Ettore Ciccotti tra socialismo e federalismo (II parte)
NAPOLI - 14.8.2008
La maturazione di forti interessi economici da parte della borghesia industriale del Nord - secondo Ettore Ciccotti - fu la forza motrice reale del processo di unificazione, un progetto che precedentemente era stato un'aspirazione prevalentemente ideale.
Le diverse condizioni socio-economiche che vigevano tra le regioni settentrionali e quelle meridionali posero queste ultime sotto l'egemonia politica ed economica delle prime. Fu questo il motivo per cui “l'Italia unita divenne il grande mercato delle sue regioni industriali”.
Mercato che veniva difeso dalla concorrenza degli altri Stati industriali con una rigida barriera protezionistica. L'unificazione politico-territoriale, realizzata sotto la spinta degli interessi della borghesia capitalistica del Nord, favorì un ulteriore sviluppo del Settentrione, e Ciccotti, polemizzando con quanti parlavano di uno “Stato di Milano” da contrapporre al resto d'Italia, fece loro notare che Milano si era potuta sviluppare grazie all'Unità.
L'Unità provocò nelle regioni meridionali degli effetti ben diversi da quelli prodotti al Nord. Infatti, secondo lo studioso lucano, l'unificazione nel Sud ebbe come conseguenza il fallimento delle poche industrie che vi erano state introdotte dai Borboni, a causa della concorrenza delle industrie settentrionali. Inoltre, l'introduzione di un rigido sistema fiscale, la vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, la funzione del debito pubblico furono tutti provvedimenti che causarono un drenaggio di capitali dal Mezzogiorno verso lo Stato e dallo Stato verso il Nord, che in tale modo rafforzava la sua struttura capitalistica, mentre, di riflesso, al Sud si rafforzava la proprietà latifondista.
In sostanza, Ciccotti sosteneva che lo sviluppo economico del Nord si basava sullo sfruttamento istituzionalizzato del Sud, in cui di riflesso si acuirono le condizioni d'arretratezza sociale, economica, politica e morale.
La tesi avanzata dal Ciccotti non era nuova ed anche lo studioso lucano ne era consapevole. Ma differentemente dagli altri meridionalisti che avevano sostenuto la stessa tesi, Ciccotti non spiegò il rapporto tra Risorgimento - Stato unitario - questione meridionale in base a criteri moralistici, quali, ad esempio, il tradimento degli ideali di giustizia e fratellanza, ma lo spiegò, in modo realistico, in base alla struttura economica del paese. Per questo motivo si può affermare che le analisi del Ciccotti furono la prima spiegazione convincente del rapporto Risorgimento - Regime monarchico unitario - questione meridionale.
Ai fini di questa ricerca è utile ricordare che Ciccotti, per la sua analisi del processo d'unificazione, si distinse anche dal Colajanni (foto). Quest'ultimo ritenne, come il Ciccotti, che l'unificazione al di là di ogni mito risorgimentale fu di fatto il «sacrificio» e la «conquista» del Sud agricolo da parte del Nord industriale, ma, differentemente dallo studioso lucano, Colajanni individuò la ragione di ciò nel tradimento dei fratelli settentrionali.
Dunque, la spiegazione del Colajanni rimaneva ancorata ad un piano moralistico, che in parte venne da lui attenuato dal riconoscimento che la causa prima dei mali d'Italia in generale e di quelli del Meridione in particolare era «la centralizzazione elefantesca» dello Stato monarchico-liberale.
Questa tesi, pur evidenziando la politicizzazione della protesta morale del Colajanni, lo fece pur sempre permanere su un piano esclusivamente formale, che gli precluse la comprensione del fatto che la costruzione di un regime unitario doveva essere compresa anche in relazione allo sviluppo del sistema produttivo italiano.
Quel che di moralistico e di formale vi era ancora nelle analisi dello studioso siciliano fu superato da Ciccotti, che inquadrò sempre i problemi del Mezzogiorno nello sviluppo del capitalismo italiano.
Ettore Ciccotti riteneva che lo Stato unitario italiano offrisse un chiaro esempio di Stato di classe, pertanto egli sosteneva anche che la condizione fondamentale per mutare la situazione creata dal dominio di classe degli industriali e dei latifondisti fosse la trasformazione socialista della società, che avrebbe anche consentito di porre un rimedio all'arretratezza del Meridione.
Tuttavia, lo studioso lucano indicando la soluzione della questione meridionale nella trasformazione socialista della società non intese sostituire il messianesimo marxista al moralismo borghese, in quanto egli era consapevole “della stessa drammaticità del travaglio rivoluzionario, del come arrivare al socialismo”.
Fu questo il motivo per cui Ciccotti pose al centro delle sue analisi il rapporto tra il movimento socialista e la questione del Sud d'Italia.
Quindi, Ciccotti era consapevole della contraddizione che intercorreva tra la necessità che le masse meridionali maturassero una coscienza di classe e il fatto che le condizioni socio-economiche del Mezzogiorno spingevano, in direzione opposta, verso la formazione di una coscienza incentrata sui soli interessi particolaristici.
In questo modo, Ciccotti colse gli aspetti precipui del Mezzogiorno nella disgregazione sociale, nell'isolamento dei centri abitati e nella dispersione economica, politica e culturale. Tali condizioni spiegavano il dominio della piccola e della media borghesia nelle città e quello dei latifondisti, cui i contadini erano materialmente e culturalmente subalterni, nelle campagne.
La disgregazione economica e la conseguente formazione di interessi particolaristici costituivano le condizioni di praticabilità per l'attuazione di politiche conservatrici e clientelari, cui era diretta l'azione dello Stato. Così, tra lo Stato borghese e la questione meridionale si venne a creare un “circolo vizioso”, che bisognava rompere con diverse iniziative. Secondo Ciccotti, in siffatta situazione, il modo in cui il movimento socialista si sarebbe potuto sviluppare nel Mezzogiorno consisteva nel riconoscere realisticamente le varie correnti di interesse per utilizzarle come strumento, anche inconsapevole, di un movimento politico e culturale più elevato. Non già le impostazioni dottrinarie avrebbero dovuto fungere da strumento di formazione della coscienza di classe, ma le lotte politiche da effettuare in difesa delle classi subalterne.
In sostanza, secondo Ciccotti la condizione per la crescita economica e sociale del Sud era legata alla riscossa delle masse.
Rispetto alla questione della via riformista o rivoluzionaria al socialismo Ciccotti fu sostenitore della prima. Egli giustificò il metodo riformista sia in base ad assunti teorici, sia in base all'osservazione degli avvenimenti storici a lui contemporanei.
I motivi di carattere teorico che funsero da piattaforma di giustificazione del riformismo si inscrivono nell'atmosfera ideologico-politica della Seconda Internazionale. Lo studioso lucano, che era anche influenzato dalla sociologia positivistica spenceriana, riteneva che la condizione necessaria per l'attuazione di una linea politica rivoluzionaria fosse un avanzato sviluppo del sistema capitalistico.
In altri termini, Ciccotti riteneva che il socialismo non sarebbe stato il risultato del volontarismo rivoluzionario, ma la necessaria conseguenza delle contraddizioni intrinseche al modo di produzione capitalistico.
Pertanto, Ciccotti ritenne che la violenza rivoluzionaria avrebbe dovuto avere soltanto la funzione di levatrice.
I motivi tratti dall'esperienza storica attraverso cui Ciccotti giustificò il riformismo socialista furono, da un lato, la constatazione della forte “concentrazione della borghesia”, cui faceva riscontro la mancanza di coscienza da parte del proletariato, fenomeni che si erano entrambi manifestati nei moti del '98. Dall'altro, l'osservazione dell'azione politica del Giolitti, espressione politica della borghesia illuminata del Nord, che sembrava andare nella direzione di un riassetto democratico dello Stato italiano. E il riformismo implicava che il Partito socialista avrebbe potuto realizzare il suo obiettivo strategico attraverso le lotte democratiche.
Funzione democratica che il partito socialista avrebbe dovuto svolgere soprattutto nel Mezzogiorno, aprendosi ad un rapporto stabile e costante con le forze radicali della piccola e media borghesia. In sostanza, Ciccotti era consapevole che il riformismo esigeva, per la sua attuazione, una forma di governo democratico, ossia uno Stato costruttore di socialità, che avrebbe svolto anche un'azione benefica per il Sud d'Italia.
Uno Stato, dunque, “non verbalmente bensì sostanzialmente democratico”, composto dalle classi popolari interessate a modificare le proprie condizioni di vita.
Salvatore Lucchese