dell'approccio adulto alla vita, quello capace di accogliere e di valorizzare i limiti che l'esperienza umana inevitabilmente propone. Infine il 42 per cento denuncia la crescita nella nostra società dell'intolleranza (a volte religiosa, a volte politica, spesso culturale, spessissimo sportiva): quell'incapacità di accettare e anzi di valorizzare la pluralità e la variegatezza delle opinioni e dei comportamenti che rende democratica e civile, oltre che moralmente solida, qualunque civiltà. Il rischio è quello del fondamentalismo, che non è attribuibile solo all'islamismo deteriore ma inizia a corrodere anche le basi delle nostre società giudaico-cristiane: il che avviene quando la sana convinzione della validità dei propri principi degenera nel non riconoscimento delle esperienze diverse dalle nostre, trasformando le fedi in aggressività anti-umana, la verità in arma letale. Chi ha più vizi? Contano poco le differenze per sesso, età, area geografica, titolo di studio, professione, e così via: l'intero Paese risulta coinvolto in un gigantesco allarme collettivo per la progressiva perdita di civiltà e, più profondamente, per la perdita della dignità personale, di se stessi, delle migliori caratteristiche del nostro popolo. Diverso è il discorso per quel che attiene ai gruppi sociali che sono accusati di avere più vizi e vizi più gravi. Il primo fenomeno, già ampiamente noto, ha a che fare con la profonda caduta d'immagine della politica e dei politici, aventi l'assoluta leadership di questa classifica negativa. L'impressione è quella di un'immensa presa di distanza da un'attività, quella basata sulla gestione della polis, che ben sappiamo essere insostituibile e – se gestita in modo equilibrato – preziosa e nobile: tale presa di distanza riguarda tutti gli schieramenti politici. Gli altri soggetti sono spesso criticati da percentuali assai simili, rilevanti seppur minoritarie. Un primo esempio è quello dei sindacalisti, degli imprenditori e dei banchieri, tutti e tre vicini al 40 per cento di «rifiuto sociale» per la loro comune identificazione con i difetti e non con i pregi del Paese: a conferma di un generale calo di reputazione di quasi tutti i gruppi sociali dotati di responsabilità. Tra le diverse generazioni e classi di età, i giovani sono più criticati (dal 36 per cento) degli adulti (25 per cento) e ancor più degli anziani (solo 6 per cento): ciò conferma che il dominante vissuto collettivo è quello di un degrado iniziato col secondo dopoguerra e via via progredito. I vecchi, infatti, appaiono assai più immuni dal generale imbarbarimento rispetto alle nuove leve, penalizzate dal benessere senza valori e dall'individualismo senza solidarietà. Alcuni gruppi professionali specifici soffrono di un livello di disistima piuttosto compatto: i giornalisti (35 per cento), i magistrati, i liberi professionisti, i commercianti (tutti attorno al 30 per cento), i pubblicitari (25 per cento). Si salvano invece alla grande i lavoratori dipendenti (i salariati e gli stipendiati), giudicati «marci» solo dal 9 per cento del campione, oltre alle casalinghe (severamente criticate da un ancor più basso 6 per cento). Altre tre osservazioni meritano di essere fatte. Da un lato gli immigrati extracomunitari sono oggetto di severe reprimende da parte del 32 per cento del campione, ossia di un terzo di cittadini italiani, a ulteriore smentita della tesi che vuole i migranti responsabili del degrado del Paese. Dall'altro, i più gravi e diffusi difetti dei nostri connazionali sono addebitati più agli uomini (27 per cento) che alle donne (19 per cento), anche se certo non per gli stessi motivi che tradizionalmente portavano a dire in Italia «Ah, gli uomini, che mascalzoni!». Infine, i sacerdoti sono oggetto di riserve e a volte di dure critiche da parte del 28 per cento degli italiani adulti, collocandosi perciò nella parte medio-bassa della classifica. Emerge sempre più, quindi, la convinzione che il clero, gli uomini di Chiesa, non siano affatto immuni da vizi e manchevolezze, essendo a tutti gli effetti esseri umani (e dunque peccatori) come gli altri. Nel contempo, l'anticlericalismo che alberga in alcuni segmenti della popolazione non trova un particolare sostegno, proprio perché i preti, i frati, i religiosi in genere non sono certo considerati i portatori più gravi dei vizi nazionali. Viziosi perché? La terza area tematica oggetto di approfondimento è stata quella delle cause alla base dei «difetti» così diffusi nella nostra società. Ne sono state esaminate dieci, di cui sette sono indicate dalla maggioranza del campione. In testa alla classifica – per il 74 per cento degli intervistati – troviamo la mancanza di valori, ossia quel vero e proprio «infragilimento» etico a cui si è già fatto cenno. È questo il filo rosso che raccorda quasi tutti i vizi più gravi e diffusi nella società italiana; un problema che nasce anzitutto dall'indebolimento dell'educazione dei giovani, sia da parte della famiglia (secondo il 73 per cento degli intervistati) sia da parte della scuola (67 per cento). Insomma, l'opinione largamente prevalente tra i nostri connazionali è che siano meno trasmessi, e quindi meno efficaci, i principi morali che, come una bussola, orientano la vita di ciascuno di noi e delle comunità di cui facciamo parte. Aver indebolito l'istituzione familiare e, insieme, quella scolastica ha fatto danni giganteschi secondo la valutazione dei più: danni che sono stati ulteriormente aggravati dall'influenza negativa dei mass media, a partire dalla televisione. Quest'ultima, più ancora della radio e dei giornali, costituisce una fonte di informazione e di ricreazione largamente utilizzata dai più; e non viene criticata in sé ma per la scarsa qualità dei programmi, i modelli trasmessi, gli stili di vita rappresentati, l'incapacità di parlare anche degli eventi positivi e non solo di quelli negativi. Certo, il degrado morale che attanaglia l'Italia deriva anche da motivazioni economico-sociali: l'aggravarsi delle ingiustizie e le sempre più numerose difficoltà quotidiane secondo il 59 per cento del nostro campione rendono più ardua e spesso drammatica la vita di decine di milioni di italiani. Ciò è tanto più vero se tra le difficoltà del vivere si considerano non solo quelle materiali ma anche quelle psicologiche legate sia al disagio psichico sia alla solitudine che desertifica – per il 54 per cento – le giornate di tanti abitanti del Bel Paese (non solo anziani ma anche tantissimi adulti privi di qualcuno con cui confidarsi). Su un valore identico (54 per cento) troviamo altresì la perdita del senso di solidarietà. Per la maggioranza degli italiani la società si sta slabbrando, come una tela sempre più lisa e forata: saltano i fili che ci legano gli uni agli altri. Questi ultimi divengono prima estranei, poi incomprensibili e infine nemici. Gli spiriti religiosi leggono in ciò la perdita dell'idea della comune umanità come comune somiglianza a Dio; ma anche coloro che sono alieni da una fede spesso avvertono dolore e dissenso nello scoprire il venir meno del senso d'appartenenza a un'universale fraternità. In fondo a questa classifica incontriamo la fine dei grandi progetti di miglioramento della società nelle loro diversificate espressioni novecentesche. Senza entrare nel merito di queste ideologie, quel che 17 milioni di italiani lamentano è il fatto che le grandi speranze di trasformazione sociale siano venute meno, talché la società nel suo insieme ha perso progettualità, è venuta ripiegandosi sull'oggi e sul particulare, ha finito per arretrare, come sempre accade quando le prospettive esistenziali si fanno corte, prive di respiro, non animate da ideali forti. Resta da chiedersi: nella crisi sin qui lungamente descritta, quale ruolo hanno giocato il clero e la Chiesa in genere? Un ruolo negativo per il 35 per cento degli intervistati: se i preti, i frati, le suore, la Chiesa nel suo insieme fossero stati e fossero più all'altezza della loro missione, le cose sarebbero andate e andrebbero meglio. Ma, appunto, la Chiesa è di questo mondo e spesso non riesce a sottrarsi ai suoi vizi diffusi o, almeno, non riesce a contrastarli con sufficiente determinazione: in particolare, secondo circa 15 milioni di italiani, essa non ha saputo adeguatamente opporsi al processo di degenerazione individualistica. Peraltro, una percentuale quasi uguale (30 per cento) reputa, all'opposto, che alla base di molti vizi ci sia stata e ci sia la secolarizzazione della società italiana, con la conseguente minor influenza della cultura cristiana nella nostra vita collettiva. Qui, ovviamente, la critica attiene al «meno Chiesa», mentre quella precedente era incentrata su una «cattiva Chiesa»: i due orientamenti, però, si equivalgono e quasi si elidono a vicenda. Al fondo, la netta maggioranza del Paese si aspetta una Chiesa e un clero più presenti nel senso alto della testimonianza e dell'educazione collettiva, fuori dalle pastoie della cattiva politica, lontana dal potere e dai poteri, poveramente vicina alla semplicità rivoluzionaria del Vangelo.

Italia(ni) allo sbando In una giornata particolarmente malinconica, dopo aver letto diversi quotidiani, dopo aver visto due telegiornali e seguito qualche trasmissione politica mi chiedo come abbiamo fatto, noi italiani, a ridurci in queste condizioni? Negli ultimi tempi va molto di moda scaricarsi la coscienza attribuendo tutte le colpe al potere politico e ai politici stessi, per carità, di colpe ne hanno eccome ma ho cominciato a sentire un senso di fastidio, una certa insofferenza nei confronti delle persone che pensano di poter scrollare le spalle dicendo che è tutta colpa della politica. Dopo tangentopoli, probabilmente, abbiamo perso fiducia nelle istituzioni e la politica che si è fatta in questi anni ci ha dato il colpo di grazia. Tuttavia continuo a pensare che la maggior responsabilità è proprio la nostra. Per anni abbiamo votato le stesse persone, una volta al governo abbiamo lasciato che queste persone facessero quello che volevano senza avanzare nessuna protesta e quelle che ci sono state sono state deboli e senza continuità. È come se ci fossimo rassegnati al “così fan tutti”, ci siamo disumanizzati, abbiamo perso la voglia di lottare, siamo diventati egoisti, qualunquisti e individualisti. È davvero tutta colpa della politica? In questi giorni sui giornali si è parlato di “tortura”, non in un paese succube di una dittatura ma in un paese che si dice democratico come il nostro. Quando ho letto la parola “tortura” mi sono sentito male, impotente e complice perché dopo anni dal G8 di Genova non c'è ancora una responsabilità, ci sono nomi di persone che hanno fatto carriera e c'è stata, dopo un'indignazione iniziale, un lavarsene le mani generale. Questo episodio dovrebbe metterci sull'attenti, dovrebbe farci capire che se è accaduto una volta potrebbe succedere di nuovo. Siamo stati traditi da persone che invece avrebbero dovuto difenderci, persone che non hanno tradito solo i cittadini ma anche le istituzioni e che, a causa di leggi sbagliate e di lentezze burocratiche, non andranno incontro a nessuna punizione. Dall'inizio della così detta seconda repubblica questo paese è diventato decadente, abbiamo avuto un'alternanza di governi di centro destra e di centro sinistra che non hanno fatto nulla a livello sociale se non abbaiarsi contro l'uno con l'altro. Ma noi cittadini cosa abbiamo fatto? La risposta è sicuramente inquietante: niente! Abbiamo avuto, per esempio, la possibilità di abrogare attraverso un referendum, una legge vergognosa sulla procreazione assistita e, pensando che la cosa non ci riguardasse, abbiamo preferito andare al mare piuttosto che esprimere un nostro pensiero e dare una lezione di civiltà ai politici che tanto critichiamo. Siamo, purtroppo, al loro livello. Ci lamentiamo dei lavori precari e della distruzione dello stato sociale. Ma chi ha permesso che questo accadesse? Ci siamo fatti derubare dei nostri diritti senza batter ciglio, abbiamo preferito credere che tanto ci avrebbe pensato qualcun altro. Siamo indifferenti agli orrori quotidiani, colpa anche, certo, di una disinformazione pubblica che i mass media operano quotidianamente, siamo diventati morbosi, preferiamo i fatti di sangue all'impegno sociale, andiamo a vedere i processi in diretta ci indigniamo sempre meno e quando lo facciamo la nostra indignazione dura giusto il tempo di girare pagina. Lasciamo, per esempio, che si metta continuamente in discussione il diritto delle donne all'aborto, se non ci fosse un gruppo abbastanza diffuso di donne coraggiose che vogliono ancora far sentire la loro voce, ci avrebbero già tolto anche questo diritto. Ma dove sono finiti gli intellettuali? I filosofi? Coloro pronti ad avanzare idee e ipotesi ma anche a scendere in piazza? Probabilmente il 68, con tutti i suoi limiti ma anche con tutta la forza rivoluzionaria, non tornerà mai più. Siamo come lobotomizzati, è scesa su di noi una sorta di maledizione dell'indifferenza. Aumentiamo il passo per allontanarci dai problemi, facciamo finta di non vedere e non sentire, siamo disonesti persino con noi stessi e ci diciamo “Che posso fare?” o “Tanto fanno tutti così!” Le cose le sappiamo, le vediamo tutti i giorni e lasciamo che sia così, va tutto bene pur di poter continuare a vivere un'apparenza di serenità. La verità è che, forse, potremo anche superare la crisi economica ma quella intellettuale e sociale no, fino a quando non apriremo gli occhi e non ci renderemo conto che è anche colpa nostra se la situazione è diventata insostenibile. La nostra, senza allarmismi, è una situazione al collasso. I giovani vogliono andare via da questo paese, basta girare per rendersi conto che, al di là dei servizi che non funzionano, c'è un'ignoranza e una maleducazione diffusa. Siamo lo stato de “le regole vanno bene sino a quando a rispettarle devono essere gli altri”, siamo pieni di un qualunquismo disarmante e accogliamo ogni errore politico e sociale come se fosse una cosa che non ci riguarda. Lasciamo che siano gli altri a scegliere per noi, lasciamo che ci dicano cosa fare e quando farlo,chiudiamo gli occhi per non vedere e così facendo ci rendiamo colpevoli e complici. Marino Buzzi



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