Recupero Password
Cento anni fa, la tragedia del terremoto di Messina
15 dicembre 2008

Cento anni fa, il 28 dicembre del 1908 si verificò il terremoto di Messina e Reggio del 1908, spesso noto come Terremoto di Messina o Terremoto Calabro-Siculo del 1908, che è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. In 37 “interminabili” secondi danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio Calabria e nel quale persero la vita la moglie e i figli dello storico antifascista molfettese Gaetano Salvemini. La scossa avvenne alle ore 5,21 del mattino, nella piena oscurità e con gli abitanti in parte immersi nel sonno, e il terremoto raggiunse il 10° grado della scala Mercalli, accompagnato da maremoto e mise a soqquadro le coste calabro-sicule con numerose scosse devastanti. La città di Messina, con il crollo di circa il 90% dei suoi edifici, fu sostanzialmente rasa al suolo. Gravissimi i danni riportati da Reggio Calabria e da molteplici altri centri abitati del circondario. Sconvolte le vie di comunicazione stradali e ferroviarie nonché le linee telegrafiche e telefoniche. L'illuminazione stradale e cittadina venne di colpo a mancare a Messina, Reggio, Villa San Giovanni e Palmi, a causa dei guasti che si produssero nei cavi dell'energia elettrica e della rottura dei tubi del gas. Lo ricordiamo in queste pagine perché in quella tragedia morirono la moglie e i figli dello storico antifascista molfettese Gaetano Salvemini. “La terra trema a Messina e Reggio”. E' quasi l'alba quando il terremoto coglie nel sonno migliaia di ignari abitanti. La tragedia commuove l'Italia intera, ma pone anche il problema dell'edilizia antisismica. Alcuni testimoni sostennero che fu verso le 3.30 di notte che Menelik cominciò a uggiolare. Il lamento del cane diventò sempre più insistente e, appena l'animale si accorse che i suoi due padroncini, Michele e Alfredo Gamba, rispettivamente di 12 e 13 anni, si erano svegliati, cominciò ad abbaiare, lanciandosi avanti e indietro tra il loro letto e la porta della camera d'albergo che li ospitava. Ben presto, tutti gli ospiti dell'hotel Casotti di Messina, furono svegli e, fra loro, i componenti della piccola compagnia teatrale di cui i due ragazzini facevano parte. Nessun tentativo di far tacere il cane ebbe successo: Menelik non si calmava, anzi. Fu chiaro che voleva uscire dall'albergo, ma certamente non da solo. Continuava a lamentarsi, a frignare i denti, ad abbaiare, in qualche modo a spingere i suoi padroni verso la strada. Michele e Alfredo si decisero a seguirlo e, dietro di loro, il resto della troupe, incuriosita dallo strano comportamento del cane. Nella notte, il gruppetto attraversò le strade di Messina ancora immersa nel sonno nel sonno e, poco dopo le 5, si ritrovò fuori dell'abitato. Gli attori stavano ancora domandandosi dove Menelik volesse condurli, quando un boato si levò alle loro spalle, mentre il terreno sotto i piedi si sollevava e sussultava. Erano esattamente le ore 5, 20 minuti e 23 secondi (ora ufficiale) del 28 dicembre 1908. La terra tremò per 32 secondi e la città, regina dei miti e delle leggende omeriche (con i mostri di Scilla e Cariddi), si abbattè su sé stessa, trasformandosi in un'immensa tomba, avvolta in una nuvola di polvere che soffocava i lamenti dei feriti e dei sepolti vivi. La storia di Menelik e della sua straordinaria sensibilità, raccontata dal Corriere della Sera del 30 gennaio 1909, attirò l'attenzione del professor Tito Alippi, direttore dell'osservatorio sismico di Urbino, che ne fece oggetto, successivamente, di un'indagine scientifica. Salvo qualche piccolo particolare, lo scienziato non poté non confermarla, anche se le sue ricerche accertarono che, prima della catastrofe, nessun sismografo aveva captato alcun segnale che potesse essere identificato come un avviso dell'imminente terremoto: rimaneva il fatto che il cane, con il suo comportamento, aveva salvato i suoi padroncini. La sera prima della tragedia era domenica. La Messina elegante si era data appuntamento per la prima dell'Aida al teatro Vittoria Emanuele (soprano Paola Karalech, di Budapest) e per le strade illuminate a festa la gente si scambiava auguri e regali. In quella tragica alba, neanche 15 minuti dopo la scossa di terremoto, anche il mare si scatenò e su Messina, su Reggio Calabria e sui litorali, ormai ridotti a un cumulo di macerie, si avventarono pesanti ondate, che raggiunsero e superarono i 10 metri d'altezza: nel porto di Reggio un masso di calcestruzzo di metri 2,6x2,50x1,20 fu ritrovato a 20 metri da dove era stato depositato, un ponte di 42 metri della ferrovia ionica fu divelto e scaraventato in un torrente, e i piroscafi ormeggiati nel porto di Messina si ammucchiarono gli uni sugli altri come barchette di carta. Alle 5.20, si legge nel rapporto degli ufficiali della torpediniera Saffo, all'ancora a fianco del forte San Ranieri, a est del porto di Messina, “uno spaventoso sussulto del fondo del mare diede una violenta scossa a tutte le imbarcazioni; il mare improvvisamente si gonfiò, alzandosi dallo Stretto come un'enorme montagna ruggente, e si rovesciò con cupo rombo furioso sulla spianata di San Ranieri, da dove ci venne sopra fracassando le navi. Il piroscafo austroungarico Andrassy rimase in balia delle onde, sballottato, e danneggiò altri piroscafi e una torpediniera. Quando ci siamo ripresi dalla spaventosa sorpresa, la superficie del mare ci apparve coperta di botti, di casse di agrumi, di rottami. Guardando verso la città, si notava un nembo di polvere fittissimo”. Non erano ancora le 6 del mattino e cadeva una pioggia insistente. Alla periferia della città, i gasometri distrutti dal sisma avevano preso fuoco e gli incendi cominciavano a estendersi: al porto, due grandi depositi versavano sull'acqua tonnellate e tonnellate di nafta in fiamme, mentre i monconi del palazzo municipale s'illuminavano al bagliore del fuoco, alimentato dal vento e dal fascicolo degli archivi. Cominciava il secondo atto della tragedia mentre tra le rovine e gli incendi si facevano strada i superstiti terrorizzati, che cercavano scampo dirigendosi inutilmente verso corso Vittorio Emanuele, verso il mare. Dopo il tremendo sussulto della terra, oltre Messina e Reggio, almeno 40 tra cittadine e paesi siciliani e calabresi, compresi in un'area di 45 chilometri di lunghezza e 15 di larghezza, erano stati praticamente rasi al suolo e si facevano strada i lamenti e i richiami dei sepolti vivi e dei feriti. Durante tutta la giornata del 28 dicembre le scosse di assestamento si susseguirono minacciose, mentre i superstiti cercavano di organizzare un minimo di soccorsi, la tragedia si consumava. Enormi i ritardi di comunicazioni, causa anche l'inefficienza dei mezzi in possesso. Alle 7 di mattina era stata la prefettura di Catanzaro a dare il primo allarme e per mezzogiorno si sapeva che una fortissima scossa di terremoto aveva colpito la Calabria e che il disastro doveva essere grave. Si parlava di decine di morti e feriti, di colline franate , di paesi distrutti. Il governo, presieduto da Giovanni Giolitti prese le prime misure, ordinando che per la Calabria partissero subito truppe e materiali, mentre tutte le navi da guerra disponibili in zona dovevano far rotta per Bagnara e Reggio. Ma, col passare delle ore, si delineò la tragedia: arrivò il messaggio della torpediniera Spica e il disastro prese una diversa dimensione, addirittura incredibile nella sua terrificante vastità. Messina e Reggio, insieme a decine di paesi, erano rasi al suolo. Si dovette aspettare la mattina dopo per vedere i primi soccorsi. La Navigazione Generale Italiana, dispose che cinque sue navi si dirigessero su Messina dove sarebbero giunte la mattina dopo al comando della Regio Marina Italiana. Una volta fori dal porto, gettarono le ancore e nessuna scialuppa venne calata in mare. Si aspettarono gli ordini che tardavano ad arrivare: un vecchio difetto italiano, la burocrazia. Invece eroico fu il comportamento della Marina zarista che aveva ad Augusta tre navi: Makarov, Zarevic e Slovo. Il loro comandante ammiraglio Ponomarev, appena avvertito dalle autorità di Siracusa, le fece salpare e, alle 10 del mattino del 29 dicembre, i messinesi videro le tre corazzate russe entrare in porto. Gli equipaggi scesero a terra e cominciarono a distribuire cibo, acqua e coperte, organizzando anche squadre antincendio, che cominciarono con le pompe di bordo trasportate a terra, a sedare le fiamme che continuavano a divorare la città. I marinai russi lavorarono senza soste, scavando tra le macerie e portando soccorso ai feriti, e salvarono centinaia di vite, dando prova di grande efficienza. La Makarov riuscì, inoltre, a salpare la sera stessa con equipaggio ridotto, e a portare a Napoli, per la mattina dopo, 370 feriti e una tremenda cronaca: “E' orribile – raccontò l'ammiraglio Ponomarev – tra le macerie si udivano grida lamentose uscire da buche profonde, alle quali si poteva appressarsi solo con grande precauzione, poiché tutto franava… i miei marinai hanno dovuto scavare con le mani per aiutare molti sepolti, i cui arti spesso rimanevano nelle loro mani”. Subito dopo le navi russe, giunsero a Messina, provenienti da Siracusa, anche i tre cacciatorpediniere britannici Mallard, Boxen e Dragon. Infine apparvero le navi italiane, salutate dalle grida di gioia dei superstiti che, a trenta ore dal terremoto, cominciavano a uscire dall'isolamento in cui erano piombati. Mentre lo slancio dei russi e la calma degli inglesi cominciava a dare sollievo alla popolazione (i sopravvissuti erano tutti affamati, spesso feriti, molti seminudi), la squadra di navi italiana era ferma. Da terra la gente, che inizialmente applaudiva, cominciò a gridare, implorando aiuto. Passarono tre ore e mezzo; i messinesi, allora con barche e zattere si spinsero sotto bordo, ma furono respinti. Le stive erano colme di materiale e gli equipaggi generosamente pronti a dare il loro aiuto, gli ordini di sbarco non arrivavano e i comandanti non se la sentivano di prendersi una qualunque responsabilità. La tragica e proverbiale inefficienza della burocrazia italiana stava prendendo il sopravvento. Claudio Treves, direttore del Tempo scrisse: “L'inerzia grave delle nostre navi davanti a Messina si spiega con l'incertezza. Il comando non seppe prendere immediatamente una decisione, se scavare alla ricerca dei sepolti vivi, o portare a bordo i feriti e i profughi. A terra si lottava per sopravvivere. Messina non esisteva praticamente più, e in Calabria i danni erano ancora più gravi. Reggio era distrutta e il maremoto che si era abbattuto sulle coste calabre aveva avuto una violenza addirittura superiore a quella subita dalla Sicilia”. Ma come fu possibile una simile tragedia? Geologicamente parlando, il sisma non fu importante e le più di 100.000 vittime appaiono sicuramente sproporzionate. Probabilmente, si possono dare molte spiegazioni a questo tragico interrogativo, e si può pensare che la causa di tutti questi morti fosse dovuta all'ora in cui si verificò (tutti erano a casa a dormire), alla conformazione del terreno, al successivo scatenarsi del maremoto. Certo è che la ragione principale è da ricercarsi nella cattiva qualità delle costruzioni, fatte con pietre a secco e senza sufficienti fondamenta. Poi, si cominciò a costruire, a dir la verità con più efficacia e celerità quando il governo fascista decise di sfruttare i vantaggi propagandistici che l'operazione poteva portare. Ma la città non sarebbe mai stata la stessa. Quella Messina che avevano voluto fondare i suoi fondatori, i Greci venuti dalla città di Calcide nel secolo VIII prima di Cristo; che mille anni dopo i Romani avevano ospitato Riccardo Cuor di Leone diretto, nel 1191, alla terza Crociata, e che anche nell'ottocento era stata una delle più belle città del Mediterraneo, era ormai scomparsa. Quello che non era ancora finito era il suo martirio: l'attendevano, infatti, i tremendi bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e altre lacrime e morti.
Autore: Felice Altamura
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2025
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet