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Esser giovani in tempi di crisi
15 settembre 2009

L’espressione “c’è-la-crisi” è diventata un mantra che suona nell’aria da un anno ormai e, come tutte le parole ripetute allo sfinimento, si è ridotta a un semplice suono, perdendo di significato. Allo stesso modo, la categoria dei cosiddetti “giovani” si è allargata così tanto da contenere professionisti e lavoratori che hanno superato i 35 anni. Una vita senza futuro e senza possibilità di fare dei progetti, poiché tutto è rimandato al “dopo”, con i dovuti “se” e “magari”. Del resto, chi si può permettere dei progetti, quando a malapena si riescono a coprire le quote per affitti da fuori sede? Figuriamoci le vacanze, ed è questo il ritratto che è più palesemente emerso dalle interviste. Il ritratto è quello di una categoria appesa a speranze ma con la constatazione di vivere un presente poco incoraggiante anche guardando i propri coetanei. Il presente offre molto poco. Ma è molto, molto meglio del futuro, poiché guardando avanti regna l’incertezza. A Settembre, come previsto, si rinnoverà l’incubo della tagliola dei contratti a scadenza. Cosa fare? Tornare a vivere con i genitori non è altro che una sconfitta, e per questo molti giovani cominciano a barcamenarsi tra più lavori, a costo di raggiungere la agognata soglia dei mille euro al mese. A volte ciò avviene anche a costo di distanziarsi dagli studi universitari svolti, per i quali si è lavorato duramente. La crisi economica ha delle vittime predestinate. I sindacati lanciano un allarme a tutto campo. Gli interventi di cassa integrazione sono passati da 1.140.261 ore del secondo trimestre 2008 a 5.895.113 ore del secondo trimestre 2009. I posti di lavoro a rischio per quest’autunno sono circa 200.000. Sono cifre enormi per un paese con 17 milioni di lavoratori dipendenti. Questa tuttavia dovrebbe essere la fetta del mercato del lavoro protetta da sussidi e garanzie. La mattanza dell’occupazione comincerà altrove, tra gli apprendisti, collaboratori, meglio noti come co.co. co., somministrati, interinali, a tempo determinato. In altre parole le vittime prescelte sono l’esercito dei tre milioni di precari, che hanno monopolizzato il mercato del lavoro degli ultimi anni e per i quali non serve il licenziamento o la cassa integrazione, perché basta attendere la scadenza dei contratti e non rinnovarli. Dato che questa è la prima crisi dell’era della flessibilità, stando da manuale tutto procede regolarmente. Flessibilità implica più assunzioni. Tuttavia ora vediamo come sia più facile licenziare. In teoria questo risolve la crisi, poiché licenziando le imprese ammortizzano i costi, e quando l’economia gira, tira vento in poppa e riprendono le assunzioni. La teoria funziona dunque, quando la crisi riguarda un’impresa o un gruppo di imprese. Quando è generale, l’impatto sociale è devastante, perché in questo mare in tempesta i giovani neolaureati devono riuscire a galleggiare senza salvagente. In queste condizioni, duecentomila dipendenti a contratto rischia di restare in mezzo alla strada. E di cosa vivono questi giovani allora? La situazione non migliorerà fino a Natale. Dicembre è un mese come tutti gli altri, ma, a fine anno, per motivi burocratici, viene a scadenza il 40% in più dei contratti rispetto agli altri mesi, in tempi normali. Noi però siamo in tempi di crisi. In tempi normali, un interinale aspetta 9 mesi per trovare un nuovo posto, un co.co.co. anche 19. E in tempi di crisi cosa prevede il manuale? Questa è una crisi diversa dalle altre perché non colpisce, come avviene di solito, alcuni settori, alcune categorie più di altre. Questa crisi colpisce una classe di età. È la crisi dei giovani, perché è la crisi dei precari e il precariato è l’unica forma di lavoro che i giovani hanno trovato. In queste condizioni, un’intera generazione rischia di essere ributtata indietro, espulsa dal mercato del lavoro. Il lavoro è sempre più a scadenza. E aumenta anche la richiesta di lavoratori part-time. I dati complessivi dell’indagine Excelsior condotta da Unioncamere con il ministero del Lavoro dicono che a Bergamo quest’anno sono previste 11.510 assunzioni, il 29,5% in meno rispetto alle 16.330 dell’anno scorso. Il crollo è più accentuato nell’industria e nelle costruzioni: -48,9% a 4.040 assunzioni dalle 7.900 dell’anno scorso. Meno nel commercio e nei servizi: -11,4% a 7.470 da 8.430. I contratti a tempo indeterminato, trascinati dal calo del 58,5% nel manifatturiero, crollano del 47,8%: se ne prevedono 4.070 contro i 7.800 del 2008. Il peso delle assunzioni fisse scivola così dal 47,8% al 35,4%, mentre cresce dal 42,7% al 54% quello dei contratti a tempo determinato. Le assunzioni a termine inoltre contengono il calo: se ne contano 6.220, il 10,8% in meno dell’anno scorso. Nel terziario riescono anche ad aumentare: +5,6%. Si, ma pur sempre precari. Sei su dieci hanno meno di 35 anni. Saranno loro i primi a subire l’impatto della crisi. I giovani, come al solito.

Autore: Corrado La Martire
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