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Festa del 1° Maggio. Ma quanti eroi dimenticati, caduti sul lavoro anche a Molfetta Riflessione su una lettera inviata a “Quindici” da un uomo che ha perduto il fratello per un incidente e chiede che ci si ricordi anche di coloro che non fanno notizia o clamore come le vittime della Truck Center. Appello di "Quindici" al sindaco per un ricordo e un monumento al caduto ignoto sul lavoro
30 aprile 2010

MOLFETTA - «Domani ricorre la festa dei lavoratori. Come suo solito il nostro sindaco si recherà al cimitero a rendere omaggio ai caduti sul lavoro.
Naturalmente si recherà solo da quelli che hanno fatto clamore ovvero quelle persone morte nella cisterna dei veleni.
E, gli altri, non dico quelli morti nell'altro secolo, ma quelli come mio fratello che sono morti qualche mese prima perché non gli spetta lo stesso trattamento?
Cos'è, noi non portiamo voti? Sicuramente la corona di fiori del Comune non mi riporterà in vita mio fratello ma se dopo solo 4 anni (quest'anno sono 4 anni che mio fratello è caduto sul lavoro e non è stato mai ricordato) ci si dimentica di una persona morta nello stabilimento più a rischio in assoluto d'Europa figuriamoci gli altri 40 morti in passato chi mai se ne ricorderà? Neanche i parenti.  
Ah dimenticavo, a carico dell'ILVA è aperto un processo penale presso il tribunale di Taranto.
Mai e dico mai ho visto un giornalista durante le udienze farsa e mai e poi mai ho letto un articolo o un minuscolo trafiletto a riguardo. Io sono un vostro lettore che spera in un vostro piccolo interessamento».
Francesco Rafanelli

 Ci ha colpito molto questa lettera inviata a Quindici. La proponiamo all’attenzione dei nostri lettori, persone sensibili che dialogano fra loro su queste pagine, in questa Agorà cittadina di libere opinioni, dove giustizia sociale, solidarietà e rispetto dei diritti sono temi ricorrenti, in cui crediamo e ci battiamo perché diventino patrimonio comune della nostra società.
Ci sembra una riflessione diversa per ricordare il 1° Maggio, festa del lavoro.
Perché morire di lavoro ancora nel 2010 è assurdo e soprattutto è colpevole. Non ci si può limitare a parlare di casualità per queste tragedie, definite “morti bianche”, ci sono delle responsabilità che vengono sempre ignorate (nella foto: immagine di fotografia sociale solidale dell’Associazione “No comment” apolitica e no profit di Napoli).
Le cifre delle morti sul lavoro sono spaventose e parlano chiaro, sono un atto di accusa verso chi non garantisce le condizioni minime di sicurezza. Dalle statistiche viene fuori un bollettino di guerra: nel nostro Paese le vittime sono in media 1.500 ogni anno (in media più di tre al giorno), mentre sono circa 400mila gli infortuni.
 
E di fronte a questa tragedia che fa il governo? Si nasconde, rinvia il problema. In Italia, dopo l’accelerazione avuta nel 2007 si aspetta ancora l’approvazione dei decreti attuativi del Testo unico per la sicurezza, il cui cammino si è improvvisamente arre stato con il rinvio al 2011 stabilito dal decreto Milleproroghe approvato quest’anno.
Un testo tra l’altro profondamente depotenziato rispetto alla versione originaria; vanificate alcune conquiste importanti come l’inasprimento delle sanzioni alle aziende che non rispettano le norme o la determinazione della giornata nazionale per l’elezione dei rappresentanti territoriali per la sicurezza, che tuttora è rimasta sulla carta.
 
Eppure la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro, come recita quella Costituzione che oggi Berlusconi vuole modificare e, se possibile cancellare. Quel lavoro che dovrebbe nobilitare l’uomo, come sostiene una certa retorica, ma che, invece, lo uccide.
La difesa dei diritti dei lavoratori è sempre più a rischio e, senza quei diritti, le morti sul lavoro sono destinate a crescere, a morire saranno sempre più uomini non più soggetti della produzione, ma oggetti della produzione, che si possono cancellare, eliminare, perfino uccidere per non frenare uno sviluppo che invece di andare a vantaggio di tutti, gratifica e arricchisce pochi.
 
Molfetta è balzata tristemente alla ribalta delle cronache nazionali con gli operai della Truck Center morti nella maledetta cisterna dei veleni. Ma, come ricorda il nostro lettore, sono tanti i caduti sul lavoro, eroi dimenticati che nessuno più ricorderà a tutti perché le tragedie non si ripetano.
Il ricordo di questi eroi del lavoro resta solo nei cuori dei loro familiari che magari da soli continuano a combattere battaglie in tribunale per veder riconosciuti diritti postumi o cercare di ottenere una giustizia che non restituirà agli affetti i loro cari, ma almeno servirà da monito per tutti.
 
Ecco, ci piacerebbe, che questa volta il sindaco Antonio Azzollini, che rappresenta tutti i cittadini, raccolga il grido di dolore di questo fratello che Quindici fa proprio lanciando un appello perché non ci siano più vittime del lavoro e perché venga reso omaggio anche a questi eroi dimenticati, anche nella nostra città. Ci sembra un atto di omaggio doveroso che andrebbe esteso anche al caduto ignoto sul lavoro, perciò Quindici propone la realizzazione di un monumento a ricordo perenne di questi fratelli morti per il nostro progresso morale e materiale, compiendo anch’essi il loro dovere, senza armi che non fossero gli attrezzi da lavoro, i ferri di quel mestiere per il quale hanno sacrificato il bene più grande: la vita.
 
 
© Riproduzione riservata
Autore: Felice de Sanctis
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La nostra non è una Repubblica fondata sul lavoro. Ficcatevelo nella testa! Ipocritamente, in quello che oggi è, per molte parti solo un "pezzo di carta", dai buoni propositi... sono stati scritti molti aulici pronunciamenti del cavolo... La nostra, è invece una Repubblica fondata sulle Banche, sugli speculatori di Borsa, sulle Tangenti, sui soldi riciclati, sul Malaffare, sui soldi sporchi delle mafie, che inquinano tutto il tessuto economico e sociale della Nazione.... Di fronte a ciò, "i lavoratori", in altri tempi, avrebbero mosso corteo, robusto e deciso corteo, contro il palazzo, occupandolo! Tutto il resto è inutile, prosaica, prosopopea... Ricordiamo i morti sul lavoro, certo, tutti, indistintamente! Ma ricordiamo pure quelli che muoiono perché lo perdono, perché non lo hanno mai trovato... Ricordiamo anche quelli che si impiccano perché lo perdono! Ricordiamo tutti e rammentiamo che questa è la Repubblica dove trovano lavoro i figli di Bossi e Visco, casi di cui le cronache giornalistiche si sono occupate, e molto, fate le vostre ricerche (sono bipartisan, uguali sono da questo punto di vista), ma sono centinaia di migliai, i c.d. "figli di papà" che sono bravi a prescindere, e dove un giovane bravo, per trovare collocazione, è meglio che fugga... L'unica cosa buona che sanno fare i Sindacati, oggi, è il concertone, per il resto, sono kasta pure loro, kasta da abbattere! Il figlio del sindacalista, del quadro, è anche esso un punto avanti agli altri. Non nutritevi di ipocrisia, affrontate la dura realtà, non fatevi cogliere impreparati, perché presto la dura realtà, busserà inesorabilmente alle vs. porte, quando lo Stato, non ... fkr

Di lavoro in Italia si muore e si continua a morire e a dimenticare. Domani 1 maggio, festa dei Lavoratori: ricordiamone alcuni per tutti. Nelle prime ore d'agosto del 2007, i titoli della "Gazzetta del Mezzogiorno" colorano di sangue l'alba di un giorno vacanziero. Quattro vite stroncate nella sola Puglia. Giovanissima la vittima di Taranto. Domenico Occhinegro, Mimmo per gli amici, aveva soltanto ventisei anni. Doveva sposarsi nel 2008. E' stato investito da un tubo di acciaio rimanendo schiacciato. Trentacinque morti dal 1993 a oggi,(aprile 2008) sei dei quali negli ultimi due anni. Il 9 giugno era morto un operaio di diciannove anni, Andrea D'Alessano, di Oria (Brindisi) dipendente della ditta Modfomec: fu colpito in testa da un pesante martello, chiamato in gergo "mazzetta" piovuto dall'alto. Il 3 luglio un operaio dell'azienda Tecnoprogress, Giuseppe Cavallo, trentanove anni, è rimasto orrendamente mutilato: gli hanno dovuto amputare la gamba sinistra. Nello stesso reparto un altro giovane, VITO ANTONIO RAFANELLI, originario di MOLFETTA, era morto nell'agosto del 2006 schiacciato tra un tubo e una macchina maledetta: una "cianfrinatrice" usata per smussare le imperfezioni sui tubi. Era il giorno del compleanno di VITO. Quel drammatico 1°agosto 2007 la Puglia ha pianto altri morti nei cantieri edili di Otranto e Brindisi. Andrea Sindaco, schiacciato da una gru; Cosimo Perrini di Taranto, precipitato da otto metri dal tetto di un cinema senza alcuna fune di trattenuta a proteggerlo. Li abbiamo dimenticati, gli Occhinegro, i Sindaco, i Perrini, i RAFANELLI. Presto saranno tutti dimenticati? Le morti sul lavoro, il precariato, la sicurezza stradale e così via: in Italia sembrano problemi insormontabili. Non abbiamo fiducia nel futuro. Cosa ci succede?

A questo punto è davvero auspicabile il "silenzio di Dio" che Giovanni Paolo II lamentò nella sua udienza generale del 2 aprile 2003. Citando Isaia, il papa espresse tutto il suo timore per questo silenzio che, di fronte alle atrocità della storia, può generare "perplessità" e, per l'uomo giusto, perfini "scandalo". Ma poi il pontefice ha aggiunto: "Il silenzio di Dio non sta a indicare la sua assenza, quasi che la storia sia lasciata in mano ai perversi, nell'indifferenza e nell'impassibilità del Signore" Questo discorso, per sè, non è propriamente cristiano, perchè il Dio che il papa indica non è il Padre misericordioso e disposto al perdono a cui i Vangeli fanno continuo richiamo, ma è il Dio biblico che si chiude nel silenzio, perchè le azioni degli uomini non sono buone per sollecitare la sua benedizione, e neppure cattive per provocare la sua maledizione, ma "perverse". E allora Dio tace. E nel suo silenzio accade il pianto del giusto e la ferocia dell'ingiusto, la morte dell'innocente e la parola vana di chi vuol riordinare la storia dopo aver ammutolito Dio. A questo punto il "silenzio di Dio", così drammaticamente segnalato dal papa, per un laico può voler dire un benevole tacere della dimensione simbolica, affinchè i deboli strumenti della ragione, che il simbolico esprime, possano riapparire per diffondere quella luce che, anche se non sfolgorante come quella di Dio, può consentire a uomini finora distanti, perchè provenienti da culture diverse, di guardarsi in volto e riconoscersi.- (U.Galimberti)

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