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Considerazioni inattuabili sull’utilità e danno della flat tax per gli italiani
10 febbraio 2018

Ci sono diversi ordini di considerazioni che gli italiani dovrebbero fare in relazione alla flat tax, il nuovo coniglio tirato fuori dal cappello dell’ennesima bolgia elettorale nella quale i nostri politici ci hanno catapultato, e con ciò non si vuole dire che le elezioni siano di per sé dannose e inutili, anche se c’è chi, tra gli schieramenti che oggi si confrontano, potrebbe anche farne a meno, ma è il corredo di menzogne, promesse, esasperazione, di contrapposizione fittizia tra i politici, che poi ha riflessi anche in una contrapposizione reale, dai tratti purtroppo drammatici, tra i singoli individui, che finiscono per accordare fin troppo credito a simili personaggi.

Ad ogni modo, la novità della campagna elettorale, condivisa ma non del tutto, del centro destra è costituita da una famigerata flat tax, una tassa, questo gli italiani l’avevano capito, che non ha nulla a che fare con la casa, l’appartamento, così come un soggetto con media cultura della lingua straniera inglese potrebbe pensare, ma con un livellamento dell’imposta sul reddito, che da criteri di progressività, viene schiacciata, uniformata, appiattita - è questa la traduzione cui fa riferimento chi ha proposto la novità elettorale - ad una sola aliquota per tutti, dal 19% al 23% (su questo poi si accorderanno!), applicabile ai redditi che vanno dai 20.000 euro annuali dell’impiegato alle cifre indecenti e indecifrabili di imprenditori, ereditieri, calciatori e paperoni.

Ora, si vuole qui argomentare in relazione all’inattuabilità, vale a dire intorno all’inopportunità, all’improponibilità, all’impraticabilità di una simile genialata che, tuttavia, sappiamo già che sarà lo specchietto per le allodole di una campagna elettorale caratterizzata dalla poca chiarezza, dallo scontro verbale su tutt’altre questioni, magari personali, familiari, il tutto per il tramite di quello strumento che un tempo era costituito da un tubo catodico, ma oggi è caratterizzato dalla piattezza, proprio come la flat tax.

Sono diversi gli ordini di considerazioni che vogliamo proporre su questo argomento e il primo, che del resto obbedisce ad una tendenza ormai consolidata nella politica italiana almeno a partire dagli anni ’90 in poi, è di carattere linguistico. Ci chiediamo, in sostanza, perché su questioni così cruciali, come le tasse, che riguardano tutta la popolazione italiana, quindi di alta, media e bassa cultura, si debbano usare, per di più in campagna elettorale, termini stranieri, appartenenti, peraltro, ad una lingua che un tempo era comunitaria e adesso non lo è più. Sarà perché la flat tax è adottata in Inghilterra? Macché, né in Inghilterra né in alcun paese dell’UE dall’economia forte e consolidata è adottato un simile sistema fiscale, ma guardando bene è in voga in molti paesi dell’est Europa, dove, per una terribile ma plausibile ironia della storia, dopo il bieco sistema livellante dell’uguaglianza sociale sovietica si assiste all’altrettanto sconsiderato sistema del livellamento delle tasse, il tutto a vantaggio di quei magnati del gas e del petrolio spuntati come funghi all’alba della dissoluzione del socialismo reale.

Di conseguenza, un secondo ordine di considerazioni è di rilevanza economica, ci si chiede, in seconda battuta, perché dovremmo mutuare dalla Russia, dalla Bulgaria o dalla Romania un sistema economico che riduce le entrate per lo Stato, soprattutto quelle provenienti dalle classi più abbienti, che, del resto, avrebbero bisogno di una maggiore pacificazione sociale per godere dei propri privilegi, anziché esasperare la tensione tra ricchi e poveri. Oggi il sistema fiscale italiano si basa sull’applicazione di 5 aliquote: si va dal 23% per i redditi fino a 15.000 euro al 43% per i redditi oltre i 75.000 euro, intervallato da fasce intermedie, obbedendo, appunto, ad un criterio di progressività dell’imposta a seconda dell’ammontare del reddito annuo.

Venendo a considerazioni di ordine squisitamente elettorale, invece, ci viene in mente che probabilmente deve esserci stato un ben preciso calcolo statistico sulla popolazione italiana, giacché considerando che i contribuenti con redditi sotto i 15.000 euro non avrebbero alcun beneficio dall’applicazione della flat tax, allora tutto il resto della popolazione, in diversa misura s’intende, beneficerebbe di un vantaggio economico che va dall’irrisorio al considerevole, nel senso che per me, impiegato statale, si applica attualmente una tassazione del 27% per quei 7000 euro che eccedono i 15.000, che eventualmente resterebbe al 23%, mentre per il manager, il calciatore e il paperone, che guadagnano 200.000 euro all’anno, invece di applicare il 43% sui 125.000 eccedenti i 75.000, si applicherebbe solo il 23% e qui il risparmio è notevole. Se, dunque, tutti quelli che dovessero ricevere benefici dall’applicazione della flat tax votassero per il centro-destra, allora la vittoria sarebbe assicurata e la legge potrebbe essere approvata in Parlamento, salvo poi essere giudicata incostituzionale e cadere.

E, infatti, forse è questa la considerazione più importante, cioè quella di ordine costituzionale, giacché in Italia, salvo apportare sostanziali modifiche alla Costituzione del 1948, eventualità non proprio semplice, dal momento che vi è inciampato anche il governo del Renzi, non è possibile adottare un sistema fiscale livellante e non progressivo e questo non per una scelta politica, ma in virtù del dettato costituzionale, il quale all’art. 53 recita: “Tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Il motivo per cui i padri costituenti inserirono tale specificazione, del resto abbastanza intuitivo, sta nel fatto che chi guadagna di più debba contribuire maggiormente alla costruzione dello stato sociale, cioè a mantenere in vita, in condizioni ottimali e fruibili, il sistema sanitario, quello scolastico, di mobilità urbana e interurbana, cioè tutti quei meccanismi che consentono alla popolazione, e quindi anche ai lavoratori che in qualche modo contribuiscono al benessere dei paperoni, di vivere in maniera dignitosa, così come si conviene nei paesi che si vantano di aver raggiunto considerevoli livelli di democrazia e libertà. Ecco, semmai, quando guardiamo agli altri paesi, in cerca di qualcosa che possa essere adottato nel nostro sistema statale, cerchiamo di farci guidare dal faro del livello di libertà raggiunta dalla maggior parte dei cittadini nonché dal grado di equità garantito alla popolazione, piuttosto che dalle aliquote sulle tasse imposte ai rispettivi paperoni.

Purtroppo, però, in un meccanismo elettorale schizofrenico, come quello che si sta profilando, che sposta l’attenzione sempre su questioni marginali e non sostanziali, si ha il timore che queste quattro considerazioni, che hanno cercato di argomentare sulla inattuabilità del sistema fiscale legato alla flat tax, sia piuttosto attuale, nel senso che, disgraziatamente, dovremmo farci l’abitudine al fatto che la minoranza che governa possa fare le leggi a proprio vantaggio e a detrimento della maggioranza, a dimostrazione, ancora una volta, che aveva ragione Nietzsche a proporre nel 1874 nelle sue Considerazioni inattuali sull’utilità e danno della storia per la nostra vita un generale pessimismo sulla possibilità dell’uomo di produrre qualcosa di nuovo a causa della sua inveterata malattia legata alla coscienza epigonale, una patologia cronica che tende a catapultarci sistematicamente nel passato, senza nessuna possibilità di produrre futuro.

Michele Lucivero

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