MOLFETTA - «Domani ricorre la festa dei lavoratori. Come suo solito il nostro sindaco si recherà al cimitero a rendere omaggio ai caduti sul lavoro.
Naturalmente si recherà solo da quelli che hanno fatto clamore ovvero quelle persone morte nella cisterna dei veleni.
E, gli altri, non dico quelli morti nell'altro secolo, ma quelli come mio fratello che sono morti qualche mese prima perché non gli spetta lo stesso trattamento?
Cos'è, noi non portiamo voti? Sicuramente la corona di fiori del Comune non mi riporterà in vita mio fratello ma se dopo solo 4 anni (quest'anno sono 4 anni che mio fratello è caduto sul lavoro e non è stato mai ricordato) ci si dimentica di una persona morta nello stabilimento più a rischio in assoluto d'Europa figuriamoci gli altri 40 morti in passato chi mai se ne ricorderà? Neanche i parenti.
Ah dimenticavo, a carico dell'ILVA è aperto un processo penale presso il tribunale di Taranto.
Mai e dico mai ho visto un giornalista durante le udienze farsa e mai e poi mai ho letto un articolo o un minuscolo trafiletto a riguardo. Io sono un vostro lettore che spera in un vostro piccolo interessamento».
Francesco Rafanelli
Ci ha colpito molto questa lettera inviata a Quindici. La proponiamo all’attenzione dei nostri lettori, persone sensibili che dialogano fra loro su queste pagine, in questa Agorà cittadina di libere opinioni, dove giustizia sociale, solidarietà e rispetto dei diritti sono temi ricorrenti, in cui crediamo e ci battiamo perché diventino patrimonio comune della nostra società.
Ci sembra una riflessione diversa per ricordare il 1° Maggio, festa del lavoro.
Perché morire di lavoro ancora nel 2010 è assurdo e soprattutto è colpevole. Non ci si può limitare a parlare di casualità per queste tragedie, definite “morti bianche”, ci sono delle responsabilità che vengono sempre ignorate (nella foto: immagine di fotografia sociale solidale dell’Associazione “No comment” apolitica e no profit di Napoli).
Le cifre delle morti sul lavoro sono spaventose e parlano chiaro, sono un atto di accusa verso chi non garantisce le condizioni minime di sicurezza. Dalle statistiche viene fuori un bollettino di guerra: nel nostro Paese le vittime sono in media 1.500 ogni anno (in media più di tre al giorno), mentre sono circa 400mila gli infortuni.
E di fronte a questa tragedia che fa il governo? Si nasconde, rinvia il problema. In Italia, dopo l’accelerazione avuta nel 2007 si aspetta ancora l’approvazione dei decreti attuativi del Testo unico per la sicurezza, il cui cammino si è improvvisamente arre stato con il rinvio al 2011 stabilito dal decreto Milleproroghe approvato quest’anno.
Un testo tra l’altro profondamente depotenziato rispetto alla versione originaria; vanificate alcune conquiste importanti come l’inasprimento delle sanzioni alle aziende che non rispettano le norme o la determinazione della giornata nazionale per l’elezione dei rappresentanti territoriali per la sicurezza, che tuttora è rimasta sulla carta.
Eppure la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, come recita quella Costituzione che oggi Berlusconi vuole modificare e, se possibile cancellare. Quel lavoro che dovrebbe nobilitare l’uomo, come sostiene una certa retorica, ma che, invece, lo uccide.
La difesa dei diritti dei lavoratori è sempre più a rischio e, senza quei diritti, le morti sul lavoro sono destinate a crescere, a morire saranno sempre più uomini non più soggetti della produzione, ma oggetti della produzione, che si possono cancellare, eliminare, perfino uccidere per non frenare uno sviluppo che invece di andare a vantaggio di tutti, gratifica e arricchisce pochi.
Molfetta è balzata tristemente alla ribalta delle cronache nazionali con gli operai della Truck Center morti nella maledetta cisterna dei veleni. Ma, come ricorda il nostro lettore, sono tanti i caduti sul lavoro, eroi dimenticati che nessuno più ricorderà a tutti perché le tragedie non si ripetano.
Il ricordo di questi eroi del lavoro resta solo nei cuori dei loro familiari che magari da soli continuano a combattere battaglie in tribunale per veder riconosciuti diritti postumi o cercare di ottenere una giustizia che non restituirà agli affetti i loro cari, ma almeno servirà da monito per tutti.
Ecco, ci piacerebbe, che questa volta il sindaco Antonio Azzollini, che rappresenta tutti i cittadini, raccolga il grido di dolore di questo fratello che Quindici fa proprio lanciando un appello perché non ci siano più vittime del lavoro e perché venga reso omaggio anche a questi eroi dimenticati, anche nella nostra città. Ci sembra un atto di omaggio doveroso che andrebbe esteso anche al caduto ignoto sul lavoro, perciò Quindici propone la realizzazione di un monumento a ricordo perenne di questi fratelli morti per il nostro progresso morale e materiale, compiendo anch’essi il loro dovere, senza armi che non fossero gli attrezzi da lavoro, i ferri di quel mestiere per il quale hanno sacrificato il bene più grande: la vita.
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