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Il centro storico e il turismo che non c'è
15 gennaio 2010

A chi ci si riferisce, quale luogo descriviamo, quale ambiente vogliamo, a quale città pensiamo... quando parliamo di Molfetta e del suo Centro Storico? Pensiamo ad un rifugio dove trovare riparo e non essere disturbati? Si pensa ad un deposito dove accatastare situazioni e persone che sarebbe bene la cui presenza non fosse evidente agli occhi dei più? Che non si ritenga il luogo come un semplice contenitore da utilizzare solo per eventi straordinari slegati dal territorio e che del territorio fruiscono solo dell’elemento estetico? Così è stato e così sembra che qualcuno continui ad intendere questa particolare zona della città, non pensando al valore delle relazioni, al significato degli incontri, al rispetto delle identità. Ma il discorso va ben oltre l’Isola di Sant’Andrea e le mura che ne costituivano i confini. Occorre chiarire e chiarirsi circa l’idea di città e per quale città si vuole lavorare. Alcuni continuano a rimanere legati ad una città con una fisionomia prettamente commerciale, ovvero di passaggio di flusso economico ma incapace di produrre economia. Tanti ormai la vivono come città stanziale, neppure residenziale, vista l’assenza di motivi che dovrebbero e potrebbero spingere qualcuno a rimanerci, contento di esserci. Ma forse occorre anche prendere coscienza del particolare e indefinito ruolo di periferia che Molfetta sta lentamente e progressivamente accentuando. Molfetta come periferia estrema di una Provincia che non si pone come realtà “plurale” (ricca di presenze e competenze diverse, e variegata nelle storie e nelle culture) vista la sua sempre più chiara “baresizzazione”. Molfetta come periferia in una Regione che concentra le sue attenzioni e le sue risorse sui capoluoghi. Molfetta come periferia in se stessa, senza un centro in cui riconoscersi e senza un luogo in cui incontrarsi. Ovvero come agglomerato urbano senza una specifica identità, come un “non luogo” incapace di avvertire come sue le tradizioni e come suo un passato tutt’altro che oscuro. La periferia non è solo il frutto di un disegno urbanistico malriuscito, teso a dare risposta ai bisogni abitativi delle persone, tralasciando i loro sogni; né è solo la conseguenza della presenza di una particolare tipologia di residenti. La periferia è il frutto di una politica culturale e sociale sbagliata, è la conseguenza di un disinteresse verso le esigenze di quanti vivono in un determinato territorio. Il disagio di chi vive in periferia, infatti, nasce dalla consapevolezza di vivere in un “non luogo”, in un ambiente senza identità e del quale non ci si riconosce parte e nel quale non ci si rispecchia, rispetto ad un “luogo” di cui si vorrebbe sentirsi espressione e protagonista. I problemi della scarsa qualità della vivibilità di un ambiente (piccolo o grande che sia, centrale o marginale all’interno di un disegno urbanistico) sono dovuti ad una miopia politica dei progettisti, dei governanti e degli operatori culturali e sociali, pigri nell’uso della fantasia e adagiati nel conservare lo status quo, pavidi nel creare ed adattare spazi per incontri o per attività culturali, ludiche e commerciali. Tanti, poi, continuano a parlare, ovvero solo ad avanzare ipotesi, di una città con vocazione turistica e del valore che il Borgo antico assume all’interno di siffatta ottica. Eppure tutti dimenticano di chiarirsi e di chiarire il significato di turismo: chi sia il soggetto, quale l’oggetto, chi l’offerente e chi il beneficiano. Da parte dei più si pensa solamente ad una enumerazione di luoghi, non promuovendone l’immagine né favorendone la tutela. E si finge di non capire che non sono i monumenti da soli a creare movimento turistico. Il soggetto, l’oggetto ed il beneficiario del turismo è la città nella sua interezza: la gente, i luoghi, le tradizioni, le identità. Ormai - e lo si sta scoprendo in maniera sempre più chiara, ed il nostro vicino Salento ce lo dimostra - il turista non si muove più per la visione del sito architettonico, e magari di più proposte, slegate tra di loro e svincolate dal territorio. Oggi si parla sempre più spesso di un turista che non si accontenta più del solo relax o dello studio del sito archeologico e del monumento architettonico o della ricerca di una sana gastronomia: il turista di oggi tende ad utilizzare e a dare risposte che accontentino tutti i suoi sensi, dalla vista all’olfatto senza trascurare l’udito, passando per il gusto. Pertanto per rispondere a queste nuove richieste, la presenza del turista non può essere intesa come frutto di improvvisazione né come mera conseguenza di buoni propositi. Il turismo nasce e viene promosso non fuori dalle mura di una città, ma nella stessa città. Trova la sua forza nella conoscenza che lo stesso cittadino ha della sua città, nella valorizzazione che la città sa offrire di quanto ha, nella fruibilità dell’insieme di quei beni che la città custodisce con cura e vanto: monumenti, offerte culturali, proposte gastronomiche, itinerari legati al territorio. A questo proposito non dovrebbe apparire superflua o inopportuna la stesura di un piano di itinerari tra loro connessi (ma non senza l’intervento e la partecipazione, anche organizzativa, di chi quei beni li custodisce e direttamente li promuove: territorio, pesca, natura, gastronomia). Molfetta, stando ai manifesti affissi nella città, appare come animata da continui eventi, taluni pure di rilevante interesse. Ciò che manca è il coordinamento di questi eventi, la capacità da parte della Pubblica Amministrazione di curarne e favorirne la promozione. Così come manca la capacità del “lavorare insieme”: ognuno - singola associazione o gruppo di interessi - agisce per sé cercando di utilizzare l’evento per la sua personale promozione e non per favorire un reale scambio culturale ed una fattiva crescita della città. Più che allo scambio ed alla condivisione delle tante piccole ricchezze presenti, si pensa all’esaltazione delle sigle, all’ostentazione delle bandiere, ed alla difesa dei territori già conquistati. Ciò risponde all’indole individualistica del molfettese. L’assenza di “grandi eventi”, capaci di coinvolgere tutti, impedisce che le piccole luci di cui il territorio è cosparso servano ad illuminare una zona che vada oltre la cappa che ciascuno pone sulla propria lampada. E la città, pur sprecando energie, rimane in penombra. (E le luci che quest’anno hanno illuminato ed esaltato la povertà del Natale molfettese è solo l’ultimo esempio di questo “stile” e di questa mentalità). E lo stesso individualismo che connota le relazioni tra i singoli emerge tra le istituzioni. In un contesto simile la latitanza delle Istituzioni appare più grave e maggiormente deleteria in vista della crescita di una città. E’ evidente, a proposito, l’assenza di un chiaro e ben definito orientamento delle varie attività cittadine, così come è sotto gli occhi di tutti la mancanza di un orientamento capace di dare identità ad una comunità che ormai per quanto riguarda la cultura è rivolta al suo passato. Manca anche un legame tra le attività produttive ed i monumenti di cui la città è ricca: quanti operano nel commercio, a vari livelli, non riescono ancora ad avvertire la forte valenza commerciale che ha il turismo ai fini delle stesse attività. Purtroppo si continua a pensare che sia il commercio a favorire il turismo e non il contrario. Si continuano ad elemosinare da parte di alcunie ad elargire da parte di altri sovvenzioni per spettacoli che accontentano solo gli stessi artisti e nessun investimento si fa al fine di valorizzare e promuovere un monumento capace di attirare turisti, ai quali non dispiacerebbe fruire delle proposte utili, anche commerciali, che la città è capace di offrire. Occorre, forse, un Piano Pluriennale di Promozione Turistica che preveda di intervenire e migliorare diversi aspetti del sistema di offerta di servizi del territorio al turista ed in particolare: • accoglienza e ricettività della struttura commerciale (offerte strutturate a basso costo o che consentano di vivere “esperienze” culturali, gastronomiche, ambientali che il territorio può offrire) • servizi di informazione e consulenza (gestione in concessione a privati, attivazione del sistema di prenotazione di camere e altri servizi turistici, promo-commercializzazione dei prodotti locali) • trasporti, mobilità e logistica (nuova segnaletica turistica, trasporto pubblico “finalizzato” a prezzi promozionali, rifacimento, allestimento e gestione di servizi al turista, come bagni pubblici, spazi di sosta, itinerari strutturati) • “sistema” dell’offerta culturale (è impensabile l’elaborazione partecipata, coordinata e condivisa di una Programmazione - unica ed unitaria -Annuale degli Eventi?) • campagne di promozione e valorizzazione delle risorse turistiche del territorio (è sintomatico dell’interesse della città per il turismo che la presenza di Molfetta alla BIT di Milano sia avvenuta solo a seguito di autonoma scelta di una Associazione religiosa) • “rivisitazione” e “ristrutturazione” della Pro loco, perché questo Ente provveda alla promozione della città nella sua interezza e non appaia solo come ente di promozione di ambiti ed attività che coinvolgono emotivamente ed affettivamente i suoi responsabili, con invasioni di campo, con interferenze, con contrapposizioni, con travisamenti delle stesse forme di manifestazioni tradizionali (vedi fuoco di san Corrado e arrivo di san Nicola). • E se il territorio molfettese appare troppo piccolo e troppo povero per offrire giuste risposte alle differenti esigenze del turista, non appaia fuori luogo l’ipotesi di un coordinamento e di una promozione turistica che coinvolga le città limitrofe. Così come manca - e questo è un elemento la cui carenza a Molfetta è grave ed evidente - la formazione dei cittadini sulla consapevolezza del possesso di beni assolutamente unici e insostituibili. Non si può tacere, infine, sul valore della tutela urbanistica al fine di conservare e valorizzare un bene che solo se inserito nel suo originario territorio può essere correttamente inteso e apprezzato. In tutto questo il Centro Storico dovrebbe assumere il ruolo di un cuore pulsante in un corpo vivo. È allora evidente che il Borgo antico più che essere un prodotto da mostrare, dovrebbe essere un bene da gustare e di cui essere fieri. Come il cuore, dovrebbe essere continuamente allenato ed in esercizio, e non conservato, dovrebbe assumere un posto rilevante e privilegiato all’interno di quel corpo articolato che è la città. O almeno così potrebbe (o dovrebbe?) essere. Anche a Molfetta.

Autore: Don Ignazio Pansini
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