Il mio paradiso. Le Murge di Natale Addamiano
Protagonista di questo primo scorcio estivo nella nostra città il pittore Natale Addamiano, con ben due personali, intitolate Il mio paradiso. 1978-2008. Le Murge. Presso la Sala dei Templari, con il patrocinio del Comune di Molfetta, nell’ambito dell’Estate molfettese è, infatti, stata inaugurata in data 28 giugno l’esposizione dei dipinti a olio dell’artista che raffigurano il paesaggio murgiano. Essa presenta anche omaggi a Michele Paloscia (di cui sono esposti uno scritto autografo e due dipinti, tra cui un pregevolissimo ritratto di Natale stesso), a Leonardo Minervini (sotto l’egida del quale i due pittori mossero i primi passi nella ricerca del “vero”) e alla sorella Maria Addamiano (di cui sono presenti tre sculture, in cartapesta o terracotta bronzata, accomunate dal tema, attualissimo, del viaggio per mare). Il 29 giugno, è stata aperta al pubblico, presso 54 Arte Contemporanea, in via Baccarini, la mostra dei pastelli di Addamiano relativi alla stessa tematica. Quest’ultima sarà visitabile sino al giorno 28 luglio negli orari della galleria, nata, come ricordiamo, dall’incontro tra l’artista Franco Valente e la famiglia di imprenditori locali Vitulano. Si tratta di due allestimenti differenti sotto il profilo tecnico e nella resa cromatica, ma accomunati da uno stesso atteggiamento di fondo nei riguardi della materia prescelta. Essi, infatti, racchiudono un’esperienza trentennale, cominciata con epiche incursioni nel territorio murgiano, in cui l’Addamiano, insieme a Michele Paloscia e, a volte, anche ad altri pittori nostri concittadini, si recava a dipingere en plein air. La bellezza del paesaggio si squadernava ai suoi occhi e l’artista trascorreva quattro o cinque ore in piena attività, intento a imprimere sulla tela (o sui supporti di volta in volta adottati) le sue percezioni. Ogni opera diviene così figlia di un preciso momento e di un determinato arco orario della giornata, senza il ripensamento in atelier, che avrebbe finito con lo snaturare l’immagine offerta agli occhi dalla natura. Lo scenario è soprattutto quello diurno, meridiano o pomeridiano, con il cielo a dettare la partitura cromatica dell’intera tela, talora riflettendosi negli azzurri delle petraie o nel luccichio azzurrato dei teli di plastica che imballano il fieno. Un cielo dai colori sempre diversi, ora velato da nembi ora plumbeo e minaccioso, ora puntellato del violaceo di nuvole dalle molteplici sfumature. Attenzione alla volta celeste che Addamiano asserisce con orgoglio di aver mellificato da Tiepolo, così come si avverte fortemente debitore della pittura di Cezanne. A tratti in realtà tanti elementi della nostra migliore tradizione, da De Nittis a De Pisis a Fattori, sembrano affiorare nelle sue tele. Sono numerosi i motivi presenti nel paesaggio murgiano. Un ruolo significativo è rivestito dai covoni, allineati ora obliquamente ora impilati a costruire architetture effimere, che digradano sino quasi a fondersi e confondersi con l’orizzonte. La loro luminosità differisce a seconda della facies celeste e della loro posizione sulla tela; in alcuni casi ciò avviene anche per effetto dell’atmosfera, cui Addamiano è sempre notevolmente attento. Così l’artista riprende in modo originale una materia cara per esempio a Monet, che le dedicò una celebre serie di dipinti, e a Van Gogh. Delle pietraie si è già detto, ma aggiungeremo che in esse, non di rado, sembra rivivere la lezione del divisionismo, così come nelle bellissime gravine, non espressione del senso del baratro e dell’ignoto, ma vessillifere del trionfo della Natura nei suoi colori più vividi, esaltati dal baluginare della luce. In un gioco in cui persino il non finito diviene volontario elemento della partitura cromatica, notevole è il senso della teatralità. Esso si estrinseca nelle bande laterali, quasi quinte teatrali, ma a volte lo stesso cielo e la stessa campagna, piani onnipresenti, sembrano assurgere a palcoscenico. Persino gli jazzi divengono ideali anfiteatri e ci ricordano atmosfere che lo stesso Addamiano ha ottimamente espresso nei suoi dipinti raffiguranti Paestum. Immersi nel silenzio, appaiono quasi templi campestri, in cui rivivono i cicli stagionali. La presenza dell’uomo è eco lontana, metonimicamente richiamata nei covoni, negli jazzi stessi e nelle masserie, elementi antropici del paesaggio. Eppure queste tracce della mano dell’uomo sembrano quasi fondersi con l’armonia di una natura magica, che l’effetto atmosferico fa apparire perennemente sospesa. Alla ricerca di un’epifania, di un istante panico di abbandono in cui l’anima possa indugiare, dimentica di sé. © Riproduzione riservata
Autore: Gianni Antonio Palumbo