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Guglielmo Minervini: “Potrei ricandidarmi a sindaco di Molfetta” Intervista all’ex primo cittadino sui temi più scottanti: dall’imboscata dei 17 al Prg, alla zona industriale, dall’operazione De Sario ad “Essere città”. Successi ed errori
15 ottobre 2000

di Felice de Sanctis “Potrei ricandidarmi a sindaco”, con quest’affermazione Guglielmo Minervini, ex primo cittadino, dopo i primi giorni di amarezza per la traumatica vicenda dello scioglimento del consiglio comunale a causa delle dimissioni di 17 consiglieri, sembra aver ritrovato la sua sicurezza, la voglia di lottare e il suo impegno politico. “Nessuna ipotesi è da escludere – aggiunge – sto facendo un’attenta valutazione”. Come giudica umanamente e politicamente la cosiddetta “imboscata” dei 17 consiglieri comunali e soprattutto dei 7 “traditori” della maggioranza? “Sul piano politico è un atto inqualificabile, si fa fatica a collocarlo all’interno di un livello di confronto politico, perché di politico ha pochissimo, forse addirittura nulla. E’ uno scadimento della politica a mera contrattazione di vicende, aspirazioni e interessi personali. Magari ci fosse stato un confronto politico su alcuni temi cruciali della città sui quali le differenze fossero giunte anche a una spaccatura. Non c’è stato nessun confronto su grandi temi e credo che di politico in questa vicenda ci sia molto poco. Sul piano umano c’è un’amarezza forte, perché avevamo lavorato in modo tale che l’esperienza politica si rafforzasse anche con relazioni umane solide, vere, di amicizia. Scoprire poi che tutto questo non era altro che una finzione, un’ipocrita copertura finalizzata al conseguimento di interessi specifici personali, ci rende molto tristi sul piano umano e lascia impronte di amarezza”. Perché è degenerato il clima politico molfettese? “Perché si è avuta una progressiva divaricazione tra un progetto politico che era fortemente centrato sull’elaborazione del futuro della città e una pratica politica invece scadente che considerava gli interessi pubblici come meri accessori per interessi privati. Nel secondo mandato c’è stata una divaricazione tra due culture politiche completamente incompatibili, incommensurabili. E a tutto questo credo che bisogna aggiungere anche un profilo dei protagonisti di questa vicenda politica molto poco edificante. E’ probabile che questa vicenda sia il riflesso di una selezione del ceto politico, dei consiglieri comunali che probabilmente non è stata molto accorta da parte delle forze politiche prima e della città dei cittadini che con il loro voto in qualche modo lo hanno consentito, dopo”. La colpa è anche del personale politico? “Direi di sì, insomma alla fine questa vicenda è stata scritta da persone in carne e ossa, quindi è evidente che c’è un problema anche di qualità politica e morale dei singoli soggetti”. Spostiamoci un attimo sul piano amministrativo. Quale principale iniziativa considera come fiore all’occhiello della sua gestione e quale una sconfitta o un’incompiuta? “Non c’è dubbio che dal punto di vista dei risultati amministrativi per il futuro di Molfetta forse l’iniziativa più importante è proprio la ripresa del processo produttivo che sta avvenendo in maniera abbastanza massiccia nella zona a ponente della città. Dal punto di vista delle opere pubbliche realizzate credo che la cosa simbolicamente più importante per Molfetta sia il recupero di beni culturali. In modo particolare sono molto legato sia alla riapertura del Pulo sia al recupero di San Domenico, credo siano i due segni di una attenzione. Credo che in quelle risorse Molfetta si gioca parecchio della sua partita. Le cose incompiute? Direi non ci sono grosse cose incompiute che non siamo riusciti a toccare, se non fosse per un’opera pubblica che è quella del campo della 167, il cui esito è ancora molto incerto. Le altre opere hanno segnato grovigli, difficoltà, contrattempi, ma direi sono tutte quante positivamente avviate a conclusione, anche quelle che magari hanno impiegato più tempo di quello previsto, ad esempio il palazzetto della 167 o la piscina, i cui lavori sono partiti in questi giorni e che magari avremmo voluto veder realizzati, con tutta la comunità cittadina, molto tempo prima”. E le cosiddette grandi opere pubbliche? “Non so cosa si intenda per grandi opere pubbliche, noi abbiamo oggi chiuso il cantiere opere del valore di svariate decine di miliardi, abbiamo realizzato il sovrappasso di levante che è un’opera infrastrutturale strategica per la qualità della vita nella nostra città del valore di una decina di miliardi, stiamo realizzando il mercato ortofrutticolo, una cruciale infrastruttura dello lo sviluppo produttivo di Molfetta per 11 miliardi. Nel nostro mandato abbiamo positivamente concorso alla realizzazione di altre infrastrutture strategiche per lo sviluppo di Molfetta come ad esempio il completamento della diga foranea del molo Achille Salvucci, come l’impianto per il recupero delle acque reflue. In questi anni non solo molto è stato chiuso, ma alcune infrastrutture cruciali, decisive per il decollo dello sviluppo produttivo sono state poste in cantiere o diventate cantiere”. Come finirà la storia del Prg? “I problemi sono due, uno di manifestazione della volontà politica e l’altro amministrativo-procedurale. Dal punto di vista della volontà politica con quell’ordine del giorno l’opposizione ha confermato una scelta che l’amministrazione comunale aveva sin dal giorno dopo compiuto, cioè di assoluta recezione delle prescrizioni della Regione. Benché più volte sollecitata a una chiara comprensibile espressione di volontà l’opposizione vi è giunta solo cinque mesi dopo la lettura delle prescrizioni e solo all’atto dello scioglimento del consiglio, e questo è il dato politico. L’amministrazione comunale, invece, su questa linea si era posta il giorno dopo e per il conseguimento di questo obbiettivo stava lavorando sin dal giorno dopo. Dal punto di vista procedurale mi pare chiaro che anche ciò che sostengono oggi i consiglieri che hanno provocato lo scioglimento del consiglio comunale, in realtà dimostri una correzione di tiro rispetto a quanto sostenuto e contenuto nell’ordine del giorno. Cioè la cosa che loro hanno sempre sostenuto soprattutto in quella seduta è che quell’ordine del giorno fosse dal punto di vista procedurale autosufficiente alla conclusione dell’intero procedimento di approvazione del piano, quindi che quell’ordine del giorno bastasse a tutto il procedimento per considerarlo chiuso. È assolutamente discutibile che l’approvazione di un piano possa avvenire senza la documentazione e a priori della redazione di tutte le cartografie e di tutti gli atti che corredano normalmente un atto così complesso com’è l’approvazione di un piano regolatore generale. Perché questa approvazione sia formalmente corretta ci vuole la redazione e ci vuole un atto specifico di approvazione che non è assolutamente quell’ordine del giorno che è una mera espressione di volontà giunta cinque mesi dopo. Noi stiamo lavorando affinché questa correzione procedurale sia compiuta con alto senso di responsabilità proprio dal commissario, perché se non dovesse avvenire il procedimento di approvazione si esporrebbe a rischi di profonda discutibilità. Sarebbe auspicabile che il Commissario integri e corregga il procedimento come un atto specifico che sia considerabile come vera approvazione”. Mancherebbe comunque l’atto politico. “L’atto politico si può considerare incluso in quella manifestazione”. Anche di dissenso? “Di dissenso sulla procedura precedente, però il documento nel merito si esprime favorevolmente all’approvazione”. Lo stesso discorso vale per l’art. 51 e il lotto 10? “Per quanto riguarda l’art. 51 non c’è alcun problema procedurale, perché stavamo già in fase esecutiva. Non c’è nessun atto politico che in questo momento è necessario, va da solo. C’è solo da gestire una serie di situazioni particolari e di interpretazione delle norme inserite già nell’atto madre rispetto a casi specifici. Addirittura secondo me può farlo d’ufficio tranquillamente salvo la verifica da parte del commissario di questi casi particolari. Per il lotto 10 stavamo anche lì in fase di approvazione finale essendo stato adottato il piano, e quindi essendoci stata anche lì una manifestazione di volontà con un atto consigliare forte, eravamo in fase finale. C’è una osservazione che mi consta essere pervenuta da parte di un cittadino cui l’ufficio ha controdedotto per cui il commissario se vuol fare un servizio utile per la città può tranquillamente entrare nel merito, valutare il senso dell’osservazione e della controdeduzione da parte dell’ufficio e, se ritiene opportuno approvarlo in via definitiva, io credo che farebbe un buon servizio a tutta la città”. L’operazione De Sario non crede abbia fatto perdere consenso al centro-sinistra e a lei personalmente? “Credo che il consenso non sia più ideologico, non sia più un cambiale che i cittadini firmano nei confronti degli eletti, ma sia un rapporto che di volta in volta rispetto alle specifiche proposte che tu fai, si rinnova o si scioglie. Nel caso di De Sario credo che una parte dell’elettorato abbia espresso perplessità per quell’operazione politica”. Almeno questo se lo rimprovera? Anche noi eravamo stati i primi e gli unici ad esprimere forti perplessità. “Certo, e devo dire alla luce dei fatti, quella perplessità era ben fondata, questo non significa che si è interrotto un rapporto personale di fiducia con la gente, e credo che la dimostrazione delle presenze al comizio di domenica scorsa sia da leggere in questo senso”. Nel comizio di domenica non abbiamo avuto l’impressione che lei abbia riconosciuto di aver commesso qualche errore. “Non è vero, c’è stata una parte in cui ho parlato degli errori commessi. Quello di Mauro De Sario è stato alla luce dei fatti un errore, poteva non esserlo se i presupposti fossero stati diversi” Si, va bene De Sario, ma quali sono stati gli altri errori? “Sin dal ’94 ci siamo trovati di fronte a delle situazioni difficili che imponevano in alcuni casi forme di mediazione anche un po’ ardite. Abbiamo avuto la prima crisi a novembre del’94 quando ben cinque consiglieri comunali minacciarono, sul piano di riqualificazione urbana, di uscire dalla maggioranza. Non si presentarono e avemmo la prima défaillance, poi ce ne sono state altre, quindi noi sin dal primo momento abbiamo dovuto scontare il difficile dilemma tra la governabilità e la mediazione, lo abbiamo risolto cercando una mediazione che non inquinasse il senso profondo del progetto politico che stavamo realizzando, molto spesso queste scelte non sono state condivise sono apparse eccessive, inutili o inopportune. Io credo che alla luce del bilancio complessivo possiamo dire che alla luce di queste mediazioni non abbiamo mai posto in vendita pezzi di città. Per quanto mi riguarda ho sempre avuto come stella polare che l’idea di pulizia, di trasparenza, di rispetto delle regole, non fosse mai disintegrata all’interno del lavoro politico. Questa è la cosa che anche domenica con grande orgoglio abbiamo rivendicato. Poi, probabilmente, in alcuni passaggi, avremo sbagliato, avremmo fatto prima ad interrompere l’esperienza amministrativa nel febbraio di quest’anno”. Perché non è stato fatto? “Ripeto abbiamo avuto la prima crisi nel novembre del ’94, la seconda nel dicembre ’96, terza crisi a dicembre del ’98, quando l’assessore Tommaso Minervini, allora vice sindaco, si dimise portandosi dietro una serie di altri consiglieri comunali e con essi tentò di costruire sin da allora una coalizione alternativa al centro sinistra. Abbiamo convissuto con le crisi, con questa progressiva spinta all’arretramento della politica che restringeva gli spazi dell’amministrazione. In tutti questi passaggi abbiamo cercato di garantire il dovere di governare la città senza svendere pezzi di essa”. Non sarebbe stato più utile denunciare tutto subito alla città? “Credo abbia ragione sia chi dice sì, sia chi dice no. Nella politica l’errore incombe su qualsiasi scelta. Nel complesso non c’è mai, in queste situazioni complesse la possibilità di dividere, in maniera manichea, il giusto dall’ingiusto, l’errore dalla verità”. “Essere città” cosa vuole essere il “Percorso 2”, una lista, un comitato elettorale? E’ vero che è ispirata da Guglielmo Minervini? Molti cittadini non l’hanno vista con simpatia (anche la redazione di “Quindici” si è divisa su questo Movimento). Cosa ne vuole fare? “E’ vero, intanto, che è ispirata da me: non c’è nulla da nascondere. Ma non sarà una lista, né un comitato elettorale. Nasce dall’esigenza di ricoagulare le intelligenze, le culture, gli sguardi su Molfetta per fare il punto della situazione e scrivere insieme l'agenda delle sfide che incombono verso il futuro e tracciare i solchi sui quali lavorare. Nasce dalla consapevolezza che mentre i processi di sviluppo andavano avanti, la politica arretrava. E’ un tentativo di mettere insieme i protagonisti dello sviluppo di Molfetta, coloro che sono in grado di dare un contributo e fondere tutto all’interno di questo progetto”. Non credo che lei abbia messo insieme tutti i protagonisti dello sviluppo. “Chiaramente si tratta di uno sforzo, nessuno è perfetto, non c’è delirio di onnipotenza. E’ chiaro che è un primo nucleo, che va ulteriormente allargato”. Noi lo riteniamo abbastanza ristretto. “Quel gruppo è quello che lancia la pietra, nessuno ha la pretesa di rappresentare l’universo della città. Ma vorrei sottolineare che il centro sinistra quando si è misurato solo sul terreno del consenso delle forze politiche ha sempre perso. Abbiamo vinto solo quando si è coagulato un grumo di interessi, passioni, energie, indipendentemente dall’appartenenza ai partiti, come è avvenuto col “Percorso”. Essere città ha l’obiettivo di recuperare il valore aggiunto per vincere. Ma non farà l’errore del Percorso di diventare lista”. Non crede che l’aver concentrato tutta l’attenzione sul sindaco, di aver personalizzato la politica, non ha permesso ad altri valenti protagonisti della passata amministrazione, come Maria Sasso e Nino Sallustio, di crescere o quantomeno di avere una visibilità esterna o una maggiore autorevolezza? Non se lo rimprovera? “Purtroppo c’era un problema di rilegittimazione continua della leadership. Perfino io sono stato continuamente messo in discussione, figuriamoci altri. Le riunioni di maggioranza non si facevano se non andavo io. Alla fine dello scorso mandato avevo anch’io problemi di leadership. E’ il problema della sinistra: generare leader. Come qualcuno cresce, lo affossiamo. L’esempio di Mimmo Favuzzi è emblematico. Bitonto produce classe dirigente a tutti i livelli, noi invece la perdiamo a tutti i livelli”. Quale sarà il suo futuro personale? Tornerà ad insegnare (in attesa di ricandidarsi) o continuerà subito la sua attività politica? “Sono tornato a scuola. Ma ho anche messo a disposizione la mia esperienza e la mia persona del gruppo dei Democratici. Ho detto a Parisi: la mia vicenda politica si è conclusa in modo traumatico, se volete continuo, altrimenti torno a fare il professore. Così mi è stato concesso un incarico a Roma (fra qualche giorno Minervini assumerà l’incarico di consulente del ministero della Pubblica istruzione, ndr)”. Cosa le resta, di questa esperienza, sul piano personale? Ha da rimproverarsi qualcosa? “Alla famiglia ho tolto qualcosa, ma ho sempre cercato, nel limite del possibile, di essere presente. Ma questa esperienza mi ha arricchito molto sul piano umano. Al di là delle squallide pagine finali, ho vissuto questa esperienza con una qualità alta di relazioni personali”. Quale messaggio lancia oggi alla città? “Di rimettersi di nuovo in gioco, perché la partita non si è decisa, la vittoria non è scontata, né la sconfitta è ineludibile, molto dipenderà dalla passione civile che si metterà in campo. L’esito di questa partita sarà affascinante per il futuro perché - per usare un’espressione di Gianfranco Viesti - i processi di espansione che si sono innescati definiscono una città ancora in bilico, che ha già raggiunto una soglia irreversibile di trasformazione: può continuare ad avanzare o arretrare”. Tutti insieme, lei compreso? “Me compreso”.
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