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Francesco Padre: spazzare via il fango gettato sui marittimi morti
15 dicembre 2009

L’amara notizia del naufragio mi raggiunse a Ravenna dove, regolare equipaggio della nave M/c “Lady Raffaella” caduta in sequestro conservativo, poi pervenuta armata al Fallimento Trasmare SpA deciso dal Tribunale di Roma, risultavo coercitato alla stessa per ordine del Pretore prima e poi per decreto dalla curatela. Ciò, mentre mi interessavo a far avere la pensione ai superstiti del marinaio trapanese che con altri dell’equipaggio, sulla nave “Lucina”, erano stati decapitati da terroristi in un porto algerino. Conoscevo Giovanni Pansini, uomo mite, rispettoso e delicato. Fu profondo il dolore ed immensa la rabbia nel sentire l’infamia che le istituzioni additavano a Giovanni e al suo equipaggio, imputandoli di trasportare esplosivo. E per conto di chi!?… per la tesi del napoletano, il componente della Commissione di inchiesta formale? Comoda ai vertici della NATO?... o ad altri? visto che la magistratura inquirente doveva sposarla in assenza di confutazioni?… già programmata? e negata la dovuta e necessaria ricognizione fotografica del natante a soli 250 metri di profondità!? Discutendo con amici di Ravenna, operanti nei recuperi marini e informati sulle novità degli oggetti bellici, ebbi notizia su una nuova mina telecomandata, il cui esperimento pratico poteva aver interessato le forze della NATO nel teatro bellico che si era aperto nel basso Adriatico; lungo le coste della Jugoslavia che era il luogo del naufragio. Per lo spirito cameratesco che si creò, gli amici si disposero per eseguire gratuitamente, con un loro robot, la dovuta ricognizione fotografica del Francesco Padre se la marineria molfettese avesse disposto, gratuitamente e per 48 ore, due motopescherecci. Per superare le difficoltà e concretizzare quanto concordato con gli amici di Ravenna, diedi notizia registrando la trasmissione televisiva a TV 7 nello studio di via Ten. Pomodoro a Molfetta. D’incanto, dopo pochi giorni, mi risultò essere stata disposta dalle medesime autorità, la ricognizione fotografica ancorché con altri operatori. Per la coercizione che stavo vivendo (seguita poi con la morte sociale, tuttora persistente, irroratami dalla curatela romana e dalle nostre capaci autorità marittime locali), ma anche per l’assenza di stimoli, non ebbi più modo di interessarmi al caso. Poi, alla manifestazione per la presentazione del libro di Gianni Lannes sul caso, ho constatato il vivo interesse della comunità molfettese che con tutti i ceti sociali ha affollato l’aula magna del Seminario Regionale. Profonda è stata l’emozione trasmessa dagli attori nel rappresentare la tragedia e il dolore dei congiunti; ammirabile il coraggio dell’autore e concreti gli interventi dei relatori. Dispiaciuto per l’assenza del dibattito e la mancanza della passione, la rabbia e l’interessamento che ha profuso con costanza “Ziett la ross” Ignazio Salvemini che forse, meglio avrebbero evidenziato l’interesse della città a spazzare via il fango gettato sulla nostra comunità e a cancellare l’infamia addossata a Giovanni ed al suo equipaggio; dunque, a tutta la marineria molfettese. Quel fango e l’infamia devono essere spazzate via. Ma come? Le richieste sono molte e diverse. Sono quelle dei superstiti. Quelle dei colleghi pescatori. Quelli della marineria. Quelle della cittadinanza molfettese. La richiesta prioritaria è quella della cittadinanza molfettese. Su questa dobbiamo puntare innanzitutto; ed essa poi, potrà soddisfare le altre richieste. Che fare? Pur ammirando il lavoro e il coraggio di Lannes, la ricerca di un assassino che schiacciò il bottone non smuove foglia in quanto, la tesi del missile, l’errore del bersaglio e il mitragliamento dell’equipaggio, appare una verità distante dalla realtà di quella notte. Più vicina alla realtà appare l’ipotesi della pesca di un ordigno bellico funzionante e dunque, la disgrazia per un caso fortuito. L’ordigno può ben essere stato una mina che potrebbe essersi impigliata nella rete durante il salpamento. Non ho letto il libro, che leggerò. Non ho visto il filmino che vedrò. E non ho mai letto la relazione dell’inchiesta formale. Però, ho visto le 3 foto del Francesco Padre sul fondo. Ho ascoltato i relatori ed i familiari alla manifestazione. Ho parlato con molti colleghi di Giovanni. Conosco le autorità marittime, il Codice della Navigazione, il Regolamento e le rispettive Relazioni. Sono io un marittimo che ha anche esercitato la pesca: negli oceani e lungo le coste da Ancona a La Spezia. Spesso mi è successo di pescare e imbarcare con i pesci munizioni, tritolo, proiettili, bombe chimiche, carrelli e le spaventose mine. E’ successo a Molfetta, a Brindisi, a Catanzaro ed a Livorno. Mine che a volte abbiamo dovuto abbandonare tagliando e perdendo il pezzo necessario della tartana e scappare con il motore a tutta forza per sfuggire l’onda dallo scoppio nel caso le spolette fossero funzionanti. Altre volte il mostro, lo abbiamo imbarcato e tenuto fermo sulla pagliolata di poppa o trascinato appeso per gettarlo nella fossa più vicina, rimettendoci il gancio e la ghia. E siamo tanti i pescatori che abbiamo vissuto queste esperienze per far valere la nostra verità; e forse quella che sarà stata la REALTA’ di quella notte. Se vogliamo, e ritengo che abbiamo la forza, possiamo liberare dal fango la nostra comunità e spazzare l’infamia imputata a Giovanni, Luigi, Francesco, Saverio e Mario. Si può. Anche se ricorderete le mie capacità (la visita biennale è rimasta a Molfetta), serve il vostro aiuto e la collaborazione; o, se preferite, sono a disposizione. Credo che la città farà sentire il proprio appoggio. Se crediamo, possiamo. Date il vostro segnale.

Autore: Mauro Brattoli
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