I curatori della Siloteca di Molfetta riaprono il dibattito sulla tutela delle statue dei Misteri
MOLFETTA - La bella giornata primaverile sta favorendo il lento scorrere della processione dei Misteri. Proprio in questa giornata ci giunge una nota da parte dei curatori della Civica Siloteca Centro Studi Molfettesi (dedicata a Raffaele Cormio), Rocco Chiapperini e Sergio Camporeale.
La nota, che pubblichiamo integralmente, vuole riaprire un dibattito sulla tutela di opere così preziose ma altrettanto delicate come le statue dei Misteri.
«Le cinque sculture lignee dei “Misteri Dolorosi”, conservate nella chiesa di S. Stefano a Molfetta, hanno avuto bisogno di un intervento di restauro che è stato illustrato durante una conferenza tenuta qualche anno fa (il 3 marzo 2012) presso la sala “Mons. Achille Salvucci” del Museo Diocesano di Molfetta.
La dott.ssa Rosa Lorusso, direttrice dei lavori di restauro per la Soprintendenza ai Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Puglia, e la restauratrice della ditta Galante di Mola di Bari che effettuarono l'intervento sui simulacri, hanno messo in luce un problema che gli scriventi avevano già evidenziato in una lettera intitolata “La tutela delle statue della Settimana Santa“, apparsa sul settimanale “Luce e vita” dell’8 febbraio 2009. Le relatrici sottolinearono, infatti, la incompatibilità tra la conservazione dei manufatti ed il loro utilizzo per i riti collegati alla religiosità popolare. Sottoporre le statue lignee a spostamenti con eventuali urti, fumo di candele, sbalzi termici (durante le processioni si passa dal freddo della notte alla successiva esposizione diretta ai raggi solari), venti salmastri ed umidità è esattamente il contrario di ciò che esse richiederebbero, ossia scarse sollecitazioni meccaniche unite a condizioni ottimali e stabili di temperatura ed umidità. La restauratrice mise in evidenza, inoltre, che le statue, ed in particolare il Cristo Morto, hanno una collocazione del tutto inidonea presso la chiesa di S. Stefano, trovandosi quasi a contatto con muri molto umidi e sui quali appaiono addirittura delle efflorescenze, con scarsa circolazione d’aria.
A tutto questo occorre trovare delle soluzioni che non possono essere quelle estreme, ossia da un lato far finta di niente e provocare un colpevole deterioramento di opere d’arte di eccezionale qualità, dall’altro privare la nostra collettività di una tradizione plurisecolare.
Se c’è volontà di entrare nel merito della questione, evitando di arroccarsi in chiusure drastiche e di parlare per slogan, si può trovare una soluzione, comunque difficile ma non impossibile, che consenta di mantenere salde e vive le tradizioni e, nello stesso tempo, di tutelare delle opere d’arte irripetibili.
Pur partendo da una verità inoppugnabile, ossia che le statue sono di proprietà privata (della Arciconfraternita di S. Stefano), non è altrettanto vero che c’è una “appartenenza pubblica” dei cinque Misteri? Non è forse vero che nell’ambito della stessa Arciconfraternita è stata messa più volte in evidenza questa “appartenenza alla collettività” che è formata dai nostri antenati, da noi contemporanei, ma anche da chi verrà dopo di noi? Non si dice forse che i beni naturali, culturali ed artistici li abbiamo “in prestito” per poterli trasmettere alle generazioni future e proprio per questo abbiamo il dovere della loro tutela? Ma attribuire l'aggettivo “pubblica” al termine “appartenenza” è sostenuto da altri due elementi sui quali è superfluo ogni commento: 1) è intervenuta nella questione una istituzione pubblica ossia la Sovrintendenza, 2) per il restauro dei simulacri sono stati adoperati finanziamenti pubblici.
Se è vero che le statue sono state acquisite dalla Arciconfraternita di S. Stefano per un preciso utilizzo devozionale e processionale, è altrettanto vero che si manifesta nel tempo un cambiamento di “sensibilità” verso certi temi. Non vi è stato un tempo nel quale verso i resti di antiche costruzioni vi era la “sensibilità” del riutilizzo, e poi è subentrata la “sensibilità” della conservazione e del restauro? La nuova “sensibilità” viene fatta propria dalla collettività, dalle istituzioni, dalla legislazione nazionale e internazionale. Questo mutamento ha dato anche un significato più completo e profondo all’opera d'arte, arricchendone e non svilendone il significato: essa è considerata anche un “documento”, ossia una fonte di informazione che può essere ricavata solo dalla esistenza e quindi dalla tutela dell’ “oggetto”. E questa informazione non può essere acquisita una volta per tutte, perché le tecniche di indagine, i metodi di studio, le conoscenze cambiano nel tempo. Perdendo il manufatto si perde non solo l’elemento artistico ed affettivo, ma anche l’elemento informativo e culturale.
A nostro parere si dovrebbe creare un gruppo di lavoro che, in più fasi temporali, risolva il problema dal punto di vista operativo. Nell’immediato ed in via transitoria, si dovrebbe creare un protocollo che detti norme di ulteriore attenzione nelle fasi dello spostamento delle statue e del loro utilizzo processionale onde evitare danni, anche potenziali, in presenza di rischio meteorologico, avendo cura di stabilire orari e percorsi processionali che abbiano come obiettivo prioritario quello della tutela delle sculture lignee, sacrificando le esigenze di altro tipo. Sul breve periodo è necessario comunque realizzare una sistemazione idonea per la collocazione stabile e sicura delle statue, tenendo conto delle osservazioni già riferite dai tecnici. Ma poi si dovrebbe risolvere il problema in via definitiva, ossia per mezzo della graduale sostituzione degli originali, custoditi e comunque fruibili presso il Museo Diocesano, con delle copie utilizzate per i riti della religiosità popolare. L’utilizzo di copie non dovrebbe suscitare perplessità; vi sono numerosissimi esempi in tal senso, dalle statue greche giunte a noi attraverso copie romane, al progetto della Diocesi di Grosseto, che, sia pure per altro motivo, ossia quello dei furti, ha attivato un piano per realizzare delle copie di opere d’arte e di culto da tenere in chiesa, portando gli originali nel museo di Arte Sacra. E proprio fra i cinque “Misteri”, il “Gesù all’orto” non è un rifacimento di un originale che era talmente deteriorato da non poter più essere portato in processione? Non è forse meglio, prima di giungere a tali estreme situazioni, realizzare già una copia senza privarsi dell’originale? La copia ci dà un arricchimento piuttosto che una privazione. E le cronache non parlano di traumi psicologici subiti dai confratelli che verso la metà dell’Ottocento portarono a spalle in processione un simulacro nuovo anziché il tradizionale “Gesù all’orto” dei loro antenati. L'icona della Madonna dei Martiri esposta alla venerazione dei fedeli non è forse una copia, mentre l’originale è al sicuro? E la venerazione dei fedeli non si è col tempo spostata su una successiva raffigurazione lignea della Vergine, ossia la statua del Verzella?
È auspicabile che di tutto questo si discuta con lo scopo di trovare soluzioni idonee. Una sola cosa, a nostro parere, non si può fare: comportarsi come le famose tre scimmie giapponesi del “io non vedo”, “io non sento”, “io non parlo”.
Sergio Camporeale
Rocco Chiapperini
(curatori della “Civica Siloteca Centro Studi Molfettesi”)»