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I 99 Posse all’Università: docenti per un giorno
15 marzo 2001

24 Novembre, ore 16, aula C della facoltà di Lettere e Filosofie dell’Ateneo di Bari. Dovunque ragazzi, seduti per terra, sui banchi, ammassati, stretti gli uni agli altri, con zaini sulle spalle, con quaderni e libri tra le mani. Si sarebbe potuto pensare che erano lì per assistere ad una lezione, come è normale che avvenga in un’aula dell’Università, eppure c’era qualcosa di diverso nell’aria, c’era una strana tensione, emozione, eccitazione. Lo si notava guardando gli occhi luccicanti degli studenti, oppure ascoltando qualche stralcio delle loro conversazioni “perché ancora non arrivano?” “ma tu li hai mai visti dal vivo?”. Di chi stavano parlando? Chi stava per arrivare, ed era atteso da tutti con un’ansia fortissima? Sicuramente non si trattava del solito professore, quello che entra in classe con la cartella e che incomincia subito a spiegare. No, quel pomeriggio non era atteso un docente qualsiasi, ma ne erano attesi di più, e non avrebbero fatto il loro ingresso in giacca e cravatta ma indossando felpe e Jeans, esibendo tatuaggi e “rastoni”, e avrebbero coinvolto quella moltitudine con i loro discorsi. I 99 Posse professori per un pomeriggio. Sì, proprio loro, quelli del mitico gruppo napoletano, nato nel 1991 come portavoce del centro sociale “Officina 99”. Proprio loro, Zulù, Meg, Pezzetto, proprio loro che riescono, oggi come 10 anni fa, a entusiasmare giovani di tutta Italia, travolgendoli con le loro meravigliose canzoni. Ma quel giorno non hanno cantato, non hanno urlato. Non avevano un palco sul quale esibirsi, non erano in piazza o in uno stadio, non dovevano suonare, ma semplicemente parlare, dialogare col pubblico composto da semplici universitari, raccontare la loro avventura, spiegare in che modo nascono i testi dei brani oramai famosissimi. Sono arrivati con qualche minuto di ritardo, si sono seduti dietro la cattedra, e, dopo un lunghissimo applauso, c’è stato immediatamente un silenzio tombale. Non si è udito più alcun fruscio, alcun bisbiglio. Zulù ha cominciato a parlare, a narrare la sua storia, la voglia, che aveva avuto da sempre, di trovare forme di collegamento tra la musica e la comunicazione politica-culturale, la sua esperienza come speaker in una radio napoletana nella quale cercava di trasmettere il più possibile musica non commerciale (“di un livello un tantino superiore a quella dei Duran Duran e degli altri gruppi che spopolavano in quell’epoca”), la scoperta delle affinità, non solo culturali, tra il Mezzogiorno di Italia e il mezzogiorno del mondo, la passione che nacque in lui per la musica del Sud e di come la famosissima “Rafaniello” (soprannome dato ai comunisti che voleva dire “rossi fuori e bianchi dentro”) sia nata dopo aver ascoltato un brano che si intitolava “kuakana” (ossia noce di cocco che voleva indicare il desiderio dei neri di diventare bianchi, di essere neri fuori ma bianchi dentro). Poi i suoi occhi si sono illuminati e ha raccontato della prima volta in cui salì sul palco con gli altri del gruppo per cantare, la gioia provata in quel momento per poter essere finalmente libero di urlare al mondo i propri pensieri, di poter gridare a tutti quello che gli passava per la mente, di poter comunicare attraverso la musica, attraverso le canzoni. Certo si è lontani coi 99 Posse dalle poesie di Petrarca, quelle poesie che affascinavano Meg quando era una studentessa liceale che sognava di diventare un “critico letteraria”, quelle poesie che l’autore probabilmente aveva corretto milioni di volte prima di consentirne la pubblicazione. Zulù & Co. scrivono brani, magari non poetici, non stilisticamente perfetti, ma comunque immediati,che raggiungono il cuore della gente e lo fanno palpitare forse molto più di quanto possa farlo una poesia di Leopardi. Sono ragazzi che dialogano con altri ragazzi per mezzo della musica, ragazzi che fanno delle loro capacità canore lo strumento per denunciare quello che non funziona non solo nella nostra nazione ma anche nel resto del mondo. Sono stati a Praga per manifestare contro la globalizzazione. Hanno compiuto un viaggio in Chiapas che li ha molto segnati, e lì hanno rischiato di farsi persino arrestare pur di portare il loro aiuto a chi ne aveva veramente bisogno. Hanno condotto una dura battaglia contro le multinazionali, hanno deciso di scendere in piazza e nelle strade di Napoli dal 15 al 17 marzo per disturbare e boicottare i disegni criminali dei “tiranni del mondo” che in quei giorni si riuniranno per discutere delle nuove forme di dominio e dell’uso dell’informatica per accentuare le stesse. Hanno condotto una lotta contro i prezzi spropositati dei CD e delle cassette, preferendo mantenere i loro dischi a basso costo per permettere a tutti di poterli comperare e rinunciando così a un bel po’ di denaro. Perché a loro quello che importa è l’affetto, il calore del pubblico, quel pubblico che li segue da tantissimo tempo, un pubblico di ragazzi tranquilli, amanti della buona musica, e non pazzi scalmanati e vandali come sono stati descritti dai sindaci di Sparanise (Ce), di Palermo e di Ancona, che hanno vietato l’utilizzo dei vari palazzetti dello sport dove si sarebbero dovuti svolgere i concerti del gruppo napoletano. Una vera vergogna, tanto più se si pensa che in 10 anni mai, durante un’esibizione, si sono verificati incidenti di alcun tipo. Ma evidentemente c’è ancora chi ha paura della gente che dice la verità, c’è ancora chi ha timore di ascoltare coloro che hanno coraggiosamente la forza di criticare i subdoli comportamenti dei politici e dei potenti in generale, c’è ancora chi vorrebbe un’omertà diffusa, ma loro, i 99 Posse, che sono nati e cresciuti in una città di camorristi hanno avuto la forza di rompere il silenzio agghiacciante di “coloro che sanno ma non vogliono parlare”, e lo fanno ogni volta che sono su un palco, o in una strada, in una piazza, a cantare oppure semplicemente a parlare, proprio come è avvenuto in quell’ aula dell’Università. Evidentemente gli studenti sono stati capaci, visti i numerosi e lunghissimi applausi, di riconoscere i pregi di questi ragazzi semplici che non si sono lasciati allettare dallo star-system distruttore, che non si sono montati la testa, ma sono rimasti gli stessi di una volta, di quando sognavano di poter diffondere le proprie idee, di raccontare al mondo intero i loro sogni, di riuscire ad aiutare i meno fortunati. Ora riescono fare tutto ciò e vengono apprezzati da chi, come loro, ha ancora la forza di dire "Non mi avrete mai come volete voi". Gisella Defilippis
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