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Il dilemma
15 novembre 1999

C’è uno strano dilemma che aleggia nell’aria in questi giorni e ricorda lo shakesperiano “essere o non essere”. A tormentarsi nel dubbio è quel centro-sinistra vittorioso alle elezioni, che si è ritrovato poi fragile quando ha dovuto affrontare il problema della propria identità, riscoprendosi “gruppo”, anziché “comunità”. La differenza, non di poco conto, fra le due figure è stata ben tratteggiata recentemente da Omar Calabrese, che ha ricordato come il concetto ricorra spesso negli studi di psicologia sociale. Una “comunità”, in sostanza, è formata da individui con interessi diversi, ma uguali valori (es. una religione). Un “gruppo”, invece, è formato da individui con valori diversi ma uguali interessi (un gruppo di società dello stesso settore, un cartello insomma). Ebbene, il “Percorso” era una comunità, il centro-sinistra è un gruppo. Senza questa distinzione è difficile comprendere il significato di una crisi inutile, inconsistente, banale, ma pericolosa. Una volta i partiti politici erano caratterizzati da uno spirito di comunità (un’ideologia), poi questo sistema, soprattutto con la sconfitta del comunismo e la caduta del muro di Berlino, è venuto meno ed è prevalsa la logica del gruppo (di interessi). Il “gruppo” dovendo mettere insieme il maggior numero di interessi possibile, sia per acquisire rappresentatività sia per vincere le elezioni, ha poi bisogno di garantire “visibilità” ai gruppi stessi e per fare questo pretende la presenza di un proprio rappresentante all’interno delle istituzioni. E ciò prescindendo da capacità o meno dell’individuo indicato, con la conseguenza di dover lasciare da parte i contenuti, per privilegiare la forma (nomine, incarichi ecc.). Del resto, discutere di contenuti, per alcune componenti del gruppo, significherebbe far emergere quel vuoto di idee che caratterizza molti piccoli partiti, che preferiscono così, “navigare a vista”. E’ un po’ quello che sta avvenendo anche a Molfetta nel centro-sinistra, che per vincere le elezioni, si è dovuto collegare (ecco il “gruppo”) con piccoli partiti, di neonata formazione o di scarsa rappresentatività ideale, con i quali non condivideva nulla, se non la volontà di vincere le elezioni, battendo la coalizione meno organizzata. Quando, poi, sono venuti in gioco alcuni interessi, la coalizione ha cominciato a sgretolarsi, mostrando tutta la sua fragilità e minando anche quella parte che ancora resisteva del gruppo originario. Oggi la coalizione si ritrova a fare i conti con richieste legate ad interessi e alla necessaria “visibilità” che li garantisca. Così superata la situazione critica dell’assestamento del bilancio comunale, i problemi sono tornati quelli di prima e, al momento, non si intravvedono soluzioni. Oggi siamo in una fase di stallo che non serve a nessuno, meno che mai alla città, che comincia a vedere i frutti positivi di 5 annidi lavoro (casa, opere pubbliche, prospettive di occupazione ecc.) e alla sua economia con gli imprenditori preoccupati di una crisi, che danneggerebbe irrimediabilmente le iniziative collegate allo sviluppo (consorzi di imprese, zona artigianale, zona Asi, Piano regolatore generale ecc.). Di qui la disaffezione della gente alla politica e al voto. In questa città, in tutti i settori, stanno emergendo piccoli individui e anche alcuni “nani” (i “Signor Nessuno”) che cercano visibilità, non mancano anche alcuni frustrati e invidiosi che non esistano ad attaccare e demolire tutto e tutti, per dimostrare di esistere. Ecco perché il dilemma di cui parlavamo all’inizio può trasformarsi nell’interrogativo se sia più utile dimettersi per non cedere ai ricatti, ma al tempo stesso lasciare che trionfino le vecchie logiche (è cambiato il clima politico e giudiziario), ormai in pieno recupero (vedi la vicenda Craxi, il ritorno sulla scena di molti ex come De Michelis, l’«unto delle signore», che arriva a considerare Tangentopoli “una operazione montata dai ladri per far fuori gli onesti”), oppure restare aggrappati non alla poltrona, ma a un progetto politico, sia pure minato nella sua consistenza concreta, magari pagando di persona. Questo non toglie che una seria riflessione vada fatta nel centro-sinistra, ma non con lo spirito delle “verifiche”, che hanno tutto il sapore di resa o pretesa dei conti, ma con quello di una seria analisi politica sui motivi di uno scollamento che non può essere negato, ma del quale tutti, nessuno escluso, devono essere capaci di riconoscere le proprie responsabilità. Di qui la necessità di un dibattito più ampio, non finalizzato alla prevalenza di interessi particolari, ma alla gestione di quelli generali. Occorre riscoprire le ragioni dello stare insieme, per operare quella trasformazione da “gruppo” quale è ora , in “comunità”, quale avrebbe dovuto essere in origine la coalizione. E’ questa oggi la vera sfida del centro-sinistra: ognuno deve mettere da parte qualcosa, dimostrando di essere capace di crescere in politica. Intanto, sul piano amministrativo restano ferme le posizioni dei “dissidenti” e non s’intravvede uno sbocco all’orizzonte. Già qualche mese fa sostenemmo che il sindaco aveva il dovere, anche morale, verso chi lo aveva eletto, di dire alla città tutta la verità, scoprendo giochi e pretese (se ci sono) di piccoli gruppi o individui che utilizzano un potere di interdizione per creare problemi alla maggioranza. Questa trasparenza lo avrebbe rafforzato, mentre l’obiettivo dei suoi avversari interni è quello di demolirne la forza giorno per giorno. In questo modo chi “dissente” si sarebbe assunto tutte le responsabilità dell’ulteriore ritardo nello sviluppo. Del resto Molfetta è rimasta un “piccolo borgo” del pettegolezzo da caffè, della diffamazione strisciante, ma in questa città ci conosciamo tutti e nessuno può nascondersi dietro un inesistente paravento, quando in realtà è nudo. Nemmeno alcuni politici, o presunti tali, che ostentano false ragioni politiche ma non possono, né devono, sottrarsi al giudizio popolare. Questa è la democrazia. Una ripassata, ogni tanto, non guasterebbe. A nessuno.
Autore: Felice de Sanctis
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