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Il ballo del mattone e la nuova pianificazione, il sindaco di Molfetta Paola Natalicchio parla del successo dell'approvazione del comparto 18
14 febbraio 2016

MOLFETTA – Il consiglio comunale di Molfetta ieri ha approvato il comparto 18, un bubbone che nessuno, nemmeno il tanto decantato (dai suoi 4 gatti) sindaco sen. Antonio Azzollini era riuscito a portare in porto (ogni riferimento è “puramente” casuale). Un altro esempio di incapacità della passata amministrazione. E si è riusciti a modificarlo: una cosa che sembrava impossibile. Sono state tolte ai costruttori ben 4 palazzine da destinare ad aree verdi, una cosa impensabile in una città devastata dal mattone e dalle speculazioni edilizie, un’economia rovinata dai costruttori, che non hanno mai avuto rispetto per il territorio e contro i quali “Quindici” si batte da anni. Un successo di capacità amministrativa, altro che immobilismo che ancora oggi la sempre più agitata Annalisa Altomare, uscita sconfitta ancora una volta anche su questo fronte, continua a lamentare. Ma anche lei ha dovuto votare a favore.

Il sindaco Natalicchio oggi, dopo aver resistito a pressioni e attacchi ingiustificati di ogni tipo, dai costruttori ad alcuni soggetti della sua maggioranza, rivendica con orgoglio questo risultato con una nota che, anche se lunga, merita di essere letta tutta, perché spiega il percorso compiuto da un’amministrazione diversa, che veramente vuole cambiare il volto della città, anche con il prossimo piano regolatore.

Ecco cosa scrive il sindaco:

«Riflessioni sparse sul totem del Comparto 18 e la paura del Piano Urbanistico Generale. Due anni e otto mesi. Sono sindaco di Molfetta da questo tempo. Un tempo nè lungo nè breve. Un tempo in cui non c'è stato tempo per niente, nient'altro che la città. Tanto che solo una polmonite è riuscita a tirare il freno a mano, con tanto di testacoda. Dopo il consiglio comunale di ieri, che mi ha visto insolita spettatrice, davanti allo streaming, sento l'esigenza di frenare un attimo il treno delle cose e proporre qualche riflessione su un provvedimento che sembra essere diventato il “simbolo” delle politiche dell'urbanistica di questa Amministrazione. Un provvedimento che ognuno tira dalla sua parte e racconta come vuole. Che è un po' la sintesi di un metodo nuovo e la segnaletica di come prosegue la strada.

Il totem del Comparto 18 mi accompagna dal mio primo giorno a Palazzo Città. Strano destino, se penso che quando ho preso la mia vita e l'ho riportata nel posto in cui sono nata e abbiamo attraversato insieme una campagna elettorale straordinaria e corale, io non ho usato mai e dico mai la parola "comparto" per descrivere la mia idea di città, la ragione del mio ritorno, il cambiamento che volevo dare alle cose di questo pezzo di mondo.

Noi abbiamo vinto, nel 2013, con un progetto semplice. Nel pensiero e nelle parole. Che parlava di un nuovo modello di città, che partisse dai bisogni e non dagli interessi. Il bisogno di quartieri vivibili. Il bisogno di verde. Il bisogno di mobilità sostenibile: autobus, piste ciclabili, aria buona da respirare. Il bisogno di rispettare la terra: il suolo, il sottosuolo. Il bisogno di casa: quante case servono, a quale prezzo, in quali punti della città le case servono di più e si vendono meglio, in quali altri consumano il suolo e basta e ci cementificano la campagna o ci soffocano il mare. Quali servizi dobbiamo garantire a chi compra una casa, quali diritti dobbiamo salvaguardare. Che città vogliamo, come la dobbiamo pianificare. Cosa dobbiamo correggere del nostro modello di sviluppo.

L'approvazione del comparto 18 votata ieri in Consiglio Comunale su proposta di questa Amministrazione è arrivata quando abbiamo deciso di parlare col totem e di spezzare il tabù. Il totem del “sacro comparto”, quello che aspettava da più tempo, quello più difficile, quello dove il concentrato di interessi sembrava a tutti il più forte. Il tabù della sua immodificabilità: o così come è stato progettato o niente; o mettete la firma in calce o state bloccando il progresso della città, l'edilizia, lo sviluppo economico. “Non lo farete mail il Comparto 18”, mi hanno ripetuto in molti, in questi mesi. “Tutte le amministrazioni cadono sempre là”. E invece lo abbiamo fatto, strano destino, proprio noi. Che non abbiamo preso un voto su questa promessa, dopo dieci anni in cui tutti i sindaci hanno detto di farlo al posto nostro. Hanno giurato, hanno garantito, hanno preso i voti con la parola "comparto". E' toccato a noi. Noi che non abbiamo cambiali da pagare con i costruttori, perché la campagna elettorale l'abbiamo fatta senza i loro soldi e senza che nessuno ci venisse a chiedere niente, perché eravamo il cavallo perdente. Noi che siamo disinteressati ai “comparti”, ma siamo interessati alla riqualificazione delle periferie, alla qualità urbana e alla rigenerazione dei quartieri.

E' andata così, perché talvolta le storie si devono descrivere e raccontare. Abbiamo aperto il Piano Regolatore e abbiamo guardato bene le carte. Abbiamo aperto una mappa della città e messo una lente di ingrandimento su questo pezzo di Molfetta. Il comparto 18 sta là, dietro la stazione, nascosto dalla curva del sottopasso di Via Terlizzi da una parte e dal ponte di via Berlinguer e via 25 aprile dall'altra. Un quartiere mai nato, tra i quartieri mai finiti. Nel suo cuore c'è un albergo, su cui sono stati investiti 10 milioni di euro. Di cui abbiamo bisogno e che non è stato mai finito perché il quartiere non nasceva mai. I lavori sono pronti a ripartire, adesso. C'è un ex opificio, il cementificio De Gennaro. L'ultimo esempio di archeologia industriale di Molfetta, abbandonato al degrado e dimenticato tra le sterpaglie. Lo abbiamo acquisito a patrimonio e vogliamo farci un museo per esperienziale per bambini. Accanto c'è il quartiere Poggiofiorito, che di fiorito non ha niente, perché confina con un cantiere mai partito e sconta da sempre questa separazione da ogni pezzo di città collegata, servita, inclusa.

Quando, qualche mese fa, ho visto il progetto del Comparto 18 su cui hanno lavorato tutti negli ultimi 10 anni ho pensato che non ce l'avremmo fatta mai. C'erano errori urbanistici pesanti. Un esubero evidente di volumetrie. O si correggevano o quel quartiere non sarebbe mai nato. Abbiamo provato a sederci, per parlarne, con le parti interessate. E all'inizio non abbiamo avuto fortuna. Sono iniziati i ricorsi, le citazioni in Tribunale. Gli avvocati, le tesi contrapposte. Poi ci siamo seduti di nuovo. Abbiamo detto ai privati: fermiamoci un momento. Correggiamolo insieme. Non innamoriamoci delle nostre tesi. Guardiamo quello che manca: il verde, una viabilità corretta. Guardiamo quello che già c'è nella zona: i servizi. Guardiamo se possiamo risparmiare cemento. Dateci cinque palazzine, ha detto il Comune ai privati. Ve ne diamo tre, hanno detto i privati. Abbiamo deciso insieme che potevamo chiudere a quattro. Quattro palazzine in meno, che significa una riduzione superiore al 10%, una rinuncia a costruire 20.000 mq di cemento sull'area del Carrubo, su cui gli abitanti del quartiere Levante avevano raccolto le firme. Tre palazzine sotto il ponte di via XXV aprile sarebbero state uno scempio urbanistico. Lo abbiamo evitato. Abbiamo eliminato anche un'altra palazzina, nella zona dell'istituto professionale. A bordo lama, sulla curva di una strada.

Non è stato facile arrivare a questa sintesi. Ma abbiamo tenuto il punto e incontrato ragionevolezza e disponibilità. Un braccio di ferro in cui nessuno si è fatto male e abbiamo vinto tutti. Perché ha vinto la città. E perché la politica deve saper fare anche questo: conflitto, in difesa del bene comune e degli interessi di tutti.

E perché, infine, il Piano Regolatore Generale del 2001 non è né una sacra scrittura né un altare a cui sacrificare ogni scelta da qui ai prossimi vent'anni. La città è cambiata, si sono invertiti i flussi demografici, la crisi economica ha contratto il mercato della rendita e c'è bisogno di ragionare su quel piano e di avviare subito la Pianificazione Urbanistica Generale. Capire quanti abitanti siamo, quante case servono, quale rigenerazione urbana della città già edificata possiamo e dobbiamo mettere in campo, senza rassegnarci a un'espansione cementizia predestinata.

Sul Comparto 18 ce l'abbiamo fatta. Disco verde. Edificheremo. Circa 300 appartamenti, che finiranno sul mercato insieme a quelli del comparto 17, della Maglia Mercato di Corso Fornari, dei comparti 3 e 5 nelle zone di via Fellini e dintorni. Ma abbiamo fatto un Comparto 18 diverso da quello che sembrava “l'unico Comparto 18 possibile”. E abbiamo dimostrato che non esiste un destino scritto di Molfetta, nemmeno sul terreno difficile dell'urbanistica. Che le cose si possono correggere, migliorare, perfezionare, se necessario ridurre, facendo dialogare il pubblico con il privato, ostinatamente, fino a trovare una soluzione buona per tutti.

Il comparto 18 che porta la firma di questa Amministrazione ha ridotto il consumo di suolo di 20.000 metri cubi. Edifica quattro palazzine in meno e salva il parco del Carrubo. Migliora la viabilità e la sicurezza stradale di chi andrà ad abitare nella zona, che è quella di strade ad alto scorrimento come via XXV aprile e via Berlinguer. Urbanizza tutta l'area retrostante alla stazione (e sulle urbanizzazioni primarie abbiamo già iniziato da alcuni mesi). Restituisce centralità e dignità anche all'intero quartiere Poggiofiorito, che si rivaluta e diventa zona di cucitura tra centro e quartieri di espansione e non periferia dimenticata. Dà ossigeno ai proprietari, che hanno salvaguardato i loro diritti edificatori perché ci hanno ceduto la quota non residenziale di edificazione. “Gli uffici”, come si dice al chilo. Che non si vendono più e sarebbero stati cemento buttato. Dove annidare le vendite a nero di “casa uso ufficio” dove poi vanno a vivere le famiglie non potendolo fare. Io sono serena e sono convinta che abbiamo fatto una cosa buona.

Non l'abbiamo fatta e basta, con l'anello al naso e attaccando il ciuccio dove voleva il padrone. L'abbiamo fatto con la testa, il ragionamento e la buona mediazione politica, guidata dall'assessore più maltrattato di tutta la giunta, Rosalba Gadaleta, a cui ieri in aula consiliare si è tentato anche di togliere la parola, dopo due anni e mezzo di lavoro, a cui va invece la mia più sincera gratitudine e sui cui da oggi auspico maggiore rispetto, perché merita di lavorare autorevolmente e in pace.

E l'abbiamo fatto in un'ottica che non è quella di una urbanistica esecutiva, passiva e predestinata, da pizzeria del permesso a costruire. Ma con l'animo di chi si prepara alla partenza di una sfida appassionante: quella del nuovo Piano Urbanistico Generale.

Sul Comparto 18 la politica, ieri, con i costruttori in platea, affaticati da dieci anni di attesa, ha fatto la sua parte e votato all'unanimità. Adesso il centrosinistra di governo ha una grande possibilità: mostrare lo stesso trasporto sull'avvio del Piano Urbanistico Generale.

Il PUG E' una sfida gigante. In cui la città dovrà sapersi analizzare, guardare allo specchio, chiedersi di cosa ha bisogno da qui ai prossimi vent'anni. Quali altri quartieri, a quale prezzo, con quali costi, con quali tutele per chi ha maturato diritti in questi anni. Tutte le città vicine sono partite con il PUG: da Bisceglie a Ruvo, da Giovinazzo a Bari. Anche lì ci sono i PRG vigenti, anche lì si stanno trovando le soluzioni migliori. Ieri abbiamo dimostrato che i piani esecutivi in riduzione sono possibili. Che dinanzi agli interessi della città i privati sono pronti a comporre le loro attese e a dimensionare i loro investimenti ai bisogni reali e alle reali esigenze.

Nessuno, allora, venga dal sindaco la prossima settimana a chiedere qual è il prossimo “comparto”. La sfida che ci aspetta è più complessa e più appassionante. Riguarda il diritto alla casa delle fasce deboli e l'edilizia popolare e convenzionata, il better building, la rigenerazione urbana, una riflessione profonda sulla rendita immobiliare che coinvolga le famiglie e i piccoli risparmiatori, il prezzo del mattone, la pianificazione della città in cui vivranno i nostri figli e i nostri nipoti.

Da ieri, senza totem e senza tabù, siamo finalmente davvero liberi di parlarne senza censure e senza paura».

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