Da San Francesco a don Tonino
Da San Francesco a don Tonino passando o attraversando altri profeti scomodi che hanno saputo leggere il presente: il loro, ma anche il nostro! Nella introduzione al libro “Francesco d’Assisi” di Balducci, Vito Mancuso scrive: “sotto la penna di Balducci San Francesco di Assisi diviene il modello della fede di oggi, una sorprendente anticipazione medievale di ciò che è chiamata a diventare prossimamente la spiritualità post-moderna”. L’interpretazione del messaggio di Francesco data da Balducci in questa pubblicazione ha il pregio di farne emergere la sorprendente attualità attraverso la scelta per la nonviolenza, la povertà, la poesia, il dialogo interreligioso, la semplicità, l’amore per il creato. Sul punto di morte Francesco volle essere posto nudo sulla nuda terra. Il contatto con la terra nel suo momento estremo significava più cose: l’amore per la “terra mater” e delle proprie radici, ma anche una scelta che ha il sapore della libertà, della povertà, della universalità. Un messaggio di appartenenza a quella chiesa i cui confini sono gli stessi confini della terra. Ed insieme a tutto questo è la scelta dell’umiltà: sì, dell’umiltà, perché se le parole hanno un senso, humilitas da Humus significa terra! Tonino Bello vive gli stessi sogni, e lo dice in maniera chiara, inequivocabile. Manca poco alla sua fine dei suoi giorni, ma lui ha un desiderio: “...e me ne andrei così per le strade del mondo... fino agli estremi confini della terra”. Così don Tonino, che, come Francesco, chiede essere sepolto nella terra, nella sua terra! In umiltà! Lui che viveva un tempo in cui l’umiltà non era più una virtù. Scrive Luigino Bruni: “Le generazioni passate [...] conoscevano e riconoscevano l’umiltà. Avevano imparato a scoprirla nascosta nella terra, facendo quell’esperienza del limite che fa veramente solo chi conosce la terra con le mani. E’ toccando i mattoni, il legno, gli attrezzi duri del lavoro, i panni poveri, il poco cibo, le macchine nelle fabbriche che ci si scopriva terra. [...] I frutti (dell’umiltà) sono inconfondibili: il primo è la gratitudine [...]: l’umile è sempre grato. “E noi siamo grati per aver conosciuto don Tonino che ci ha iniziati all’infinito: “E’ incontrando l’infinito che ci si scopre finiti ma abitati da un soffio di eternità”. Così è stato per Francesco e per don Tonino: a tutti hanno donato un soffio d’eternità. Questo è il lascito, l’unico lascito, l’unica eredità. E le analogie tra il santo e il Servo di Dio sono sorprendenti, sia in vita che in morte! A Parigi, nel 1266, si tiene il capitolo dei francescani: Bonaventura, generale dell’ordine, impone di distruggere tutte le biografie di Francesco, morto 40 anni prima, e di sostituirle con la nuova, quella redatta da lui stesso, la “Leggenda Maggiore”. Monastero per monastero, convento per convento, si fanno sparire le precedenti testimonianze e da quel momento l’immagine di Francesco diviene quella di un frate ingenuo e senza cultura. Solo secoli dopo, nel 1890, il pastore calvinista Paul Sabatier si mette alla ricerca dei testi scomparsi. E il suo lavoro ha successo. Nel libro “La storia negata” Chiara Mercuri ricostruisce, sulla base delle fonti non ufficiali, la vita di Francesco. “Ne emerge il ritratto inedito di un uomo di profonda cultura deciso fino alla durezza, ma amorevole verso i suoi compagni che furono con lui il motore di una straordinaria stagione di rinnovamento dello spirito. I suoi compagni: messi ai margini, tacciati di essere gente rozza, semplice e senza cultura, furono i soli che Francesco volle accanto nell’ultimo atto della sua vita terrena. I loro scritti, ignorati per secoli, raccontano un Francesco diverso, finalmente sottratto all’immagine stereotipata in cui la storia ufficiale l’ha confinato. Il capitolo generale a Parigi ordina “per obbedienza” che tutte le leggende di Francesco già fatte siano distrutte e che, dove potranno trovarle fuori dall’ordine, i frati stessi s’impegnino a rimuoverle”. Frate Leone va in crisi: tra coscienza e obbedienza! Legge la leggenda maggiore e scrive “quella di Bonaventura è una biografia che spegne l’attenzione, che deprime gli animi e addormenta lo spirito; un ritratto che in nulla ricorda la carne, il sangue, lo sguardo, la forza di uno di loro, uno che loro hanno avuto davvero la grazia di ascoltare, di toccare, di abbracciare, di stringere. Si chiede Leone: “... a chi servirà questo Francesco immateriale?”. Di notte porta i manoscritti in un convento di suore, vicino Assisi, perché fossero custoditi in segreto. E per sempre! La lettura di quei manoscritti consegnava alla storia il vero Francesco: “il Francesco dei compagni non era un angelo ma un uomo, non era un eletto del Signore che si stagliava in alto, al di sopra dei suoi frati, ma era uno di loro, non rifuggiva le donne ma cercava Chiara e le sorelle per dare e ricevere conforto. Francesco non era un frate semplice e illetterato ma un uomo consapevole e istruito “Francesco il 29 settembre del 1220 si dimette da ministro generale: “dal momento che non riesco a raddrizzarli e migliorarli con le ammonizioni, le esortazioni e l’esempio non voglio diventare giustiziere per punirli, come fanno i governanti di questo mondo”. La sera del 3 ottobre del 1226 è in agonia: gli avevano riferito la preoccupazione del Comune di Assisi che egli morisse lontano da casa e che gli altri si impadronissero del suo corpo. Ma il santo vuole tornare alla Porziuncola, vuole morire nel piccolo villaggio rurale, dove ha iniziato a far vita comune con i suoi primi compagni. Scrive Balducci: “non so di quale altro santo si possa dire, come di Francesco, che egli non appartiene ai credenti, appartiene agli uomini. La storia dà torto ai profeti e, quando sono morti, tenta di reintegrarli in sé, canonizzandoli. Ma i profeti continuano a dar torto alla storia e hanno le prove: solo che quelle prove sono riposte nello scrigno del futuro. E noi ricordiamo oggi uomini che non appartengono al passato ma al futuro!”. Giancarlo Piccinni Presidente Fondazione don Tonino Bello