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ESCLUSIVA – Video denuncia: ragazzo in overdose dietro la stazione ferroviaria di Molfetta La zona resta pericolosa, i residenti del quartiere lanciano questo video per sollecitare un intervento
14 ottobre 2008

MOLFETTA - Ricordate il film la “Finestra sul cortile”? Guardare cosa succede nel mondo avendo come unico riferimento una finestra e il cortile sotto casa. Succede un po' a tutti quando siamo nelle nostre dimore, ebbene agli abitanti del quartiere “Poggiofiorito” alle spalle della stazione ferroviaria capita sempre più spesso di guardare dalle proprie finestre l'orrore della droga. Più volte i residenti hanno lamentato la mancanza di sicurezza e lo stato di abbandono della zona, soprattutto la strada retrostante i binari dove alcune volte si nascondono tra i fatiscenti capannoni, complice la mancanza di illuminazione e le scarse frequentazioni, dei tossicodipendenti. Far tornare i figli a casa da soli, ci hanno detto, è pericoloso e per dare prova della veridicità delle loro affermazioni ci hanno inviato un video denuncia (vedi sotto). L'episodio risale a qualche settimana fa. Ci hanno raccontato che nel primo pomeriggio quattro giovani dopo aver consumato la loro dose si sono allontanati dalla stradina che collega la stazione alle abitazioni. Uno di loro si è sentito male, è caduto a terra in preda alle convulsioni, un ragazzo è scappato impaurito e gli altri due hanno chiamato i soccorsi. Quello che segue è nella ripresa video che mostra il giovane sofferente, l'arrivo dei soccorsi e il successivo allontanamento dei due amici. Recentemente è stata inaugurata la nuova piazza Moro, ma l'amministrazione e le forze di pubblica sicurezza dovrebbero vigilare su cosa accade anche dall'altra parte non lontano dai giardini rimessi a nuovo. Inoltre il documento riporta all'attenzione della città il problema della droga che negli ultimi anni sembrava non fosse più presente a Molfetta. Anche da altre zone ci sono giunte segnalazioni, dal centro antico alle periferie tornano a vedersi scene che si pensavano dimenticate. Occorre invece una costante vigilanza perché il fenomeno della tossicodipendenza è purtroppo recidivo.
Autore: Michele de Sanctis
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Sono queste immagini che non avremmo mai voluto vedere. Guardare un essere umano, abbandonato a se stesso e da lui stesso lasciatosi andare per un viaggio forse senza ritorno, vien da pensare e credere che “Cristo non si è fermato a Eboli”, Cristo è ancora chiuso nel suo sepolcro, Cristo non è risorto, perché l'uomo dopo la “Rivelazione” è sempre ancorato alle sue paure e angosce. La “Rivelazione” è stato fraintesa, non capita o manipolata. Dopo secoli di storia, vittorie e sconfitte, invenzioni e scoperte e rivoluzioni a farci credere che ci si avvicinava alla perfezione dell'umano vivere, scopriamo quante nostre debolezze e paure ci rendono deboli e indifesi. La caduta e la perdita dovuta all'abbandono volontario di esseri umani considerati erroneamente esclusi, emarginati, definiti “poveri cristi” e non riconoscibili, aiutati solo per carità cristiana e poi riabbandonati nel deserto della vita. Nel linguaggio popolare si usa generalizzare tutta la tossicodipendenza come delinquenti, viziati, rapinatori. Non è proprio così. Purtroppo la pubblica opinione confonde questa triste realtà ed è portata a credere al vizio quando tutti i media portano alle cronache la scoperta di personaggi famosi e conosciuti che “si fanno” in camere d'albergo lussuosi e in compagnia di altrettanto personaggi ambigui. Non è la stessa cosa di questo “povero cristo” (e tanti altri) visto in questo crudo filmato, abbandonato in malsane strutture quasi a volersi identificare in esse. Quante leggende metropolitane si raccontano sulle cause di queste tragedie umane, ognuno è convinto di essere il giudice veritiero di una realtà invece molto complessa, quando poi la più disumana falsa verità: “lo fanno perché lo vogliono”. Dio mio come siamo cattivi. Le cause della tossicodipendenza, non vanno ricercate prevalentemente nella famiglia come può sembrare a prima vista, ma in un genere di malessere più ampio e profondo che oltre la famiglia, investe sia i singoli che la società nel suo complesso. Ora per scoprire la personalità del tossicodipendente occorre fare un lavoro con la mente: in noi stessi venga evocato il periodo dell'adolescenza, con i suoi stati d'animo, le sue incertezze, questa è la chiave di lettura dei giovani e solo così potremo accostarci ad essi. Il giovane gode della solitudine: ricercato è il momento di introspezione e di crescita dell'individuo e di riflessione, momenti in cui si può piangere, ridere, c'è il godimento dell'incomprensione, anche un po' di masochismo, pianti liberatori. Io non voglio che gli altri mi comprendano. E' autoemarginazione e incapacità a comunicare, a dare spessore. Si diventa adulti quando questo processo è compiuto. L'azione è un modo di costruire il simbolo, la ricerca dell'identità e passare così alle scelte mature. Uno degli errori più gravi è la penalizzazione o peggio la criminalizzazione. Ci si chiede e ci si interroga su quali siano le cause che inducano i giovani a fare uso di sostanze stupefacenti. Quali sono i meccanismi psicologici che determinano questo comportamento giovanile deviante, accettando forse anche consapevolmente danni irreversibili alla propria salute e al cervello che provocano e generano dipendenze fisiche e psicologiche difficili da trattare? Perché i giovani si drogano? Intanto esiste quel fenomeno sociologico giovanile che si chiama “gruppo dei pari”. Si tratta di quel gruppo amicale di coetanei, la cui importanza e la cui autorità stanno superando quella dei genitori. Il gruppo ha delle sue regole di funzionamento, un codice morale a volte estraneo se non antitetico al contesto sociale, che induce i singoli a uniformarsi pedissequamente a determinati comportamenti (scelta dell'abbigliamento, linguaggio, stile di vita, ecc.). Il conformismo, vissuto come timore di non essere accettati e approvati dal gruppo, può indurre l'adolescente ad adottare comportamenti disadattivi. La fine dell'autoritarismo, un certo permissivismo, la libertà di scelta, il relativismo culturale, aspetti del mondo contemporaneo tutt'altro che negativi, lasciano però i giovani soli (o mal consigliati) di fronte alle scelte cruciali della propria esistenza. Sbagliare è facile, entrare in un tunnel da cui è arduo fare ritorno, altrettanto. Diventare grandi è sempre stato malagevole. La droga può costituire anche una apparentemente comoda via di fuga dalle responsabilità del mondo adulto, un ingannevole alibi per ritardare le scelte, le fatiche, gli impegni (ma anche le soddisfazioni) che l'esistenza di ogni adulto comporta. Il consumismo, la comunicazione che avviene ormai soltanto attraverso l'esibizione di oggetti, sembrano privare i giovani di una solida identità, basata sulla consapevolezza delle proprie qualità interiori. Il successo da conseguire ad ogni costo, a scuola, sul lavoro, in società, con la necessità di essere costantemente all'altezza, brillanti, socievoli, nell'epoca che esalta ed esige la performance, come ci insegnano i messaggi pubblicitari, porta i giovani, e sempre più spesso anche adulti, ad aiutarsi con qualche sostanza chimica. L'eccessivo edonismo della nostra civiltà, la ricerca spasmodica di piaceri forti e immediati, a scapito della gioia, della felicità e della serenità che si possono ottenere sviluppando i propri talenti, mettono molti adolescenti sulla cattiva strada di una penosa, stordita e triste quotidianità. Inoltre l'abuso di droga rappresenta talvolta una delle forme oscure, contorta e sbagliata in cui si manifesta il conflitto generazionale, la rivolta contro il mondo dei valori abbracciati dai genitori. Una rivolta sterile e autodistruttiva, cui possono indulgere adolescenti altrimenti intelligenti e sensibili. Non ultimo esiste un business, gestito dalla criminalità organizzata, che preme per indurre certi comportamenti, perché con la droga realizza ingenti profitti. Per arginare questo fenomeno e limitarne i danni, sarebbe necessario ripristinare quel dialogo generazionale oggi interrotto, fra genitori e figli. Occorre recuperare, quindi, il valore del tempo da trascorrere insieme, nella dimensione di una comunicazione autentica, capace di critica nei confronti dei valori dominanti; un tempo e una comunicazione intrisi di tenerezza, di conoscenza reciproca, di ritrovata fisicità. Con la scuola che deve abbandonare la faccia feroce, per diventare, per gli adolescenti, occasione emotivamente significativa di maturazione culturale, effettiva civile. Con la società, che deve essere in grado di proporre ai giovani possibilità di autorealizzazione. Ed è necessario, purtroppo, anche la repressione, per battere mafie e bande criminali e per tutelare la collettività dal comportamento di quei singoli che hanno deciso, mettendo in atto comportamenti sciocchi, violenti, pericolosi e delinquenziali, di muovere guerra alla società. Il consumo di droga è il sintomo di un disagio, diffusissimo, amplissimo, che non può essere liquidato con l'etichetta di “reato”. “I giovani si drogano per incultura” scriveva Pasolini all'inizio degli anni Settanta. Ci si droga per solitudine, per sostenere i ritmi di lavoro, per evadere dalla schiacciante ripetitività della vita moderna. La droga scorre nelle vene stesse della nostra società, è un veleno prodotto collettivamente dal sistema in cui viviamo per anestetizzare la crudeltà dei suoi ingranaggi. E' un problema che riguarda tutti e che, come suggeriva Pasolini, va combattuto con la cultura prima che con le manette.


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