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Consiglio comunale: no alle riprese in aula. Via alla tv di regime La miseria del liberalismo: rifiutato il regolamento proposto dalla minoranza di centrosinistra, si attuerà un sistema interno di riprese, poi fornite alla stampa dallo stesso Comune
15 aprile 2009

Si parla a gran voce di liberalismo, di apertura, di dialogo, di trasparenza. Si fa della libertà il filo conduttore di discorsi e parole, si ritagliano le voci offrendo profili estesi, di ampie vedute, che guardano così lontano da allargare gli orizzonti, da farci perdere nei mondi, tralasciando ciò che ci accade. Come quando il presidente del consiglio comunale Nicola Camporeale (Pdl) ha vietato alla testata giornalistica “il Fatto” di continuare le riprese delle sedute consiliari che gratuitamente offriva ai cittadini. Tutto chiaro: il servizio era solo sperimentale e si rendeva non più formalizzato da alcun provvedimento. Quella telecamera attenta, quel microfono troppo incombente, quei video, con le gaffe del sindaco Antonio Azzollini e i suoi insulti in diretta ai consiglieri di opposizione, erano chiaramente scomodi, invadenti, paradossalmente quasi “illiberali”. E allora, alla proposta dei consiglieri di minoranza di favorire il diritto di cronaca da parte di tutti, regolamentando le riprese da parte delle testate giornalistiche – effettuabili dagli spalti – la maggioranza si è astenuta, facendo bocciare la proposta. Come ha spiegato il consigliere Angelo Marzano (Pdl), facendosi portavoce della maggioranza, il presidente del consiglio comunale si sta impegnando a verificare la possibilità di effettuare delle riprese attraverso un nuovo impianto che rientrerebbe nel piano di ammodernamento della sala consigliare. Le riprese sarebbero in questo modo istituzionalizzate e gestite dall'ufficio di presidenza, per poi essere trasmesse sul sito del Comune e divenire aperte a tutti, anche alle testate giornalistiche. Insomma, tutto diventerebbe “cosa loro”, le riprese perderebbero quell'aspetto incognito, sovversivo tipico del “terzo” e assumerebbero un punto di vista interno, rassicurante. Tutto sembrerebbe disponibile, a servizio della gente. Ma dov'è la trasparenza? Dov'è finita l'esigenza di rendere la politica a misura della società civile, permettendo la sua diffusione per mezzo dei giornali? Infine, dov'è finita la libertà di stampa? Ci sembra essere ritornati ai tempi più bui per la partecipazione della popolazione, ricaduti in quella pratica diffusa di concentramento di prerogative e funzioni che ha condannato il popolo italiano a vivere in un mondo ignoto, oscuro, fatto da altri, a vivere in una società “di regime”. Anche la trasmissione delle sedute consiliari sarebbe regolata e monopolizzata dal Comune. E lo sguardo del terzo, l'occhio della gente, sottomesso a immagini regolate e filtrate dal soggetto stesso di quelle sedute. La partecipazione implicata da un sistema democratico e liberale rivendica come esigenza la libertà dei giornali di mettere a disposizione della gente le proprie riprese, il proprio sguardo su azioni che tutti hanno diritto di osservare. Un sistema liberale che mette il bavaglio all'occhio delle telecamere, che condanna la partecipazione della gente a sottomettersi ai filtri imposti, chiude lo spazio del confronto, blocca l'ampio respiro delle vedute, le sintetizza in un'unica via, tradisce la libertà insita nella propria definizione lasciando campo libero al potere. E il potere è sempre illiberale, è la degenerazione dell'autorità, è l'appropriazione come furto. Ci si vuole appropriare del libero giudizio della società civile, si vuole unificare il punto di vista totalizzandolo. La lettera pubblicata dal Garante della Privacy l'11 marzo 2002 esordisce in questo modo “Sì alle riprese e alla diffusione televisiva delle riunioni del consiglio comunale, anche al di fuori dell'ambito locale e con le opinioni e i commenti del giornalista, purché i presenti siano stati debitamente informati dell'esistenza delle telecamere e della successiva diffusione delle immagini. […] La Pubblicità di atti e sedute consiliari […] è espressamente garantita dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (d.lg. n.267/2000), il quale demanda al regolamento comunale l'introduzione di eventuali limiti”. A Molfetta, a quanto pare, è tutto diverso. Siamo sempre molto attaccati alla dimensione familiare, ben attenta a custodire i propri usi, le proprie convinzioni. A fare delle tradizioni dei pilastri imprescindibili del nostro modo provinciale di identificarci ai gruppi, di parlare, di arrabbiarci, di fare politica. E Azzollini ha già offerto la ricchezza storica del nostro dialetto, delle nostre espressioni ritagliate dal tempo per valorizzare le invettive, le ingiurie. Sottomettere la stampa all'occhio chiuso delle istituzioni significa paralizzare il confronto, annullare la varietà dei punti di vista, ammaestrare la gente, assolutizzare le prospettive. Già il fascismo istituì intelligentemente l'Istituto Luce, finalizzato alla diffusione cinematografica a scopo didattico e informativo del mondo. Esso divenne ben presto uno dei più potenti strumenti di propaganda del regime fascista. Il “cinegiornale” provvedeva attraverso il documentario o il reportage a trasmettere le immagini dal mondo, quasi come una telecamera istituzionale può trasmettere le immagini di vita politica gestite da un'apposita commissione. Quest'aria privatistica che si aggira fra una comunità completamente distratta dai castelli costruiti sul consumo attraente e sfrenato, non può che impaurire. Forse il revisionismo culturale di cui il nostro sindaco è promotore farà in tempo a rivalutare anche l'Istituto Luce e la libertà di stampa del periodo fascista. Magari proprio in occasione del 25 aprile, e tutti saranno più tranquilli. Tutti celebreremo la liberazione da ogni sprazzo di autodeterminazione, da ogni spiraglio di autocoscienza. E con un processo perverso di malafede potremo facilmente rassicurarci del fatto che siamo realmente liberi. Di divertirci, di acquistare, di spendere meno, di guardare le immagini del Consiglio comunale. Il fine che ogni giornalista si propone è quello di farsi intermediario di fatti, di voci e, perché no, di emozioni. La stampa rappresenta il ponte fra le voci di pochi e gli occhi di tanti. Dei tanti che trovano in quelle parole, in quelle riproposizioni il modo per avvicinarsi al reale, per valutare gli sfondi, per confrontare e confrontarsi, per giudicare in libertà. Se quel ponte, quella mediazione, crollano, se quell'isola di pochi prende ad imporre certe vie, verrebbe a cadere anche ogni motivo di essere qui a scrivere, la strada di ogni pensiero sarebbe già scritta e il giudizio relegato a cornice. La lotta per la libera diffusione delle opinioni e delle immagini di politica pubblica è una lotta per la democrazia, una lotta per preservare la natura varia, plurima e sempre colorata della libertà. In fondo, se siamo qui a scrivere, è solo per questo.
Autore: Giacomo Pisani
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