De Virgilio e la sua arte inossidabile
Un allestimento originale ed elegante, una poesia dell’acciaio la personale “L’arte inossidabile” di Michelangelo de Virgilio. L’artista molfettese è stato insignito di prestigiosi premi, tra cui il fiorentino Gran Prix “Giorgio Vasari” (Accademia “Il Marzocco”), ma anche, in più occasioni, il primo premio nel “Natiolum” (Giovinazzo) o nella Biennale Internazionale “De Nittis”. L’applicazione delle sue spiccate tendenze artistiche allo studio dei metalli l’ha condotto, sin dalla prima giovinezza, a un’inesausta sperimentazione, approdata, negli anni Settanta, all’adozione, quale materia da plasmare, dell’acciaio inox. Una scelta coraggiosa e tanto più difficoltosa, in quanto l’artista modella la materia a freddo, senza fusioni né stampi. “L’arte inossidabile” muove dalle prime creazioni del de Virgilio, ispirate a tematiche e soggetti religiosi. Sono le raffigurazioni dei modelli della Cattedrale di Trani o del Duomo mo l f e t t e s e ; per quest’ultimo, l’occhio dell’artista rivela gli interni, si sofferma su preziosi dettagli quali la presenza delle statue nelle nicchie o degli elementi zoomorfi nel prospetto est. Da buon molfettese, de Virgilio focalizza la propria attenzione anche sui riti della settimana santa: l’esito più suggestivo è rappresentato da un modello che isola le mani della Veronica nel loro reggere la sindone, in ossequio alla tendenza all’indugio su singole sezioni anatomiche, tipica della produzione artistica di de Virgilio. Evocativa, non priva di un magico je ne sais quoi, l’immagine delle statue del venerdì santo che emergono dall’interno della chiesa di S. Stefano come da una materica barriera oscura. All’ispirazione devota, che ci dona anche uno stralunato modellino del celebre San Pietro di Cozzoli, subentra quella figlia della riflessione su una società che smarrisce i valori dell’arte e della convivenza civile. “L’arte da salvare”, nata dalla sconsolata contemplazione dello stato in cui versava il duomo prima del restauro, è un’amara meditazione sulla deplorevole noncuranza che induce al depauperamento del nostro patrimonio artistico, sommerso, inghiottito dai flutti dell’incuria e dell’oblio. “All’uomo della pace” celebra la figura di don Tonino; il suo pensiero è un cuore pulsante d’amore che si contrappone alle notizie di guerra e morte con cui i giornali ci bombardano continuamente. Sempre all’insegnamento di Mons. Bello s’ispira un delicato omaggio alla “Voce degli ultimi”; oggetto della rappresentazione stralci da articoli di giornale che, impressi su pergamena, riportano allucinanti notizie d’omicidi perpetrati ai danni di gente umile e indifesa. È a loro che l’artista consacra una rosa d’acciaio, indelebile e, proprio perché mai destinata a morire, deputata a perpetrare in eterno l’amorevole ricordo di chi è morto per oltraggio. Una meditazione sulla stampa e sulla libertà d’informazione appare al centro anche dell’omaggio a Daniele Rotondo, realizzato in occasione del “Premio Azzarita” del 2006. Le creazioni di de Virgilio non si esauriscono, tuttavia, nell’afflato religioso o nell’impegno sociale. Seguono le evoluzioni delle mani di un direttore d’orchestra o, ironicamente e rinviando ad altro, i “tentativi di accordo” di un chitarrista; estrinsecano l’infinito potere del sentimento d’amore. In quella farfalla posata in punta di mano potrebbe anche scorgersi la reale essenza del sentimento amoroso: un incontro d’anime che arrivano a tangersi e intersecarsi senza soffocarsi in un morboso desiderio di possesso. Esprime con maestria la seduzione e la sensualità proprie del tango: i corpi dei danzatori, che tradiscono nell’abbigliamento un’attenta opera di documentazione sugli accessori dei tangheri, appaiono, tronchi poco al di sopra della vita, quasi vestiti di quella musica, che, per così dire, rappresenta un po’ la stoffa di cui sono intrisi. Non manca una suadente componente feticista: l’ingresso in scena di un’artista vamp è preannunciato dallo sporgere delle gambe flessuose, oltre che dalle mani illuminate dall’occhio di bue. Un tête à tête tra donne si risolve in un morbido intreccio di piedi e tacchi a spillo. Le estremità inferiori di un uomo in “Raccolta differenziata”, di un uomo e di una donna in “Senza titolo” – forse la creazione più originale del de Virgilio – fanno capolino da un bidone della spazzatura. Più che immagini del degrado – sempre più attuali nella nostra città – essi rappresentano “un ammonimento” al “bel vivere della società odierna”. In un mondo che mercifica i valori e oblitera la salvifica bellezza dell’arte, i cassonetti rischiano di rassomigliare sempre più agli ariostei valloni delle cose perdute, in cui frugare alla disperata ricerca della nostra anima. Smarrita nei meandri del jet set.
Autore: Gianni Antonio Palumbo