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I Ds si preparano a “Rinascere”
07 giugno 2001

MOLFETTA - 6.6.2001 “Forse servono davvero le batoste per vedere ripopolata la sezione”. Esordisce così Peppino Panunzio, segretario cittadino dei Democratici di Sinistra, nell’assemblea organizzata dal partito martedì sera, nella sede di via Cairoli. E il colpo d’occhio gli dà ragione. Oltre cinquanta partecipanti, tra cui non pochi giovani, forse avvicinati al partito dalla vitalità del neo-consigliere Corrado Minervini, che siede al tavolo di dibattito accanto a Panunzio, e insieme al segretario provinciale, Vito Angiuli. C’è da fare il punto della situazione, per un partito frastornato dal picco negativo raggiunto nelle ultime elezioni comunali, un partito che se non fosse stato trascinato dai consensi canalizzati dai “due Corradi”, Samarelli e Minervini, avrebbe praticamente rischiato l’estinzione cittadina. Panunzio ha subito tentato una analisi sobria della situazione, precisando con correttezza: “Il mandato mio e degli altri membri del direttivo è qui sul tavolo, a disposizione di chi voglia raccoglierlo”. La sua relazione si è focalizzata su quattro punti. Innanzi tutto, in pieno accordo con la posizione di Mimmo Favuzzi, leader del gruppo “Rinascere”, ha salutato come “necessario” l’auspicato ritorno alle sedi di partito come basilare punto di partenza per qualunque passo successivo (come dirà più tardi con efficacia Ciro Sasso: “una società senza partiti produce animali strani”). Il fatto che la scelta tra partiti e movimenti non debba più destare troppi imbarazzi sembra, insomma, cosa che mette tutti d’accordo. Poi, ha puntato il dito contro l’eccessivo frazionismo, interno al partito, alla coalizione e al tessuto politico della sinistra molfettese, che ha prodotto effetti perversi e ha lasciato solo macerie. Ha, inoltre, accettato come “condivisibile in alta percentuale” la relazione che Mimmo Favuzzi ha prodotto nelle scorse settimane di analisi del voto, alla quale ha però contestato come troppo severa la critica all’ “osceno spettacolo delle candidature”. Più che osceno, fa intendere Panunzio, quello spettacolo è stato faticoso, complesso e sfinente per chi vi ha partecipato, che ancora lo ricorda con una certa insofferenza. Infine, si è sottolineata l’esigenza del partito di prestare attenzione a realtà come il “Percorso” e i “Comunisti Italiani”, essendo forze non rappresentate in consiglio comunale, ma che non è pensabile di arginare dalla politica cittadina. Da questi spunti è nato un dibattito acceso ma composto, che ha ruotato su due temi principali, uno interno al partito, l’altro relativo al rapporto partito-realtà locale. La questione più scottante e che sembra la più urgente, per dissipare le ultime tensioni intestine rimaste visibilmente nell’aria dopo il voto, è quella relativa alla dirigenza molfettese dei Ds. “Azzerarla”, “fare piazza pulita”, come ha proposto qualcuno (fino ad arrivare alla proposta di Pietro Capurso di costituire un direttivo provvisorio di cinque nuovi membri che traghetti i Ds al congresso), oppure lasciare che la vecchia dirigenza resti al suo posto, rimandando il “giudizio universale” e l’eventuale (ma forse scontato) cambio al timone al congresso stesso (come ha auspicato Paolo Roselli, sottolineando che “puntare la croce addosso all’ultimo direttivo non è la soluzione del problema. Il punto è ricompattarsi, non dividersi ulteriormente”). L’altra questione di cui si è discusso con vivacità è stata quella del radicamento del partito nella realtà sociale locale. Anche qui, due le tendenze emerse. Gianfranco Cormio, da un lato, ha sostenuto che “la perdita di radicamento è cosa vecchia”, sottolineando che l’ultimo consigliere espresso, collegato al sindacato, è stato De Trizio, nel lontano 1983 (anch’egli, poi, passato a destra, ndr). Il partito, oggi, è niente più che un partito d’opinione e come tale va pensato. La batosta alle ultime elezioni, quindi, va letta in un’altra chiave. Non è mancato il radicamento nel sociale, ma più semplicemente non ha funzionato la macchina elettorale: in pochi a gestirla, incentrando la campagna su un messaggio “contro”, assai poco convincente. La risposta all’intervento è arrivata da Mimmo Favuzzi, che ha rifiutato l’ipotesi di un “funerale del radicamento” e che ha, al contrario, proposto di “ripartire dai fondamentali”. Tappa inevitabile, per fare questo, è ripopolare la sezione, “lasciandovi entrare un fiume in piena di gente che ha voglia di lavorare”, precisando, però, di non volere con questo di non voler puntare in alcun modo ad un “assalto alla dirigenza”. Da qui il suo progetto “Rinascere”, che verrà presentato formalmente in un incontro che si terrà il 21 giugno (ore 18.30, sala consiglio comunale), a cui parteciperà anche il segretario regionale Ds, Beppe Vacca. Il partito deve cavalcare il “moto d’orgoglio” che è salito nella sinistra dopo la sconfitta, e “tornare coi banchettini sotto al Comune”, contro - ad esempio – la costosissima operazione di rinfoltimento del team assessori da 6 a 10, il blocco dell’articolo 51 che avrebbe reso immediatamente disponibili nuove case, il problema dei 15.000 docenti provvisori che avrebbero dovuto diventare di ruolo e che restano, invece, nel limbo della precarietà. Sono seguiti gli interventi di chiusura di Corrado Minervini e Vito Angiuli, che hanno lanciato ulteriori spunti di riflessione. Lunedì sera, alle ore 18.30, sempre in sezione, il secondo tempo di un dibattito dalla vitalità insolita e insperatamente sperata. Ci attende veramente, come cantava qualcuno (dai capelli inevitabilmente rossi), una “estate di belle speranze”? Paola Natalicchio
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Caro Michele Pascarella, ti rispondo con la serenità e la sincerità che ha sempre contraddistinto i nostri rapporti anche nei momenti più aspri di diversità di opinione che ci hanno attraversato. Io, onestamente, questa ambizione da parte di parecchi di voi a "diventare classe dirigente" veramente non l'ho capita. Una leadership non si riceve dal cielo; solo uno si è dichiarato "unto dal signore", adesso non vorrei che il momentaneo successo di questo signore faccia credere a tutti che siete unti dal signore. La leadership si conquista solo con un confronto democratico in cui si esprimono le proprie idee ed attorno alle stesse si raccolgono consensi maggioritari all'interno del proprio gruppo. Io altri sistemi di conquista della leadership all'interno di un gruppo nono li conosco. Ciò vale in politica, in economia, sul lavoro, nello sport ed in tutto ciò che riguarda il sociale che ci circonda. Purtroppo come già detto noto la ricerca da parte di molti di scorciatoie per arrivare alla meta, e ciò devo dire è successo anche a te all'interno del nostro partito. Quando l'agognata leadership non si raggiunge subito si abbandona e si provano altre strade. Ma dove sono tra queste macerie e continui abbandoni la coerenza, gli ideali, i valori?? bho!!! Per quanto mi riguarda sai benissimo che non mi interessa assolutamente essere dirigente di qualcosa (ho già troppi problemi nella vita quotidiana da avere desiderio di aggiungermene altri!!!); ho sempre lavorato in silenzio ed umilmente per il partito e per i valori che esso per me rappresenta; quando verificherò che non c'è comun sentire tra questi ed il sottoscritto vado a casa facendo felice la mia famiglia. Ciao con affetto Michele Natalicchio

Caro Michele Natalicchio cacciare chi ha demolito un patrimonio forse è la cosa giusta. Al salvatore Mimmo gli voglio fare una domanda: perchè coloro che si sentono padroni del Partito non si sono candidati? per informazione ai cittadini lascio il documento che presentammo al congresso D.S. UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE Un grande storico, Pasquale Villari, il maestro di Gaetano Salvemini, scriveva durante la terza guerra d'indipendenza: "V'è nel seno della nazione stessa un nemico più potente dell'Austria ed è la nostra colossale ignoranza, sono le moltitudini analfabete, i burocrati macchina, i professori ignoranti, i politici bambini, i diplomatici impossibili, i generali incapaci, l'operaio inesperto, l'agricoltore patriarcale, e la retorica che ci rode le ossa." Qual è oggi il problema della classe dirigente torna ad imporsi con forza nell'agenda politica il nostro nemico "più potente dell'Austria" denunciato dal Villari e si può esso sconfiggere senza correre il rischio, perennemente italico, di cadere soddisfatti nella "retorica" che ci rode le ossa"? Impostiamo allora il problema in maniera precisa. Essere classe dirigente, vale a dire assumere la leadership, significa capacità di gestione degli aspetti di continuità e di discontinuità; insomma, ecco il punto, una classe dirigente deve essere capace di leadership e questo non si inventa bensì la si costruisce. Il presupposto per tale costruzione risiede nel fatto di avere alle spalle una concatenazione di fattori che consentono di avere radici solide. La sinistra molfettese ha questa concatenazione e queste radici; il lavoro di costruzione è possibile. Tuttavia ciò che fa storia comune ed il dato del radicamento vanno coniugati dentro l'evolversi della modernità. Rispetto al passato oggi sono cambiati gli scenari della convivenza; forti lacerazioni si sono verificate sul piano economico per l'apertura e l'internazionalizzazione dei mercati per la trasformazione nel Welfare: per quanto, in senso di responsabilità, è chiamato oggi a dare una società civile storicamente più abituata a ricevere. E ciò anche per la Puglia e per Molfetta. Se si considera tutto ciò non si può non rilevare l'inadeguatezza della classe dirigente ma il momento che viviamo, quello della transizione lunga, non è uno di quei momenti storici che hanno tempi rapidi per la costruzione di una classe dirigente che coniughi risultati al contempo duraturi e straordinari. Poniamoci allora il problema: che cosa serve per divenire classe dirigente? Come per tutte le cose del mondo anche per divenire classe dirigente occorrono degli ingredienti formativi. Cerchiamo di elencarne alcuni. In primo luogo occorre un complesso di conoscenze, una dose di capacità, una visione ampia dei problemi, avere concretezza nei comportamenti. Quattro elementi, però, se una volta sommati il risultato non garantisce l'esito che vogliamo in quanto ciò che viene dalle competenze non è, di per se, sufficiente per interpretare ed affrontare realtà complesse e dirigerle verso gli obiettivi che noi riteniamo giusti. Occorre qualcosa di più. Occorre la politica ed occorrono la tensione e la passione della politica; ossia occorre che vi sia una spinta a creare, ad inventare, a progettare disegni di trasformazione delle cose del mondo ed anche questi, cioè la tensione e la passione sono, insieme ai primi quattro, elementi fondamentali per far crescere una classe dirigente che sappia pensare il futuro operando scelte e prospettando contenuti. Si, scelte e contenuti. La crisi che ha patito la politica in questi anni, infatti, ci sembra che sulle scelte e sui contenuti abbia privilegiato soprattutto le regole. Ma con le sole regole non si va lontano; la sinistra, poi, ci va meno di altri. E se dal comparto delle competenze nascono le cognizioni tecniche, dalla tensione ideale e dalla passione politica nasce non la professionalità dell'agire politico, ma la virtù nell'impegno politico. Da quest'ultimo si originano, poi, altri due tratti caratteristici della classe dirigente così come noi l'auspichiamo, l'innovazione e la forza di osare; innovazione perché bisogna percorrere strade diverse rispetto a quelle percorse nel passato e ciò non è possibile se non si sa esprimere il necessario convincimento; forza di osare, perché per innovare occorre guardare avanti, guardare oltre il presente, anche oltre a ciò che porta facile consenso alla propria leadership. Non si esercita, infatti, il ruolo di classe dirigente se ci si appiattisce sulle attese, una vera classe dirigente deve sapere comprendere ed interpretare i bisogni che sono nascosti nel corpo sociale. Ecco: primo punto consapevolezza. Sapere, capire, non nascondere la testa nella sabbia. Capire e sapere che non ci è stato rivolta solo una semplice, per quanto dura, critica. Per questo sarebbe bastato e avanzato il risultato del 13 giugno. No. E' qualcosa di più e di più serio e di più profondo. Settori di elettorato ci hanno abbandonato poiché evidentemente hanno ritenuto di averci già fatto sconti in passato in virtù di tutto ciò che la sinistra ha rappresentato per questa città: la sua crescita civile, economica, democratica. Il suo alto grado di libertà. Non vi sembri banale e soprattutto non vi sembri una concessione all'avversario richiamare la vostra attenzione proprio su questo punto: questo alto grado di libertà personale e collettiva, sul quale varrà la pena in seguito di porre una maggiore attenzione critica verso il nostro modo di essere: di essere partito e amministrazione, ma anche di essere dirigenti politici e amministratori. Abbiamo bisogno di riflettere seriamente. Lo faremo. Lo faremo in un dibattito largo con la città. Anzi considero questo proprio il primo mio compito all'interno dei D.S. . La procedura straordinaria che stiamo utilizzando in questo frangente per tanti versi drammatico (drammatico per noi, ma molto meno nella percezione della città e questo già dovrebbe insegnarci qualcosa), questa procedura dicevo non serve a preordinare l'esito di un dibattito che dobbiamo ancora fare. Al contrario l'analisi del voto è tutta di fronte a noi. Ognuno dentro e fuori il partito può dare il proprio contributo. Solo per questa via (e vi prego di credere che credo a quel che dico) sarà possibile capire davvero e raggiungere insieme una sintesi politica forte e convincente, credibile e dunque di per sé mobilitante. Abbiamo bisogno di dare una risposta compiuta sul perché della sconfitta. Al diffondersi di un mal sottile come quello dell'angoscia sociale in certi strati più deboli ed esposti che ormai inglobano parti del lavoro dipendente, soprattutto operai relativamente giovani e all'aumento del tasso di insicurezza in altri settori, quelli che vanno a formare quella variegatissima classe media che è oggi più di ieri la spina dorsale della comunità molfettese; a tutti costoro non si risponde solo con un progetti progetto di governo pur indispensabili. Farsi carico degli interessi dei molfettesi, del lavoro, dell'impresa, farsi carico delle ansie di una gioventù che non vuole paternali ma che è tutt'altro che cinica e che anzi vorrebbe da noi più convinzione, più tensione, meno compromessi nell'indicare e nel perseguire, anche sul piano dei comportamenti personali, ideali di libertà (torna questa parola nel mio discorso scritto così rapidamente e non sarà un caso!), ideali di giustizia e di solidarietà verso i più deboli. Insomma ne riparleremo più precisamente. Intanto chiediamoci perché in qualche punto, in qualche luogo di questo difficile percorso elettorale ci siamo quasi sentiti stranieri in casa nostra. E non mi si venga a dire che sto forzando oltre misura e che magari tutto può essere aggiustato. No, qui non si aggiusta un bel nulla se non cambiamo noi, profondamente. E' proprio il modello di partito che va reinventato. Se vogliamo portare il meglio di un'esperienza ideale e sociale in un nuovo secolo dobbiamo trovare la forza e il coraggio di voltare pagina, ossia di dare una svolta. Questa necessità vitale non porta me, certamente a confluire nella vulgata di un tardo yuppismo stile dolce gabbana in base alla quale – in una ricerca spasmodica del nuovo – anche a sinistra si pensa di far politica con in mano l'ultimo sondaggio fresco di stampa e nella testa tre o quattro slogan più o meno cretini. Evitando questi estremi, sintomi evidenti di confusione incertezza e superficialità, cambiare bisogna. Cambiare è vitale. Vediamo insieme come. . UN CONGRESSO D'INNOVAZIONE Il Congresso dovrà affrontare i nodi fondamentali della nostra strategia e della nostra piattaforma programmatica. In questo quadro si colloca il tema del nuovo partito. Il processo di costituzione dei DS ha mostrato limiti evidenti, più che una feconda sintesi di culture, è stata la sommatoria di stati maggiori, anche se non bisogna sottovalutare l'apporto anche elettorale venuto dai coofondatori e proseguire sulla strada di una vera sintesi di esperienze. La scommessa del congresso sarà quella di proporre, in questa fase storica, un'idea nuova di partito radicato nella società, con un'ampia vita democratica, con una forte capacità di proposta programmatica. Bisognerà introdurre forti novità nella vita democratica e nello stesso Statuto se vogliamo rispondere ai problemi posti dal voto. Così come siamo rischiamo di non andare lontano. Ampi settori dell'elettorato ci avvertono come qualcosa di estraneo, di vecchio, di contraddittorio rispetto alle proprie aspettative . Vi sono dunque questioni serie di messaggi che trasmettiamo, di coerenza dei nostri comportamenti, di immagine. Ai passi in avanti che dobbiamo fare sul terreno della proposta politica e programmatica, dovranno accompagnarsi scelte che riguardano la nostra capacità di comunicazione e la nostra vita democratica. Un partito moderno deve essere capace di rendere chiari ed evidenti i meccanismi attraverso i quali assume orientamenti e decisioni, propone una classe dirigente, verifica i risultati del proprio agire. Ecco perché il tema della nostra vita democratica e della nostra struttura organizzativa assumerà, nei prossimi mesi, un rilievo straordinario. La sfida tra destra e sinistra, nel nostro paese, si giocherà anche sul terreno della forma dei partiti. Non basta una risposta sprezzante al modello del Polo e di Forza Italia, in particolare, o un atteggiamento snobistico nei confronti del consenso raccolta dai Democratici e dalla Lista Bonino.Per far vivere effettivamente l'idea del partito moderno, aperto e plurale vanno praticate scelte radicali. 3. UN PARTITO GIOVANE E APERTO Il rapporto con le nuove generazioni deve rappresentare l'assillo di una sinistra moderna che voglia offrire nuove idealità e nuove opportunità", così fin dalla loro nascita i Democratici di Sinistra sottolineavano la necessità di costruire un partito nuovo, giovane ed aperto Il dato che più mi preoccupa della situazione del partito, guardando ai nostri iscritti ed a coloro che ci votano, è quello del suo "invecchiamento". Dobbiamo assolutamente considerare questa come un'emergenza." L'emergenza di un partito che invecchia è la spia di un disagio più ampio presente nella società: pertanto si deve agire sia sul versante dell'elaborazione, definendo un programma politico che sia in grado di dare risposte ai bisogni espressi dai giovani, sia sul versante della formazione e della promozione di una nuova classe dirigente. La scommessa di una società che invecchia deve essere necessariamente quella di investire sulle nuove generazioni, stimolandole ad assumersi la responsabilità di progettare il futuro. Il tema è certamente complesso e non ammette scorciatoie: una nuova classe dirigente non si improvvisa, non emerge esclusivamente per successione anagrafica; la crescita di una nuova classe dirigente abbisogna di cura ed attenzione, sono nocive sia le accelerazioni intempestive sia i ritardi ingiustificati. Troppo spesso, la politica si è limitata alla ricerca dei tratti e delle caratteristiche del cosiddetto "universo giovanile" dimostrando capacità di ascolto, ma eludendo il nodo cruciale del ricambio della classe dirigente. Un coinvolgimento ed una partecipazione attiva devono partire dal presupposto che le nuove generazioni, non in un'accezione giovanilistica ma nel senso più ampio del termine, sono il luogo dove si accumulano energie e capacità, in grado di affrontare le sfide del terzo millennio. In quest'ottica, noi crediamo che i partiti ed i movimenti politici debbano stimolare l'impegno di nuove energie ad ogni livello politico, istituzionale ed amministrativo. In particolare, crediamo che questo impegno debba rappresentare una priorità per le forze riformiste, ivi compresi i Democratici di Sinistra, che nella sfida del cambiamento e dell'innovazione trovano la loro ragion d'essere. L'apporto delle nuove generazioni, non è quindi una questione di mera rappresentatività che trova il suo sbocco naturale nelle quote (il giovane, la donna, un esponente del volontariato, ce...), ma è uno degli aspetti qualificanti che, a nostro avviso, segnala la capacità del sistema politico e dei partiti italiani di autoriformarsi. La nuova segreteria dei Democratici di Sinistra deve impegnarsi a costruire una sinistra aperta e moderna. Noi come movimento già costituito, che ha confluito nei D.S., vogliamo dare il nostro contributo di idee a questo progetto e ci rivolgiamo ad altri compagni e compagne, affinché condividano con noi l'esperienza di pensare la Sinistra del Duemila. Michele Pascarella




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