Il Christus di Antamoro proiettato a Molfetta nel 1917
Il Christus prodotto dalla casa cinematografi ca romana Cines, fi lm muto di Giulio Antamoro girato a partire dal 1914 (parzialmente anche sui luoghi originari della Sacra Scrittura, Egitto e Palestina) ripercorre la vita di Gesù dall’Annunciazione all’Ascensione. La sceneggiatura e le didascalie si basano sul poema commissionato dal conte Antamoro al poeta Fausto Salvatori; emblematica nel fi lm, la rappresentazione scenica che è costituita dalla grande tradizione pittorica. Antamoro presentò il fi lm alla censura nell’aprile del 1916 e nel mese di novembre dello stesso anno, al Teatro Augusteo di Roma, fu organizzata la prima proiezione. La Cines aveva incaricato il maestro Giocondo Fino di comporre una partitura musicale per accompagnare la visione del fi lm; prima ancora di ottenere il visto della censura, il fi lm era stato proiettato nel dicembre del 1915, in anteprima di fronte ad un collegio di cardinali presso il Pontifi cio Istituto Biblico. Ben presto fi lm entrò nell’immaginario collettivo e, nella versione originale come anche in quella ridotta, venne spesso proiettato nelle chiese, negli oratori e nelle sale parrocchiali durante la Settimana Santa, fi no alla fi ne degli anni Quaranta. A Molfetta, il 10 aprile 1917 durante una riunione del Capitolo Cattedrale si discusse se «debba o no concedersi ad un rappresentante della Società Romana Cinematografi ca Cines di rappresentarsi il Christus nella Chiesa Cattedrale col pieno consenso di Mons. Vescovo». Alcuni capitolari ritenevano il fi lm «opera cinematografi ca del tutto sacra e molto encomiata dal Papa e dal Collegio Cardinalizio», ma al contrario altri opinavano che «in Chiesa non è conveniente farsi rappresentazioni, poiché il pubblico facilmente potrà profanare il luogo sacro e Dio, mentre dovremmo procurare il rispetto. E poi ricordiamo ciò che successe nella Chiesa dei Cappuccini in altra simile circostanza e per simili cose [...] si off ende or in un modo ed or in un altro il sentimento religioso». L’idea era che il progresso no avesse dovuto scalfi re il «concetto della nostra fede». Nel verbale di quella seduta è anche evocato il ricordo di un’altra «rappresentazione della Passione di N. S. G. Cristo in un cinematografo di Molfetta» in cui, nell’opinione chi vi aveva assistito, «la fi gura del Nostro Redentore ne veniva diminuita: il concetto della Divinità di Nostro Signore si off uscava». Vieppiù è portato a testimonianza di un decadimento dei costumi religiosi addirittura un sacro oratorio dell’allora direttore della Cappella Musicale Pontifi cai Sistina, don Lorenzo Perosi: la Risurrezione di Lazzaro «quando il baritono, con voce fortissima gridò Lazare, veni foras ne ebbi - sostenne un capitolare - una impressone così disgustosa che mi pentii di esservi intervenuto ». In Capitolo prevalse l’idea che il fi lm di Antamoro fosse davvero «opera d’arte eminentemente sacra che ha meritato il plauso del mondo religioso e civile […] permesso, lodato ed encomiato dalla Suprema Autorità Ecclesiastica in Roma e dal Collegio Cardinalizio che in Roma assisteva ad una speciale rappresentazione del Christus tenutasi nella sala del Collegio Biblico» e che fosse stato girato anche con la fi nalità di «moralizzare il cinematografo». In quanto alla musica di Perosi null’altro si arguisce dalla lettera del verbale capitolare. A commento di questa breve postilla si pubblica una immagine inedita, gentilmente concessa da Vittorio Valente; vi sono raffi gurate (nello scatto magistrale del fotografo Pasquale Angione attivo a Molfetta sicuramente alla fi ne degli anni Venti) due bambine, alla fi ne degli anni Venti del Novecento con gli abiti di Sant’Elena (che secondo la tradizione ritrovò in terra Santa la Croce di Nostro Signore) e la Maddalena. Quelle bambine avrebbero sicuramente partecipato alle processioni della Settimana Santa molfettese, poste tra una venerata sacra immagine e l’altra, a commento della Passione, ma la compostezza dell’atteggiamento e del loro sguardo di fronte ai tempi lunghi della posa fotografi ca, lasciano correre la mente ai quadri pittorici di Antamoro in un immaginario, ma forse non esagerato trait d’union tra la cultura popolare (il vestire bambini durante le sacre processioni) e l’idea di cultura di cui il cinema stesso, in quegli anni, era diventato apologeta.
Autore: Giovanni Antonio del Vescovo