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Giovanni Gasparro e “Il nuovo teatro del divino” Successo del mostra al Museo diocesamo
15 novembre 2023

Ha riscosso notevoli apprezzamenti e ha rappresentato un evento importante nel contesto culturale cittadino e regionale la mostra Il nuovo teatro del divino di Giovanni Gasparro, che ha avuto luogo presso il Museo Diocesano dal 1° settembre al 29 ottobre 2023. Le opere, molte di grande formato, prevalentemente oli su tela ma anche su specchio angolare, hanno attratto subito l’attenzione dei visitatori. Questi ultimi si sono lasciati così condurre in un percorso pervaso di una bellezza che affonda le radici nella tradizione pittorica soprattutto secentesca ed è puntellato da cognizioni agiografiche e teologiche, oltre che dalla lettura di mistici. Quella di Gasparro è un’arte che – come ha scritto Clara Gelao – non è questione di “abili contraffazioni del passato né tantomeno di scimmiottature”; si tratta “di opere vere, parlanti, profondamente sincere, alcune autentici capolavori”. La mellificazione della tradizione si traduce, nel suo atelier, in lavori che parlano al cuore della contemporaneità, perché mostrano l’eterno rinnovellarsi del Sacro, la sua irruzione o il lento-dolce insinuarsi nelle maglie della quotidianità. Non è causale che Pupi Avati abbia posto l’accento su “Quella galassia, quell’inferno di santi, di madonne, di sacri cuore, di gerarchie ecclesiali, tutti ritratti nello stesso tempo e con la stessa luce con una acribia maniacale per il dettaglio che non ha eguali”. L’abbondanza di richiami alla pittura e alla cultura tardo-cinquecentesca e secentesca non è casuale. Come sottolinearono figure quali Anceschi, quell’epoca di “grande crisi (…) dell’uomo moderno” – e quindi anche “della lingua e dei mezzi espressivi” – divenne volano di “un movimento profondo, radicale”, sfociato spesso “in prove di altissima tensione, d’inconsueta violenza, che non manca di toccar momenti di convulsa e atroce verità umana”. Propri di quella cultura furono il metaforismo e il metamorfismo, il trionfo dell’occhio e l’artificiosità della finzione (elementi non estranei all’idea di teatro). Non a caso uno dei suoi emblemi fu lo specchio. Specchio che, non dimentichiamolo, ha radici robuste anche nella tradizione cristiana: per Jacopone la vita di Gesù era “specchio de veritate” in cui intravedere la propria deformità spirituale. Che dire poi dello Specchio della vera penitenzia del domenicano Iacopo Passavanti? Lo specchio è elemento ancipite; portatore di conoscenza di sé, può divenire anche esaltatore di apparenze effimere quando non illusionistiche ed essere vettore della perdita d’innocenza, inducendo alla lascivia e al narcisismo. Non stupisce che Gasparro abbia realizzato le potenzialità insite in questo medium nel dittico, olio su specchio angolato, de La conversione di Santa Rosalia e ancor più nell’ubertoso Speculum iustitiae. Qui, nella preziosità del legno dorato, sembra farsi strada l’idea che sola via dell’agire secondo verità sia l’imitatio Christi, che induce a indirizzare la propria vita nel solco di quell’esempio virtuistico. Luci, azzurri, superfici di specchio che suggeriscono cieli e cieli che si specchiano con i loro cromatismi ammiccanti al manto mariano: tutto concorre a determinare un vertiginoso effetto di bellezza. In alcuni casi, le rappresentazioni di santi sembrano ispirate a criteri di iper-realismo nella restituzione delle fattezze umane. In tal direzione, emblematico ci sembra l’olio su tela 90x70 che rievoca San Nicola di Bari. Il miracolo del mattone. In quel solco la rappresentazione della vecchiezza venerabile e pensosa del Beato Pier Pettinaio o di alcuni studi di santi. Realismo e reduplicazione magica degli elementi coesistono nella Santa Maria Egiziaca, che ha mellificato la decrepitudine della Maddalena penitente di Donatello, ma non è priva di un fascino inquietante che la farebbe ben figurare in qualche avatiano Nascondiglio. L’elemento dell’orrido non è assente nell’opera di Gasparro. Terreo e stravolto è il San Lazzaro di Betania nel suo emergere, come dal cono di tenebra della Morte, da uno sfondo monocromo scuro di memoria caravaggesca. Il demonio sconfitto dal San Michele Arcangelo di un olio su tela del 2018 ha nei lineamenti qualcosa del santo stesso, come se si trattasse di una lotta tra il ministro divino e il suo lato oscuro. Superba e imponente la rappresentazione, in un olio su tela 300x200, della Visione della Chiesa di Santa Hildegard von Bingen. Luce e tenebra, bellezza e terrore, memoria dei testi sacri, delle visioni dantesche e persino, forse, dell’immaginario cinematografico legato alle possessioni demoniche coesistono in un movimento vorticoso che dall’angelo urlante e atterrito conduce alla Chiesa violata, con il viso butterato dalla cenere. In basso una natura morta di suppellettili legate ai riti sacri appare, a nostro avviso, trasposizione oggettuale della destituzione di valore del Sacro. In lavori possenti come questo, Gasparro attinge al sublime negativo, realizzando quanto De Sanctis scriveva anche a proposito dell’efficacia artistica del Brutto: “il brutto è sé stesso e il suo contrario, ha nel suo grembo la contraddizione, perciò ha la vita più ricca, più feconda di situazioni drammatiche”. Tra le opere più belle dell’allestimento ricordiamo il San Nicola Pellegrino. Qui il Sacro si insinua nel quotidiano, grazie all’immagine estatica e dolce del Santo al centro della scena. Da questa figura è irradiata luce che illumina i corpi seminudi dei pescatori, finanche le gambe incrociate e i piedi del ragazzo che, sdraiato sulla barca, osserva il Santo. Una mistica conversazione cui non mancano elementi quotidiani: si pensi all’offerta delle ciliegie, al cane accovacciato ai piedi del giovinetto più smagrito, ai due pesci agonizzanti sulla sabbia. È neocaravaggesca la bellezza di questo dipinto; il ragazzo pigro e sensuale dalla camicia bianca ammicca, pur nelle spiccate differenze, a immagini ruvide e popolaresche quali il bellissimo San Giovanni Battista del 1604 custodito nella Galleria nazionale d’arte antica, a Roma. Ha il fascino commovente e canagliesco di un’umanità che si lascia cullare (a volte sino a farsi travolgere) dal “rumore della vita”, ma è pronta ad accogliere con stupore il bagliore del divino che all’improvviso illumina l’incanto della notte. © Riproduzione riservata

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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