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Cerimonia solenne 60° della Costituzione: le conclusioni del presidente Vendola
30 maggio 2008

BARI - “Quella della Costituzione - ha detto il presidente della Regione, Nichi Vendola, concludendo con un intervento 'a braccio' la cerimonia solenne in Consiglio regionale – è una storia che non è alle nostre spalle, ma sulle nostre spalle. La Carta fondamentale del nostro Paese ci chiede uno sforzo civile e culturale di grande momento”. “E' nata in un'Europa distrutta: 50 milioni di morti in una lunga stagione di fuoco, cominciata a Sarajevo e finita sulle rovine di Stalingrad, passando per i lager, le leggi razziali e le dittature. È nata in in'Italia umiliata, povera, ma anche carica di entusiasmi, vogliosa di ricostruire e fondare i principi di una democrazia compiuta. Il dibattito nella Costituente è stato straordinario per la varietà dei protagonisti. Una grande fucina del futuro, in cui i contributi di componenti diverse – risorgimentali, azioniste, popolari, cattoliche, la cultura comunista e quella socialista, le tracce lasciate da protagonisti come Gobetti, i fratelli Rosselli, Gaetano Salvemini – fertilizzavano la terra su cui sono state costruite le norme”. Per Vendola si tratta di una Costituzione “senza alcuno spirito di conservazione. Nel costituzionalismo moderno, rappresenta un salto di qualità importante rispetto alla tradizione costituzionale liberale: porre all'art. 1 il lavoro come punto fondativo della democrazia è un elemento di equilibrio tra le culture. Il primato della libertà individuale vive nella nostra Costituzione e si coniuga con la socialità su cui si fonda la nostra democrazia”. “Il dibattito fu straordinario. Ogni articolo è stato discusso lungamente: la questione della Chiesa Cattolica, l'uguaglianza come principio concreto e non più meramente astratto. La pace, una vera gemma incastonata nella Costituzione, con quella scelta impressionante delle parole: 'l'Italia ripudia la guerra', di grande significato oggi che la guerra rischia di tornare uno strumento ordinario. Occorre riprendere a riflettere su quei punti: la sovranità, il principio della legalità devono ispirarci a trovare le strade della ricostruzione di un collante nazionale”. Il presidente ha accennato al federalismo. “Un tema che va affrontato con competenza e delicatezza – ha detto – parte dal dato di un'unità nazionale che vuole ricostruire le proprie regole interne, ma se maneggiato senza cura, cultura e punti di equilibrio, può diventare deflagrante. Il Sud fa bene ad accettare la sfida, se questa è ad una rivalutazione del territorio, contro gli sprechi, contro i guasti. Serve un federalismo solidale, una forma nuova che rende vetusta l'obsoleta distinzione tra Regioni ordinarie e a statuto speciale. Una stagione nuova, in cui ciascuno valorizzi i propri elementi di autonomia regionale e li metta a disposizione del Paese”. Sulle differenze tra Nord e Sud, la ricetta è la perequazione. “Ci giochiamo vicende storiche: lo sviluppo diseguale, la questione meridionale, quella settentrionale. Occorre discutere, ma non in termini ragionieristici, consapevoli che si devono costruire percorsi sociali”. La Costituzione, secondo Vendola, fu vissuta come una straordinaria proprietà collettiva. Era avvertita come una “cosa pubblica”. Non mancarono manifestazioni popolari. “Tutta la società italiana riconobbe nel processo costituzionale la propria missione per il futuro. Abbiamo un'eredità impegnativa, ruota attorno all'idea che la politica è un bene comune ed ha bisogno di una Costituzione non 'corta e oscura' come quella che piaceva a Talleyrand, ma con pensieri lunghi e chiari”. Il carattere “criptico e caotico” delle norme è un paravento del potere: “serve un linguaggio chiaro – ha concluso il presidente della Regione - dobbiamo mantenere fino in fondo le promesse di libertà e garanzia scritte con un inchiostro di sangue negli anni della lotta per le libertà”.
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